9:08 am, 16 Dicembre 25 calendario

🌐 La Juve e gli Agnelli: un amore lungo 100 anni

Di: Redazione Metrotoday
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La Juve e gli Agnelli: un amore lungo 100 anni racconta la storia centenaria del legame fra la Juventus e la famiglia Agnelli, dalla presidenza di Edoardo del 1923 fino alle tensioni e alle voci di mercato più recenti — «Elkann venderà pure la Juve» è la frase che riaccende il dibattito sul futuro del club.

Quando Edoardo Agnelli firmò le sue prime pagine nella storia della Juventus, il mondo era un altro. Era il 24 luglio 1923: un ingresso formale che avrebbe generato, nei decenni successivi, una simbiosi fra casa madre dell’industria italiana e casa madre del calcio nazionale. Cento anni dopo, la narrazione che lega i colori bianconeri alla famiglia Agnelli resta fra le più potenti del panorama sportivo e socio-economico del Paese. Ma come tutti i grandi amori, anche questo è passato attraverso crisi, riconciliazioni, derive e rilanci: ed è proprio nelle pieghe di questi passaggi che si capisce perché oggi, attorno alla parola “Juventus”, si rincorrano ancora domande sull’identità del club e sul suo futuro.

📌 La storia del legame Agnelli-Juventus è fatta di volti — Edoardo, Gianni “l’Avvocato”, Umberto, Andrea — ma anche di opere materiali: la costruzione di uno stadio moderno, la trasformazione in brand globale, la professionalizzazione del management e, non meno importante, la capacità di immaginare la società come un asset industriale. L’Allianz Stadium, inaugurato nel 2011, è forse il simbolo più evidente di una filosofia: investire nell’infrastruttura per trasformare un club in una macchina di ricavi, immagine e turismo.

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Eppure, a partire dalla metà degli anni 2010 la trama si è fatta più complessa. Crisi sportive e scandali legali, l’uscita di Andrea Agnelli dalla presidenza, la sequenza di perdite contabili e l’ingresso di nuovi attori sul mercato azionario del club hanno trasformato il rapporto in qualcosa di più volatile. Se fino a pochi anni fa la continuità familiare era vista come un valore, oggi la stessa continuità è sovente posta in discussione dal peso della modernità finanziaria: investitori esteri, fondi speculativi e gruppi non tradizionali che osservano la Juventus come un’opportunità di portafoglio.

È in questo contesto che si colloca la frase-trailer di questi giorni: «Elkann venderà pure la Juve», ripresa da dichiarazioni di personaggi della galassia calcistica. Non è esattamente una notizia: è piuttosto un’eco di tutte le volte in cui, nelle stanze dei bottoni, si è discusso della sostenibilità di un club che deve spesso coniugare ambizione sportiva con rigore finanziario. E non è un caso che, contemporaneamente, siano usciti sul mercato proposte e offerte che testano la volontà degli attuali azionisti: chi compra oggi la Juve non compra soltanto una squadra, ma una storia, una base di tifosi, una piazza e un vibrante portafoglio di assets commerciali.

🔎 Dal punto di vista istituzionale la risposta dei vertici di Exor — la holding che rappresenta l’interesse della famiglia Agnelli — è stata netta: nessuna intenzione ufficiale di cedere il controllo; apertura però a partnership e riflessioni strategiche volte a rafforzare la squadra e i conti. Sull’altro fronte, però, la cronaca registra offerte impreviste (anche da soggetti non convenzionali) e una platea di investitori che considerano il calcio come una nuova arena di investimento di lungo termine. Questo mix accende due sentimenti contrapposti nella tifoseria: la paura che la Juve perda il suo profilo identitario e la speranza che capitale fresco e idee possano riportare il club ai vertici.

Per comprendere il nodo bisogna tornare alle ragioni originarie della presenza Agnelli: non fu solo protezione finanziaria, ma visione. La famiglia ha costruito un percorso nel quale la Juventus era spesso usata come “laboratorio” per strategie industriali e comunicative, sperimentando metodi manageriali che poi hanno trovato ecosistemi in altri settori. Tuttavia, i tempi sono cambiati. Il calcio è diventato un mercato globale dominato da flussi di capitali internazionali, regolamentazioni complesse e un’attenzione pubblica inedita: tutto questo rende la gestione più esposta e meno impermeabile alle speculazioni.

Le vicende giudiziarie che hanno toccato il club negli ultimi anni hanno accelerato il riposizionamento. La sfera mediatica si è riempita di analisi, saggi e ricostruzioni: alcuni percepiscono la famiglia Agnelli come vittima di un cambiamento epocale; altri imputano alle scelte manageriali la responsabilità di aver creato fragilità. La verità si annida nel mezzo: la Juve è rimasta un marchio riconoscibile in tutto il mondo, ma la competitività sportiva richiede investimenti continui che, a volte, non si conciliavano con bilanci in perdita.

In questo contesto l’ipotesi di una cessione totale o parziale torna periodicamente a galla, nonostante le smentite ufficiali. Ogni rumor, ogni proposta di acquisto — legittima o meno — rappresenta una cartina di tornasole per misurare il calore del legame fra famiglia e club. Per alcuni dirigenti e opinionisti, la vendita sarebbe l’atto più pragmatico: incassare, rilanciare con partner forti e professionali, garantire la continuità del progetto sportivo. Per molti tifosi, invece, sarebbe una ferita, la trasformazione di un rapporto che ha avuto anche un valore simbolico: la Juventus come “prodotto” dell’identità torinese e italiana.

Guardando al passato emergono episodi che hanno temprato questo rapporto: dalle fasi di espansione e dei grandi piazzamenti europei agli anni delle contestazioni, dal progetto stadio alla stagione dei nove scudetti consecutivi, poi al tonfo e alla necessità di ricostruzione. Il ciclo delle passioni sportive non segue sempre le logiche dell’economia: la storia insegna che le identità calcistiche resistono più a lungo dei bilanci. Tuttavia, al tempo del calcio-impresa, la tenuta finanziaria è condizione necessaria per mantenere ambizioni.

Chi governa la Juventus oggi appare consapevole di questa doppia dimensione: gestire il brand come asset e, insieme, preservare una narrazione condivisa dall’universo dei tifosi. Il dialogo con gli investitori potenziali deve quindi misurarsi con un vincolo non scritto: il rispetto della memoria e della cultura del club. In questo senso, l’eventuale ingresso di soci non tradizionali potrebbe essere mediato da garanzie di governance che tutelino stile e autonomia sportiva.

Cosa accadrà nei prossimi mesi? Probabilmente altro rumore, altri tentativi di sondare il terreno e forse qualche offerta formale. Più rilevante sarà però la strategia che Exor e la governance del club decideranno di adottare: chiudere il perimetro, ricapitalizzare con partner selezionati, o aprire a un cambiamento strutturale che potrebbe riscrivere i contorni dell’ownership. L’ago della bilancia sarà la capacità di coniugare sostenibilità economica e visione sportiva — la stessa miscela che, per un secolo, ha tenuto insieme la Juve e gli Agnelli.

Per i tifosi resta una domanda semplice e resistibile: È una domanda che non riguarda solo pacchetti azionari e fatturati, ma l’anima stessa del club. Le risposte arriveranno a tempo debito, tra decisioni aziendali e umori della piazza. Intanto, a Torino, la gente continua a parlare della squadra come di un bene comune: in fondo, nei momenti di festa e nei momenti di crisi, è lì che si misura la sostanza dell’amore.

16 Dicembre 2025 ( modificato il 15 Dicembre 2025 | 20:39 )
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