🌐 Tremano gli scenari geopolitici, Cavo Dragone e l’ipotesi di attacco preventivo
L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone — presidente del Comitato Militare della NATO — ha rilasciato una dichiarazione al quotidiano britannico Financial Times che rischia di segnare una svolta nelle politiche di difesa dell’Alleanza Atlantica: «Stiamo valutando di agire in modo più aggressivo e preventivo, piuttosto che reagire». Secondo l’ufficiale, l’idea di un «attacco preventivo» contro la Russia non è esclusa, come risposta agli attacchi ibridi — cyberattacchi, sabotaggi, violazioni dello spazio aereo — attribuiti negli ultimi tempi a Mosca.
«Un attacco preventivo potrebbe essere interpretato come un’azione difensiva», ha spiegato Dragone, pur riconoscendo che si tratta di un approccio «molto lontano» dalla tradizione e dall’etica operativa della NATO. Essenziale, secondo l’ammiraglio, sarà affrontare le questioni giuridiche e di giurisdizione: chi decide, come si valuta la legittimità, in che quadro normativo si muove l’Alleanza.
L’intervista ha rapidamente provocato un intenso dibattito politico, militare e mediatico: alcuni — soprattutto nelle nazioni dell’Europa orientale — spingono da tempo per un approccio più deciso; altri mettono in guardia sui rischi di una escalation incontrollata.
Tensione crescente e “guerra ibrida”
Le parole di Dragone non arrivano a caso. Da mesi la comunità di intelligence e la leadership della NATO denunciano un’intensificazione delle cosiddette “operazioni ibride” russe: sabotaggi di infrastrutture, attacchi informatici, interferenze nelle comunicazioni, incursioni aeree non autorizzate, e un’attività sistematica di pressione sul fianco orientale dell’Alleanza
Secondo fonti interne all’Alleanza, mosse come l’operazione Baltic Sentry — un pattugliamento continuo del Mar Baltico con navi, droni e sorveglianza — sono servite finora a evitare incidenti gravi, ma non sono bastate a scoraggiare Mosca. «Da quando è partita Baltic Sentry non è successo nulla — segno che la deterrenza funziona» ha commentato Dragone. Tuttavia, con l’escalation degli attacchi ibridi, molti fra gli alleati orientali hanno perso fiducia nella difesa passiva.
In questo contesto, l’idea di un attacco preventivo emerge come opzione per rispondere non con reazione, ma con anticipo, nella speranza di dissuadere ulteriori azioni ostili. Una strategia che — nelle intenzioni della NATO — si configurerebbe come difensiva, non aggressiva. Ma tale distinzione giuridico-politica è tutto meno che scontata.
Giustizia, etica, coesione dell’Alleanza
I sostenitori della linea aggressiva ritengono che la deterrenza sia efficace solo se si dimostra pronti a rispondere con forza a provocazioni, e che la Russia non debba percepire alcuna debolezza dell’Alleanza. Per alcuni Stati dell’Europa orientale — già esposti a violazioni dello spazio aereo e rischi di sicurezza diretti — l’ipotesi di una risposta preventiva appare come necessaria per tutelare popolazioni e confini.
- Quadro legale internazionale: l’uso della forza preventiva contrasta con la tradizionale distinzione tra attacco imminente e attacco già avvenuto. Chi stabilirebbe le soglie? Chi valuterebbe le prove? Che tipo di mandato servirebbe?
- Rischio di escalation incontrollata: un’azione preventiva potrebbe innescare una reazione militare da parte della Russia, magari con ripercussioni sull’intero teatro europeo.
- Coesione interna alla NATO: non tutti gli alleati condividono la stessa percezione di minaccia; una decisione unilaterale o frettolosa rischia di creare spaccature.
- Legittimità morale e opinione pubblica: colpire per primo, anche se giustificato come difesa, potrebbe suscitare critiche, soprattutto in Paesi occidentali sensibili al diritto internazionale.
Lo stesso Dragone, del resto, ha riconosciuto che «superare il nostro modo di pensare» — ovvero uscire da una logica reattiva per abbracciarne una preventiva — rappresenta un salto storico nel modus operandi dell’Alleanza.
Dalla deterrenza all’escalation
Un attacco preventivo — soprattutto su scala cibernetica o “ibrida” — potrebbe generare conseguenze molto difficili da prevedere. Alcune delle principali preoccupazioni:
- Effetti collaterali su civili e infrastrutture: la distinzione tra obiettivi militari e civili è spesso sfumata, soprattutto in guerra ibrida.
- Effetto domino geopolitico: una risposta preventiva potrebbe spingere la Russia a rispondere a sua volta, con missili, attacchi informatici o mobilitazioni militari.
- Difficoltà di verifica e trasparenza: prove, responsabilità, obiettivi — tutto dovrebbe essere documentabile, anche per preservare credibilità e coesione tra gli alleati e verso l’opinione pubblica.
- Precedente pericoloso: una volta varcata la soglia dell’attacco preventivo, quale conseguenza se non c’è una chiara distinzione tra prevenzione e aggressione? Le regole che oggi sembrano chiare potrebbero diventare labili.
Reazioni politiche e diplomatiche: un’Europa divisa
Immediata la reazione di analisti, politici, esperti di diritto internazionale e militari. Alcuni governi — soprattutto dell’Europa orientale — guardano con favore a una linea più decisa, convinti che la deterrenza tradizionale abbia mostrato i suoi limiti. Altri, più cauti, richiedono prima un consenso unanime tra gli alleati, una valutazione trasparente delle conseguenze e un forte coordinamento diplomatico.
Secondo un recente editorialista europeo, «la NATO non può più limitarsi a difendere i confini quando la guerra si gioca già all’interno dell’Europa, con mix di cyber, sabotaggi e droni stealth: servono risposte chiare, credibili e — se necessario — preventive».
Ma per ora, la diplomazia cerca di guadagnare tempo: nei corridoi dell’Alleanza si discute su procedure interne, mandate operative, ruoli dei singoli Stati membri. Nessuna decisione è stata formalizzata — ma la fase di studio dichiarata dall’ammiraglio Dragone è già di per sé una mossa politica forte.
Uno spartiacque per la difesa europea: e per l’Italia?
Le implicazioni per la politica di difesa europea — e italiana — sono profonde. Se la NATO dovesse adottare l’attacco preventivo come opzione credibile, l’intero concetto di mutua difesa e deterrenza cambierebbe. Paesi come l’Italia, che non si trovano sul “fronte principale” ma che partecipano in coalizione, dovranno confrontarsi con scelte difficili: quanta condivisione, quali regole, quali limiti.
Negli ultimi mesi anche figure autorevoli italiane avevano espresso allarme. Il fronte baltico-adriatico, la vulnerabilità del Mediterraneo alla proiezione russa, l’aumento di droni, sottomarini e capacità ibride — tutti elementi che rendono la discussione urgente.
La NATO a un bivio — deterrenza 2.0 o conflitto
La proposta — o meglio, la valutazione — di attacchi preventivi contro la Russia non è un fatto tecnico, ma una scelta strategica e politica che ridefinisce la natura stessa della difesa collettiva in Europa. È il segno che la guerra, già iniziata sul piano ibrido e cibernetico, sta spingendo l’Alleanza a riconsiderare i propri confini morali, legali e operativi.
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