Due dozzine di rose scarlatte” al Sala Umberto tra nostalgia e attualità

Il 28 settembre debutta a Roma, al Sala Umberto, la nuova produzione LOREB del capolavoro di Aldo De Benedetti. Una commedia che attraversa quasi un secolo senza perdere leggerezza, ironia e verità sulle passioni umane.
Un classico che torna a respirare sul palcoscenico
Ci sono testi che sembrano scritti ieri, anche se sono stati pensati in un’altra epoca, con altri costumi e altri codici sociali. “Due dozzine di rose scarlatte”, la commedia di Aldo De Benedetti che debutterà al Sala Umberto di Roma domenica 28 settembre alle ore 19.00, appartiene a questa categoria rara. Scritto nel 1936 per una coppia di fuoriclasse come Vittorio De Sica e Giuditta Rissone, il testo è diventato negli anni un punto fermo della commedia brillante italiana, passando dal teatro al cinema nel 1940, con un successo che contribuì a definire il genere dei cosiddetti “telefoni bianchi”.
Eppure, dietro il velo elegante e sofisticato delle commedie d’anteguerra, si nasconde una leggerezza mai banale, un’osservazione acuta delle fragilità umane che ancora oggi conserva freschezza e attualità. È su questa scia che LOREB, con la regia di Alessandro Guerra e l’adattamento di Annabella Cerliani, propone una nuova messa in scena, rinnovata ma rispettosa, ambientata in una Roma anni Sessanta.
Quando le rose diventano un terremoto
La vicenda si apre con un dettaglio semplice ma destabilizzante: due dozzine di rose scarlatte recapitate a casa di una giovane coppia, con un misterioso biglietto allegato. A riceverle è Marina, moglie sognatrice, lettrice instancabile di romanzi rosa, che vive in equilibrio tra la realtà domestica e un mondo interiore popolato da illusioni e desideri. Accanto a lei c’è Alberto, giovane ingegnere, metodico e assorbito dal lavoro, che sembra avere occhi solo per i progetti di ristrutturazione della loro nuova casa.
In scena, a sostenere e complicare la coppia, troviamo due personaggi che sono veri motori della commedia: l’amico Tommaso, confidente e consigliere, e la cameriera Addolorata, pragmatica, ironica, con lo sguardo rivolto più ai sogni televisivi di Miss Italia e Massimo Ranieri che ai drammi domestici.
Le rose, però, diventano presto un enigma che scatena sospetti e fraintendimenti: chi le ha mandate? Sono il segno di un amore segreto, di un tradimento inconfessato, o solo un malinteso? Da quel momento prende corpo una girandola di equivoci, sospetti, illusioni e comicità che mette a nudo, con leggerezza, i grandi temi della vita di coppia: amore, gelosia, desiderio, fiducia e paura di perderla.
Una commedia che parla di noi
A rendere speciale “Due dozzine di rose scarlatte” è la sua capacità di parlare di sentimenti universali con un linguaggio teatrale elegante e misurato, ma mai datato. Le passioni, del resto, non conoscono epoche: ieri come oggi, bastano due dozzine di rose per scatenare tempeste emotive.
La decisione di ambientare la vicenda negli anni Sessanta è tutt’altro che casuale: quel decennio rappresenta un crocevia culturale in cui convivono la voglia di modernità e l’eredità dei vecchi schemi sociali. Una società che, come la nostra di oggi, viveva in bilico tra conservazione e cambiamento, tra tradizione e nuove libertà.
Così, mentre gli spettatori di oggi possono sorridere davanti alle ingenuità dei personaggi, non possono fare a meno di riconoscersi nelle loro debolezze: la paura di non essere amati abbastanza, il desiderio di evasione, il bisogno di sentirsi unici agli occhi dell’altro.
