11:06 am, 24 Dicembre 25 calendario

🌐  Visto negato a Breton: Usa, Europa e lo scacco matto diplomatico

Di: Redazione Metrotoday
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La controversa tassa sui visti H1B da 100.000 dollari voluta dall’amministrazione Trump e il rifiuto di visto a Thierry Breton e altri quattro funzionari europei infiammano le relazioni transatlantiche. L’Unione Europea annuncia risposte decise contro quelle che definisce misure inique e politicamente motivate, segnando una nuova era di tensione tra Washington e Bruxelles.

📌  La scena delle relazioni transatlantiche vive un’escalation diplomatica senza precedenti: gli Stati Uniti, sotto la guida dell’amministrazione Trump, hanno confermato una drastica revisione delle regole sull’immigrazione e sui visti di lavoro e al contempo hanno negato l’ingresso negli Usa a cinque figure chiave europee, tra cui spicca il nome di Thierry Breton, ex commissario europeo responsabile della regolamentazione digitale. Le reazioni da Bruxelles sono state immediate e dure, definendo questi gesti non solo una violazione delle consuetudini diplomatiche, ma anche un attacco al principio di sovranità normativa europea. 

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La tassa H1B da 100.000 dollari

La misura più discussa, e da alcuni definita rivoluzionaria, è l’introduzione di una tassa di 100.000 dollari per ogni nuova richiesta di visto H1B, annunciata a settembre e confermata nelle scorse ore anche da un giudice federale che ne ha rigettato il ricorso legale contro la normativa. Secondo la Corte distrettuale di Washington, la potestà di regolamentare l’ingresso di lavoratori stranieri rientra nelle ampie competenze del Presidente degli Stati Uniti, specialmente quando queste decisioni vengono giustificate come protezione degli interessi nazionali.

Il programma H1B è da decenni uno dei pilastri del mercato del lavoro statunitense per l’ingresso di lavoratori stranieri altamente qualificati, in particolare nel settore tecnologico e scientifico. Storicamente, aziende come Google, Microsoft e centinaia di start-up hanno fatto affidamento su questo visto per colmare lacune skills in settori altamente competitivi. Con il nuovo balzello economico, però, molte organizzazioni temono un crollo delle assunzioni straniere: la tassa potrebbe costituire un ostacolo insormontabile per le piccole e medie imprese e le start-up con budget limitati, stravolgendo il tessuto della forza lavoro tecnologica americana.

Per gli analisti economici, l’impatto non riguarda solo la spesa diretta delle aziende che assumono talenti dall’estero, ma anche la competitività globale: con costi così elevati per ottenere un visto, molte società potrebbero rispondere delocalizzando attività all’estero o incrementando tecnologie di automazione per compensare la carenza di personale straniero qualificato.

Una stretta che traina tensioni

In parallelo all’annuncio della “tassa H1B”, l’amministrazione statunitense ha adottato un provvedimento destinato a degenerare in una crisi diplomatica: il divieto di visto per cinque cittadini europei, accusati da Washington di aver promosso politiche di regolamentazione digitale che, secondo il Dipartimento di Stato, avrebbero costretto piattaforme americane a censurare o sopprimere contenuti a loro non graditi.

Al centro della controversia c’è Thierry Breton, ex Commissario europeo per il Mercato interno e figura di spicco nella costruzione del Digital Services Act (DSA), normativa europea volta a imporre standard stringenti di moderazione dei contenuti online e maggiori responsabilità per i giganti tecnologici. Secondo le autorità di Washington, queste regole “extraterritoriali” rappresenterebbero un attacco alla libertà di espressione americana e avrebbero un effetto di “censura” su piattaforme come X, Meta e altre compagnie tech statunitensi.

Oltre a Breton, sono stati colpiti esponenti di organizzazioni come HateAid (Germania), Global Disinformation Index (Regno Unito) e il Center for Countering Digital Hate, tutte entità attive nella lotta contro l’odio online e la disinformazione. Per il Dipartimento di Stato, queste personalità avrebbero orchestrato “sforzi organizzati” per spingere le piattaforme a reprimere opinioni, ossia a censurare contenuti che considerano pericolosi o dannosi, in contrasto con gli standard di libertà di parola sostenuti oltreoceano.

 “Reazione rapida e decisa”

La risposta dell’Unione Europea non si è fatta attendere. Bruxelles ha definito il provvedimento americano come ingiustificato e politicamente motivato, annunciando che si sta valutando una risposta “rapida e decisa” per difendere la sovranità normativa europea. Secondo i rappresentanti comunitari, infatti, il DSA è stato adottato in modo pienamente democratico dalle istituzioni UE e dai Parlamenti nazionali degli Stati membri e non ha alcuna intenzione di interferire nelle libertà costituzionali statunitensi.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha duramente criticato gli Stati Uniti, definendo la decisione di negare il visto a Breton e agli altri come una forma di “intimidazione e coercizione” mirata a minare la sovranità digitale europea. Macron ha insistito che l’UE continuerà a difendere le proprie norme contro ogni pressione esterna, sottolineando l’importanza di mantenere regole globali equilibrate e rispettose dei diritti fondamentali.

Da parte sua, Breton ha reagito sui social rievocando la retorica delle “cacce alle streghe” anni ’50 negli Stati Uniti, suggerendo che l’azione americana somiglia a un ritorno a pratiche ingiustificate contro dissidenti e regolatori indipendenti.

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Tra libertà di espressione e sovranità normativa

Il caso solleva questioni di fondo sul ruolo delle normative digitali e sulla loro influenza oltre i confini nazionali. Il Digital Services Act, entrato in vigore nel 2024, impone trasparenza sulle decisioni di moderazione dei contenuti, obbliga le piattaforme a combattere disinformazione e hate speech, e stabilisce meccanismi di responsabilità per i grandi operatori del web. Questo approccio, visto da molti in Europa come una conquista normativa a tutela dei cittadini, è percepito da alcune frange politiche americane come un’ingerenza nei mercati e nelle libertà d’impresa statunitensi.

La disputa affronta anche il nodo più ampio della regolamentazione globale della tecnologia: chi ha il diritto di imporre regole su piattaforme che operano su scala mondiale? E come bilanciare la protezione degli utenti con la tutela della libertà di parola? Queste domande, finora dibattute in accademie e conferenze tecniche, si trovano oggi al centro di un confronto diplomatico che potrebbe ridefinire l’equilibrio delle potenze normative mondiali.

Con l’Europa pronta a rispondere, si apre un nuovo fronte nelle relazioni transatlantiche, già segnate nei mesi scorsi da controversie sull’energia, i dazi e le catene di approvvigionamento. Le prospettive includono possibili ritorsioni europee sui visti americani, misure tariffarie o altre forme di pressione legale nei confronti di aziende statunitensi.

Nel frattempo, la tassa sui visti H1B rimane in vigore, con impatti potenziali sull’industria tech, il mercato del lavoro e la competitività globale degli Stati Uniti. Se la politica estera e quella economica si intrecciano sempre più strettamente, è chiaro che il 2026 potrebbe inaugurare una fase di confronto strutturale tra le due sponde dell’Atlantico, con effetti che si riverbereranno su imprese, lavoratori e cittadini di entrambi i blocchi.

24 Dicembre 2025
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