8:39 am, 30 Novembre 25 calendario

🌐 Tre italiani aggrediti in Cisgiordania: l’attacco di coloni a Ein al‑Duyuk

Di: Redazione Metrotoday
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Nella notte  la comunità internazionale attiva in Cisgiordania — cooperanti, volontari, operatori umanitari — è stata scossa da un episodio violento che ha coinvolto anche cittadini italiani. Quattro volontari stranieri, tra cui tre italiani, sono stati aggrediti all’alba nella loro abitazione a Ein al‑Duyuk, un insediamento vicino a Gerico, da un gruppo di coloni israeliani mascherati.

Secondo la ricostruzione delle autorità palestinesi, dieci aggressori hanno fatto irruzione nell’abitazione, picchiando i volontari con pugni e calci — anche al viso, all’addome e alle gambe — e razziando effetti personali come passaporti e telefoni. I quattro feriti — due donne italiane, un uomo italiano e un volontario canadese — sono stati trasferiti in ospedale e poi dimessi. Nessuno sarebbe in pericolo di vita, ma l’episodio ha suscitato sgomento, indignazione e dure reazioni politiche.

Il ministro degli Esteri italiano ha condannato l’attacco definendolo “gravissimo”, invitando il governo di Tel Aviv a fermare l’escalation di violenze da parte dei coloni e a garantire la protezione dei cittadini stranieri presenti nei territori occupati.

Ma al di là delle immediate reazioni diplomatiche, questo episodio rappresenta — ancora una volta — un segnale preoccupante dell’aggravarsi della tensione nella Cisgiordania occupata, dove atti di violenza da parte di coloni, incursioni, intimidazioni e raid notturni stanno assumendo una frequenza che non può essere ignorata.

https://www.gedistatic.it/content/gedi/img/limesonline/2024/06/07/120851794-bedeb893-29bf-4823-800f-b78e91535ce4.jpgL’attacco: cosa è successo a Ein al‑Duyuk

Secondo quanto emerso dalle prime ricostruzioni, l’irruzione è avvenuta fra le 4 e le 5 del mattino. I coloni, con il volto coperto, hanno sfondato la porta della casa dove alloggiano gli attivisti. All’interno, un piccolo gruppo di volontari internazionali che svolgono attività di sostegno alle comunità palestinesi — accompagnamento di bambini a scuola, supporto agli agricoltori, difesa della presenza civile nelle aree rurali. Quando gli aggressori si sono presentati, molti dormivano.

Le donne presenti hanno raccontato di essere state colpite da pugni al viso e calci alle costole e alle gambe, mentre all’uomo è stato inferto un calcio che potrebbe richiedere riposo per alcuni giorni. In seguito all’aggressione, gli assalitori hanno rubato passaporti, telefoni e altri beni personali, e hanno intimato: ÂŤDon’t come back hereÂť — ÂŤNon tornate piڝ. 

Le autorità palestinesi e la polizia locale sono intervenute, gli attivisti sono stati portati all’ospedale di Gerico, visitati e dimessi nelle ore successive. Il consolato italiano a Gerusalemme è stato immediatamente attivato, coordina la vicenda in stretto contatto con le autorità locali.

Dal canto suo, il governo italiano — tramite il ministro degli Esteri — ha chiesto a Israele di intervenire subito per garantire la sicurezza dei civili e di porre fine alle aggressioni: «La Cisgiordania non deve essere annessa, nessuna ipotesi di annessione», ha ribadito, riferendosi alla recente pressione di Tel Aviv su territori contesi.

Il ritorno della violenza dei coloni

Questo attacco si inserisce in un contesto di rinnovata intensità di violenze da parte di coloni israeliani in Cisgiordania — una tendenza già osservata dopo l’escalation iniziata con la guerra a Gaza del 2023 e le crescenti tensioni in tutto il territorio occupato. Solo nell’ultimo mese, sono stati segnalati decine di raid, incendi di proprietà palestinesi, attacchi durante la raccolta delle olive, pestaggi, aggressioni contro giornalisti e operatori umanitari.

Uno degli eventi recenti riguarda un giornalista di una grande agenzia internazionale, colpito durante la stagione della raccolta delle olive nei pressi di Nablus — un assalto che riflette la pericolosità della situazione anche per chi compie attività documentative o pacifiche.

Le statistiche parlano chiaro: secondo alcune ONG e osservatori, questo novembre 2025 è stato il mese più violento per la Cisgiordania da quando vengono raccolti i dati (dal 2006), con centinaia di attacchi da parte di coloni, molte delle quali hanno causato feriti, sfollati, danni a proprietà e intimidazioni. In passato anche residenze, abitazioni, scuole e moschee in villaggi palestinesi sono state oggetto di incendî, graffiti, incursioni notturne. Ogni volta — denunciano le comunità — con poca protezione da parte delle autorità israeliane, o con omissioni sistematiche.

È in questo quadro che va inserita la grave aggressione ai tre volontari italiani: non un fatto isolato, ma un elemento di una escalation che sembra non conoscere sosta.

I volontari internazionali: un ruolo controverso

Gli attivisti aggrediti facevano parte di un network internazionale di solidarietĂ , impegnato da anni a “scortare” comunitĂ  palestinesi vulnerabili — contadini, pastori, famiglie esposte a attacchi di coloni — offrendo supporto civile, mediazione, protezione simbolica e concreta. Alcune ONG internazionali operano con la collaborazione di volontari stranieri proprio per portare un’attenzione internazionale su una situazione spesso ignorata.

