🌐 Dove si vive meglio in Italia nel 2025: Trento torna regina
Roma risale ma resta il divario Nord-Sud
Con la pubblicazione dell’edizione 2025 dell’indagine del Il Sole 24 Ore sulla “Qualità della vita”, torna ad accendersi il dibattito sul benessere territoriale in Italia: da una parte la conferma di eccellenze consolidate, dall’altra l’ombra persistente delle disuguaglianze regionali. A spiccare, quest’anno, è la riconquista della vetta da parte della provincia di Trento, mentre tra le grandi città, Roma segna una notevole risalita — pur restando ben lontana dai primi posti. Ma la fotografia statica offre solo un primo sguardo: occorre appena scavare più a fondo per delineare luci, ombre, tendenze strutturali e sfide aperte per l’Italia.
Trento in cima, la “prima della classe”
Per la 36ª edizione dell’indagine, Trento riconquista il gradino più alto del podio, precedendo le province di Bolzano e Udine.
Il motivo? Un mix consolidato di fattori: servizi pubblici efficienti, gestione del territorio e dell’ambiente, qualità della sanità, scarsa criminalità, cura dei servizi sociali, equilibrio tra aree urbane e aree naturali. In altre parole: un contesto in cui benessere oggettivo e percezione soggettiva coincidono pienamente.
Non è un caso che, secondo l’ultima rilevazione ISTAT sugli “Aspetti della vita quotidiana”, tra i residenti delle province autonome di Trento e Bolzano il 61,9% dichiari un elevato grado di soddisfazione per la propria vita.
Va poi sottolineato come Trento quest’anno abbia già primeggiato in classifiche “parziali”: l’Indice della Sportività e l’“Ecosistema Urbano” — misure tematiche connesse rispettivamente al tempo libero e alla qualità ambientale — avevano indicato la provincia come un’eccellenza del Paese.
In termini storici, il primato di Trento non è un salto isolato: dal 1990 ad oggi, il palmarès della provincia conta già due ori, tre argenti e nove bronzi, testimonianza di una performance costante e durevole nel tempo.
Il successo di Trento è la dimostrazione — più chiara che mai — che qualità della vita e buona amministrazione sono lungimiranza: investire in servizi, salute, ambiente e coesione sociale paga, nel breve e nel lungo termine.

Milano, Bologna, Roma e la nuova geografia del benessere urbano
La classifica 2025 conferma la predominanza del Nord — in particolare del Nord-Est — nella top ten del benessere. Tra le migliori dieci province, accanto a Trento, Bolzano e Udine, figurano Bergamo, Treviso, Verona, Padova, Parma, oltre a due grandi città metropolitane: Bologna (quarta) e Milano (ottava).
Per Bologna si tratta di un miglioramento rispetto al 2024 di 5 posizioni, segno di una vitalità urbana e di una capacità di mantenere un buon equilibrio tra opportunità economiche e servizi. Milano, pur tra difficoltà strutturali come inquinamento, costo della vita e problemi di sicurezza, beneficia ancora di una forte dotazione di servizi, infrastrutture, mercato del lavoro e tessuto produttivo.
Interessante la situazione delle metropoli in generale: nonostante le criticità, molte registrano un miglioramento complessivo. Oltre a Bologna e Milano, anche Roma fa un balzo significativo: +13 posizioni rispetto al 2024, collocandosi al 46° posto.
Anche Genova (+11 posizioni, 43ª) segna un buon progresso, mentre Torino scala solo di un gradino, chiudendo al 57°.
Questi recuperi suggeriscono che le grandi città — pur affrontando problemi come traffico, abitazioni costose e disuguaglianze — riescono parzialmente a compensare con opportunità economiche, cultura, infrastrutture e servizi, rappresentando ancora per molti giovani e famiglie un’area di attrazione rispetto a province che offrono comfort ma poche prospettive lavorative o culturali.
Roma è davvero una “metropoli da vivere”?
Per la capitale, la classificazione 2025 segna un dato positivo: +13 posizioni, dal 59° al 46° posto. Questo salto mostra che alcune dinamiche — politiche, urbane, economiche — stanno dando qualche segnale incoraggiante.
Questo progresso è probabilmente legato a miglioramenti su più fronti: servizi, offerta culturale, lavoro, turismo, ma anche una maggiore attenzione ai servizi sociali e urbanistici. Alcuni indicatori specifici inseriti nella rilevazione di quest’anno — ad esempio riguardanti ambiente, mobilità, qualità urbana — potrebbero aver favorito metropoli con grandi risorse come Roma.
