🌐 Valentina Ferragni e il corpo libero
Valentina Ferragni è tornata al centro del dibattito mediatico con una dichiarazione che ha immediatamente acceso discussioni sui social e nei talk televisivi: «Mi piace girare per casa in mutande perché sono una persona libera. Chi lavora con me sa che non ho problemi a cambiarmi davanti a loro o a mostrare il mio corpo».
Un’affermazione che, al di là dell’apparente leggerezza, tocca temi profondi: il rapporto con il corpo, la libertà individuale, la cultura dell’immagine e il confine – sempre più labile – tra pubblico e privato.
📌 In una fase in cui il corpo femminile è al centro di narrative spesso conflittuali, tra rivendicazioni di autodeterminazione e critiche al sovra-esibizionismo sui social, le parole della sorella minore di Chiara Ferragni si collocano all’incrocio di fenomeni culturali molto più vasti del semplice “stare in mutande in casa”.
La dichiarazione che divide
La frase, pronunciata durante un’intervista a margine di un progetto di comunicazione legato al mondo della moda, ha immediatamente polarizzato l’opinione pubblica. Da un lato, chi la considera un esempio di empowerment e spontaneità; dall’altro, chi vede in quelle parole l’ennesimo capitolo della spettacolarizzazione dell’intimità, cifra tipica dell’ecosistema Ferragni.
Molte donne hanno commentato online sottolineando come la normalità della vita domestica, lontana da filtri e pressione sociale, appartenga più a una dimensione privata che non richiede alcuna giustificazione. “Il problema – osserva una sociologa interpellata per il dibattito – non è che una donna giri in mutande in casa, ma che lo si debba trasformare in un manifesto. La differenza la fa il contesto mediatico.”
Eppure, ridurre la vicenda a una semplice boutade rischia di non cogliere la complessità del personaggio e la consapevolezza comunicativa che da sempre contraddistingue la famiglia Ferragni.
Il corpo come strumento narrativo
🔎 Valentina Ferragni, negli ultimi anni, ha costruito un’identità pubblica distinta da quella della sorella più famosa: meno legata al business imprenditoriale e più orientata a temi come la body positivity, la salute (proprio lei ha raccontato pubblicamente l’esperienza con un tumore alla pelle nel 2022), e l’accettazione delle imperfezioni.
In questo senso, le sue parole possono essere inserite in un percorso di racconto personale che utilizza il corpo – e la sua naturalezza – come strumento per veicolare messaggi di libertà. Non una provocazione, dunque, ma un gesto comunicativo coerente.
“Non ho problemi a mostrarmi per quella che sono, anche davanti alle persone che lavorano con me” ha precisato. Una dichiarazione che richiama il mondo della moda, dove il corpo è quotidianamente esposto, modificato, analizzato e spesso giudicato.
Tra spontaneità e strategia: l’effetto Ferragni
Ma attenzione: ogni dichiarazione pubblica proveniente da un membro della famiglia più studiata d’Italia porta con sé un significato ulteriore. Le Ferragni non sono semplicemente influencer; sono un fenomeno socio-economico, un laboratorio vivente di comunicazione digitale.
Questo vale anche per Valentina, il cui personaggio risulta spesso meno costruito rispetto a quello della sorella Chiara ma comunque perfettamente immerso nei meccanismi dell’auto-narrazione online. Ed è proprio questo a far discutere: la difficoltà di distinguere ciò che è davvero “intimo” da ciò che viene condiviso per amplificare un messaggio, o per consolidare un posizionamento.
Non è un caso che l’uscita sia arrivata in un momento di intensa attività professionale e visibilità, tra nuove collaborazioni e un rebranding personale che punta su autenticità e naturalezza.
La reazione del pubblico: normalità ed eccesso
Sui social il dibattito è stato immediato. Alcuni commentatori hanno difeso la scelta come espressione di un diritto sacrosanto: quello di sentirsi liberi nel proprio spazio domestico, senza pudori imposti. Altri invece hanno criticato il fatto che tale normalità debba essere tematizzata come un gesto rivoluzionario.
“In realtà, il punto non è girare in mutande – scrive un utente – ma trovarsi nella posizione di dover dichiarare qualcosa per mostrarsi normali. È il mondo dell’influencing che distorce tutto.” Un pensiero condiviso da più voci.
Allo stesso tempo, molte giovani ragazze hanno visto nella dichiarazione un invito a non vergognarsi del proprio corpo, soprattutto in un’epoca in cui filtri e aspettative estetiche fanno spesso sentire “sbagliati”.

Un nuovo capitolo della body positivity
Valentina Ferragni è da tempo ambasciatrice di un linguaggio più morbido sul corpo: non perfetto, non patinato, non standardizzato. In questo senso, la sua affermazione può essere interpretata come un naturale step successivo: riportare il corpo alla sua dimensione più semplice, quella della quotidianità domestica.
In un contesto iper-medializzato, è paradossale ma vero: raccontare la normalità diventa un atto politico.
C’è però chi sottolinea come la body positivity, negli ultimi anni, sia spesso stata cooptata dal marketing, trasformandola da movimento emancipatorio a leva commerciale. Ed è in questo nodo che si inserisce la figura di Valentina Ferragni.
Tra corpo, immagine e libertà
La vicenda Ferragni, ancora una volta, è uno specchio dell’epoca: un tempo in cui anche ciò che dovrebbe essere più naturale – l’intimità del corpo – assume significati culturali complessi. Le parole di Valentina generano discussione perché incarnano la tensione tra libertà personale e comunicazione pubblica, tra normalità e spettacolo, tra spontaneità e branding.
In fondo, il tema non è mai stato “girare in mutande”. Il tema è cosa rappresenti oggi un corpo esposto, raccontato, discusso, filtrato, giudicato. E soprattutto: chi ha il potere di farlo, e con quale impatto.
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