Il valore della leggerezza in tempi difficili
“Sorridere. Ridere magari. In questo momento storico così difficile quasi ci sentiamo in colpa quando ci sfiora la voglia di essere spensierati. Ho la sensazione che ci stiamo disabituando, o meglio dimenticando, che si può essere seri ma fiduciosi nello stesso tempo” – sono le parole del regista Alessandro Guerra, che sottolinea come portare in scena questa commedia sia anche un atto di coraggio.
La sua regia punta a restituire la freschezza originaria del testo, senza però indulgere nel puro intrattenimento. L’obiettivo è quello di far uscire il pubblico dalla sala con un sorriso nuovo, più consapevole: “Due dozzine di rose scarlatte è per me un atto di voglia di vedere la gente scrollarsi di dosso la fatica e credere, anche solo per pochi istanti, che una risata come le carezze fanno bene. Al cuore e all’anima”, aggiunge Guerra.
Quattro volti per un gioco di incastri
La nuova produzione LOREB affida il testo a un cast di quattro interpreti d’eccezione:
Biagio Iacovelli, nel ruolo di Alberto, l’ingegnere metodico e razionale, sempre più disorientato dal vortice di sospetti che lo travolge;
Annamaria Fittipaldi, che dà corpo e voce a Marina, la moglie sognatrice, divisa tra la realtà e le illusioni letterarie;
Giuseppe Abramo, nei panni di Tommaso, l’amico fidato ma anche detonatore di tensioni e ironie;
Angela Tuccia, che interpreta Addolorata, personaggio brillante e ironico, incarnazione del buon senso popolare.
Quattro personalità diverse che si incrociano e si scontrano, dando vita a un meccanismo comico perfettamente orchestrato.
La produzione, firmata da LOREB di Giacomo Silvestri, conferma la volontà di portare avanti un teatro di qualità, in grado di coniugare tradizione e innovazione. Non una semplice riproposizione di un classico, ma un modo per ridargli vita in un contesto contemporaneo, avvicinando il pubblico di oggi a un autore spesso sottovalutato come Aldo De Benedetti.
Il lavoro di Annabella Cerliani sull’adattamento ha rispettato la brillantezza del testo originale, inserendo però dettagli scenici e linguistici che lo rendono più vicino alla sensibilità del pubblico di oggi, senza tradirne lo spirito.
De Benedetti, il drammaturgo dell’amore ironico
Vale la pena ricordare la figura di Aldo De Benedetti, uno dei grandi autori della commedia italiana del Novecento. Maestro nel raccontare i rapporti di coppia, i malintesi e le fragilità emotive, De Benedetti è stato spesso accostato a scrittori come Noel Coward o a registi come Ernst Lubitsch, per la sua capacità di unire leggerezza, ironia e profondità psicologica.
In un’epoca segnata da censure e moralismi, i suoi testi riuscivano a parlare di amore, tradimento e desiderio con un linguaggio elegante e insinuante, capace di aggirare i divieti e di arrivare dritto al cuore del pubblico.
Un ponte tra passato e presente
“Due dozzine di rose scarlatte” non è solo una commedia degli equivoci. È un ponte tra passato e presente, un’occasione per riscoprire come il teatro possa ancora oggi offrire leggerezza e riflessione, senza tempo e senza età.
In un mondo in cui spesso si ha l’impressione di aver già visto e sentito tutto, la scelta di riportare sul palco un classico come questo appare come un atto di fiducia: nella forza del testo, nella bravura degli interpreti, ma soprattutto nella capacità del pubblico di lasciarsi sorprendere ancora una volta da una risata, un fraintendimento, una rosa scarlatta.
“Due dozzine di rose scarlatte” ci ricorda che il teatro non è un museo del passato, ma un luogo vivo, capace di rinnovarsi continuamente e di parlare a ogni epoca. E lo fa con quella grazia sottile che solo i grandi classici sanno avere: bastano un mazzo di rose, un biglietto misterioso e una casa in ristrutturazione per trasformare una sera qualsiasi in un’esperienza di risate, emozioni e riflessioni che rimangono.
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