Tuttavia, la posizione al 46° posto indica che la capitale non è ancora una metropoli “top per qualità della vita”: le sfide restano elevate. Per molti romani, le criticità quotidiane — trasporti, costi abitativi, disuguaglianze sociali, degrado in alcune aree — pesano ancora, riducendo il gap tra aspettative e realtà. In più, la classifica sottolinea quanto la qualità della vita urbana non dipenda solo da servizi e opportunità: la percezione, la coesione sociale, l’equilibrio tra centro e periferie, la capacità di rendere sostenibile la vita, sono aspetti complessi da risolvere.
Il Sud resta in fondo: un divario che dura
Se il Nord e il Centro-Nord consolidano il loro primato, il Sud e le Isole restano largamente in fondo alla classifica. Nella graduatoria generale, la prima provincia meridionale è Cagliari (39ª), seguita da distanziate aree come Bari, Catania, Messina, Palermo e Napoli. Chiude, ancora una volta, la classifica Reggio Calabria, fanalino di coda da anni.
Secondo l’analisi diffusa da diversi media indipendenti, le ragioni sono strutturali: carenza di investimenti, fatiscenza delle infrastrutture, servizi sanitari e sociali sotto standard, disoccupazione cronica, emigrazione dei giovani, debolezza del sistema produttivo.
Il dato più preoccupante: su 107 province analizzate, solo 60 — poco più della metà — risultano con una qualità della vita “buona o accettabile”. Ciò significa che, anche al Nord, ci sono aree in sofferenza; ma al Sud la concentrazione di difficoltà rende il problema sistemico.
L’indagine del Sole 24 Ore 2025 si fonda su 90 indicatori articolati in sei grandi dimensioni: ricchezza e consumi; affari e lavoro; ambiente e servizi; demografia, società e salute; giustizia e sicurezza; cultura e tempo libero.
Un cambiamento recente nell’impostazione: alcuni indicatori tradizionali sono stati aggiornati o sostituiti — per esempio, la ricchezza patrimoniale pro capite è stata sostituita con i valori immobiliari, e un nuovo indicatore riguarda il costo degli affitti al metro quadro.
Questo aggiornamento porta con sé effetti non neutri: in città dove gli affitti sono molto alti, l’indicatore penalizza la qualità della vita. Di contro, territori con un buon equilibrio tra costo della vita e livello dei servizi — anche se meno ricchi — possono risultare più “vivibili”.
Un aspetto particolarmente interessante: la percezione soggettiva del benessere — misurata da rilevazioni come quelle dell’ISTAT — spesso coincide con le classifiche oggettive, ma non sempre. Alcune province con indicatori medi possono registrare un alto grado di soddisfazione, grazie a comunità coese, servizi locali efficaci, un buon rapporto con la natura, qualità sociale.
In questo senso, la classifica di fine anno non fotografa solo l’Italia delle infrastrutture e della ricchezza, ma anche quella delle “micro-scelte”: vivibilità dei quartieri, accesso alla natura, coesione sociale, equilibrio tra lavoro e qualità della vita.
Una fotografia utile
Nonostante l’utilità della classifica annuale, alcuni osservatori critici segnalano limiti e avvertenze:
- L’equilibrio tra indicatori oggettivi e percezione personale può generare una rappresentazione parziale, che valorizza certi modelli di vita (città piccole, tranquilli centri urbani, forte coesione sociale) e penalizza altri (metropoli, movimenti, mobilità, diversità).
- Le classifiche aggregano province: ciò nasconde le disomogeneità interne, tra aree centrali e periferiche, tra zone ben collegate e quartieri isolati, tra centri vitali e paesi in calo.
- Alcuni indicatori — come il costo dell’abitare, l’inquinamento, la qualità ambientale — possono variare molto da un quartiere all’altro, e una media provinciale può nascondere sacche di degrado o disagio.
- Le classifiche misurano condizioni materiali e struttura dei servizi, ma meno le dinamiche sociali: integrazione, coesione, reti di solidarietà, mobilità sociale, opportunità di crescita culturale o personale.
Quello che emerge dalla classifica 2025 è, innanzitutto, un’Italia divisa: un Nord che — in larga parte — sa garantire benessere, servizi, sicurezza, lavoro; un Sud e un’Italia insulare che restano in difficoltà strutturali e sociali difficili da colmare.
Ma emergono anche segnali di cambiamento: le grandi città, nonostante le criticità, restano attrattive e in parte resilienti. Alcune metropoli mostrano che con politiche urbane attente, investimenti in infrastrutture e servizi, e un equilibrio tra crescita economica e qualità della vita, la vita in città può essere sostenibile e desiderabile.
Per il Sud, invece, la sfida rimane complessa: senza un progetto strutturale di rilancio — infrastrutture, lavoro, istruzione, servizi sociali — è difficile pensare a un’inversione di tendenza. Le differenze sono profonde, e non bastano incentivi temporanei: servono politiche di medio-lungo termine, orientate a ridurre il divario in termini reali e percepiti, a superare il gap generazionale, a rendere possibile per i giovani restare o tornare, con dignità e speranza.
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