Le “medie del consenso” e l’educazione sessuale diventa battaglia politica
È un tema che, al solito, scatena più domande che risposte: può la scuola parlare di sessualità, affettività, identità, relazioni senza creare divisioni? Qual è il ruolo delle famiglie e quanto pesa il consenso scritto? E soprattutto: quando entrano in gioco i minori, dove si colloca il confine tra educazione, moralismo, diritti e controllo?
Nel novembre 2025 il Parlamento italiano si trova a trattare un disegno di legge che promette di modificare profondamente il quadro dell’educazione sessuale nelle scuole, in particolare nelle classi delle scuole secondarie di primo grado (le cosiddette “medie”). Con un emendamento presentato da Lega si introduce infatti una novità rilevante: cade il divieto di attività formative sull’affettività e sessualità per le medie – ma solo «se i genitori firmano un consenso scritto dopo essere stati informati dei contenuti e del materiale didattico».
Il testo del ddl relativo al «consenso informato in ambito scolastico» equipara dunque medie e superiori per questi percorsi, pur mantenendo un «blind spot»: l’esclusione totale per la scuola dell’infanzia e la primaria. Un dietrofront controllato: cosa cambia davvero
Nei mesi precedenti, il testo originario del disegno di legge approvato in commissione prevedeva un divieto più esteso: nessun percorso di educazione sessuale o affettiva fino alle medie. Col passare dei giorni e delle critiche – di ordine politico, tecnico e culturale – la Lega ha ritirato il divieto, proponendo l’emendamento che consente l’attività con il benestare genitoriale.
Così, le scuole medie possono offrire moduli su temi come affettività, relazioni, sessualità, ma solo se:
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i genitori ricevono in anticipo il programma e il materiale didattico;
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firmano un consenso scritto;
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lo studente partecipa solo con autorizzazione esplicita.
La scuola dell’infanzia (3‑6 anni) e la scuola primaria (6‑11 anni) restano invece escluse, secondo la norma, da qualsiasi attività «che abbia a oggetto temi attinenti all’ambito della sessualità».

Un ritardo da colmare
L’Italia, com’è noto, è tra i Paesi europei in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole e dove la presenza di percorsi strutturati è molto variabile. Le scuole che offrono programmi specifici sull’affettività lo fanno in forma sperimentale o autonoma, spesso grazie al coinvolgimento di associazioni esterne.
Questo vuoto organizzativo ha produtti effetti significativi: molti ragazzi apprendono attraverso internet, social network, canali informali, e non sempre ricevono un accompagnamento pedagogico adeguato.
Le criticità riguardano non soltanto la trasmissione di informazioni – come malattie sessualmente trasmissibili o contraccezione – ma anche la consapevolezza corporea, l’orientamento, la relazione con l’altro, la prevenzione della violenza e del bullismo omofobico.
Valori, strumenti, diritti
Perché tutta questa attenzione – e tensione – sull’introduzione di percorsi nelle medie? Possiamo identificarne tre direttrici principali.
Pluralismo educativo.
Per alcune forze politiche e associazioni, il tema è sensibile perché tocca la famiglia, l’identità, la morale. Il termine «ideologia gender» è spesso invocato nel dibattito politico come contro‑argomento all’inserimento nei curricula di tematiche legate all’identità di genere o all’orientamento sessuale.
La proposta di inserire un consenso preventivo richiama le famiglie nel ruolo di protagoniste delle scelte educative, ribadendo che la scuola non può decidere in autonomia su temi ritenuti «sensibili».
Autonomia scolastica e libertà educativa.
Dall’altro lato, insegnanti e operatori scolastici avvertono un rischio: quello di una scuola «a geometria variabile», dove studenti della stessa classe possono essere esclusi da percorsi formativi per mancato consenso, con il rischio di frammentazione e disparità.
Inoltre, la richiesta che i genitori approvino anticipatamente i contenuti riduce la libertà didattica, l’adattamento degli interventi pedagogici al gruppo classe e la tempestività nella trattazione di argomenti emergenti.
Diritti dei minori e prevenzione.
Diversi studi indicano che l’educazione sessuale e affettiva precoce contribuisce alla prevenzione delle violenze di genere, delle discriminazioni e del bullismo, e favorisce la consapevolezza corporea e relazionale.