In passato, questi volontari hanno documentato violenze, incendi, demolizioni — con testimonianze, video, rapporti: il loro ruolo ha contribuito a dare visibilità a eventi che altrimenti sarebbero rimasti confinati alle comunità locali.

Tuttavia, il loro intervento non sempre è stato visto di buon occhio da parte di alcuni gruppi estremisti tra i coloni o tra fazioni radicali: nei mesi di raccolta delle olive, diverse squadre di volontari internazionali sono state vittime di aggressioni, minacce, danneggiamenti di veicoli.

Il 30 novembre 2025, con l’attacco a Ein al-Duyuk, la situazione ha raggiunto un nuovo livello di gravità: l’irruzione in una casa, in piena notte, con uso di violenza fisica e furto. Un segnale che la presenza internazionale non è sufficiente a garantire protezione, e che i volontari stessi possono diventare bersagli — con l’intento, forse, di intimorire chi sostiene le comunità palestinesi e di scoraggiare testimonianza e mediazione.

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Roma, Tel Aviv, Gerusalemme

L’episodio ha immediatamente coinvolto il governo italiano. Il ministro degli Esteri ha chiesto l’intervento del governo israeliano per “impedire che continuino queste violenze” e ha ribadito la contrarietĂ  dell’Italia a ogni ipotesi di annessione della Cisgiordania. Il consolato italiano in Gerusalemme è rimasto in stretto contatto con le autoritĂ  palestinesi, mentre si cercano garanzie su sicurezza e incolumitĂ  per i connazionali.

La pressione internazionale su Israele — già elevata per le operazioni militari in Gaza e per i raid nella West Bank — rischia di aumentare ulteriormente. L’Italia, insieme ad altri Stati europei, potrebbe chiedere un intervento congiunto per proteggere civili, operatori umanitari e volontari, e per garantire che la presenza civile internazionale non venga considerata un “bersaglio legittimo”.

Coloni, insediamenti, politica delle terre — una lunga escalation

Per capire l’attacco a Ein al-Duyuk bisogna guardare indietro, agli ultimi anni della situazione in Cisgiordania.

Espansione degli insediamenti e mutamento demografico
Dopo il conflitto del 2023 e la successiva guerra a Gaza, molti coloni israeliani hanno accelerato l’ampliamento degli insediamenti: costruzione di nuove unità abitative, strada, infrastrutture, spesso in aree vicine a villaggi palestinesi. Questo ha aumentato la pressione demografica e territoriale sulla popolazione locale, intensificando le tensioni e creando frequenti scontri — non solo militari, ma anche civili.

Crescita della violenza dei coloni — e impunità
I gruppi di coloni radicali, spesso autonomi o semi‑organizzati, hanno intensificato le aggressioni: incendi di oliveti, assalti notturni a case o grotte, intimidazioni contro contadini, famiglie, operatori umanitari. Le autorità israeliane raramente intervengono con efficacia, e le denunce molte volte non portano a indagini serie. Questo clima di impunità consolida la logica della violenza come strumento di paura e controllo.

La presenza internazionale come “scudo umano” e come obiettivo
Organizzazioni internazionali e volontari stranieri — europei, americani, canadesi — hanno cercato di offrire protezione civile e visibilità alle comunità palestinesi, con “presenze civili” in villaggi e terreni agricoli. Ma con l’aggravarsi della situazione, la loro presenza rischia di trasformarsi in un ulteriore fattore di instabilità: vengono percepiti come “aliati” dei palestinesi, come testimoni scomodi, e dunque potenziali bersagli. L’attacco di Ein al-Duyuk è la concretizzazione più recente di questa deriva.

Dopo l’aggressione, diverse associazioni per i diritti umani — locali e internazionali — hanno chiesto un intervento urgente: protezione per gli operatori umanitari, sanzioni per i gruppi di coloni, vero monitoraggio degli insediamenti, investigazioni indipendenti sugli attacchi.

Alcuni parlamentari europei hanno annunciato che chiederanno agli organismi internazionali (ONU, UE) un rapporto sull’escalation di violenza nei Territori Occupati, per valutare possibili misure di tutela per i civili e per gli operatori stranieri.

In Italia, il dibattito politico è già acceso: mentre alcune forze chiedono maggiore fermezza nella condanna, altre — scettiche sull’efficacia delle pressioni diplomatiche — invitano a rivedere le politiche di cooperazione con organizzazioni che operano nei Territori Occupati, alla luce dei rischi crescenti.

Tra le tante voci, una emerge con forza: quella delle comunità locali palestinesi, stanche di subire abusi, intimidazioni, furti, espulsioni. Per loro, ogni aggressione a volontari internazionali è un duro colpo: perchÊ significa meno protezione, meno visibilità, meno speranze.

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L’urgenza della verità e della protezione

Quando tre italiani si fanno male — non in un’azione di guerra, ma in un raid notturno condotto da coloni — non è solo un fatto di cronaca: è un campanello d’allarme per l’intera comunità internazionale.

Serve più che solidarietà e condanne. Serve protezione concreta, presenza istituzionale, meccanismi seri di tutela per civili e operatori internazionali. Serve che la comunità internazionale — Stati, organizzazioni, organizzazioni non governative — riconosca che ciò che accade in Cisgiordania non è un conflitto “locale”, ma una crisi di diritti, di dignità, di giustizia.

30 Novembre 2025
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