Limitare o ritardare l’accesso a questi percorsi può lasciare gli adolescenti scoperti rispetto a sfide che affrontano nella vita reale: rapporti affettivi, sessualità in rete, rischi digitali, pressioni sociali.

Le esperienze sul campo
Secondo alcune indagini italiane, solo una minoranza delle scuole medie offre moduli sistematici di educazione sessuale/affettiva. Alcune regioni e città hanno sperimentato progetti pilota con il coinvolgimento di counselor, psicologi, associazioni per i diritti Lgbt+ e per la prevenzione della violenza.
Un esempio concreto: in un istituto della provincia di Milano è stato attivato un percorso trasversale coinvolgendo classi seconde e terze medie con incontri su «Relazioni e rispetto», gestito da una cooperativa specializzata. In quell’esperimento, si è riscontrato un aumento della partecipazione delle famiglie e una maggiore fiducia degli studenti nel chiedere supporto.
Ma altrove le condizioni sono più fragili: scuole senza fondi per progetti, insegnanti sovraccarichi, attività sospese perchè mancavano moduli di adesione o autorizzazioni da parte delle famiglie.
Il ddl Valditara e lo scenario parlamentare
Il disegno di legge in discussione – noto come ddl “Consenso informato in ambito scolastico” – è stato presentato dal ministro dell’Istruzione. Il contesto include anche altri provvedimenti: la revisione delle indicazioni nazionali per il curricolo, la ridefinizione dei Ptof (Piano triennale offerta formativa) e un interesse crescente per temi quali la parità di genere, l’orientamento e la prevenzione della violenza.
La retromarcia rispetto al divieto assoluto alle medie è significativa dal punto di vista politico: la Lega, che inizialmente aveva spinto per un blocco totale, ha modificato la sua posizione in vista del voto, presentando un emendamento che consente le attività sul tema «solo con consenso». Questo gesto è stato interpretato come una mediazione.
Effetti collaterali
Gli esperti segnalano alcune criticità concrete:
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Disuguaglianza educativa: se solo alcuni studenti partecipano ai moduli, si crea una classe doppia: chi riceve l’educazione affettiva e sessuale e chi no, con difficoltà nella gestione del gruppo‑classe.
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Ritardo nell’intervento: l’obbligatorietà del consenso può rallentare l’avvio dei progetti, vanificando l’efficacia dell’intervento nelle età sensibili.
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Complicazioni burocratiche: gli organi scolastici dovranno predisporre moduli, calendarizzare, informare famiglie, ottenere firme; il carico amministrativo può essere alto e scoraggiare le scuole più fragili.
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Rischio di «salto» all’inizio del liceo: se le medie restano prive di questi percorsi sistematici, gli studenti arrivano alle superiori con gap formativi e fragilità relazionali già consolidate.
Un confronto europeo
Nei principali paesi europei l’educazione sessuale e affettiva è inclusa nei curricula, spesso già a 11‑12 anni, e senza richiesta di consenso individuale (o comunque con procedura standardizzata).
In Austria, Svezia, Paesi Bassi, queste attività sono inserite nei piani scolastici da decenni e non sono subordinate alla firma dei genitori per ogni modulo. Gli studi mostrano che dove l’educazione è sistematica e precoce si registrano tassi di gravidanze adolescenziali più bassi, maggiore consapevolezza, meno violenza di genere.
Al contrario, in Italia la frammentazione, la scelta delle scuole e la variabilità regioni/istituti producono un quadro irregolare. Il consenso scritto diventa così un filtro che può trasformare la norma in eccezione.
Nel lungo termine, il rischio è che questa nuova norma resti un «contentino normativo» senza attuazione capillare. Per evitare ciò, sarà utile che le associazioni, le università e gli enti locali collaborino per sperimentare modelli replicabili, coinvolgere famiglie, promuovere comunicazione e formazione.
Parallelamente, si dovrà evitare che il consenso scritto diventi un meccanismo che sottragga diritti agli studenti o li renda passivi rispetto al proprio percorso formativo.
L’Italia ha davanti a sé una finestra di opportunità: inserire nelle scuole medie un percorso sistematico su affettività e sessualità con una regolamentazione chiara e partecipata. Bisognerà valutare se la scuola sarà in grado di accompagnare gli studenti in un percorso di crescita consapevole o lascerà che il vuoto informativo lo colmino esclusivamente i social, il web e gli algoritmi.
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