12:26 pm, 26 Novembre 25 calendario

“Moriamo di freddo”: la denuncia di Gianni Alemanno dal carcere

Di: Redazione Metrotoday
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Nel cuore di Roma, dietro le mura di uno degli istituti penitenziari più noti, si alza oggi un grido che invita alla riflessione su condizioni di detenzione difficili, forse degradanti. A lanciarlo, attraverso un “diario di cella” diventato pubblico sui social, è l’ex sindaco della Capitale Gianni Alemanno, detenuto a Rebibbia: una denuncia — urgente e allarmata — sulle condizioni invernali all’interno del carcere, fatta di freddo, impianti non funzionanti, sovraffollamento e diritti elementari messi in discussione.

I termosifoni si spengono: gelo, caldaie rotte, celle fredde

Secondo il racconto di Alemanno, l’emergenza è cominciata il 23 novembre scorso: in quella data i termosifoni del penitenziario risultavano “completamente spenti” nonostante un brusco calo delle temperature e nevicate su larga scala in tutta Italia.

Le conseguenze: celle “gelide”, acqua calda assente dopo le 20, docce impossibili per chi finiva il turno serale, e uno stato di disagio diffuso che coinvolge non solo i detenuti, ma anche gli agenti della polizia penitenziaria — costretti, secondo Alemanno, a fare servizio con uniformi pesanti e pigiami sotto la mimetica.

Alemanno parla con durezza: “Nevica in tutta Italia, le temperature scendono anche a Roma… e qui siamo al freddo, dentro le celle di Rebibbia” — un allarme che punta i riflettori su quello che definisce un “disastro caldaie”, che penalizza esseri umani, indipendentemente dallo status, dalla condizione o dai reati loro imputati.

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Sovraffollamento e degrado

Il problema del freddo, secondo il detenuto, è aggravato da una criticità ben più strutturale: il sovraffollamento. Stanze destinate a spazi comuni — salette per socialità o ricreazione — secondo il diario si sarebbero trasformate in camere di fortuna, con brande disposte lungo le pareti per fare posto a nuovi arrivi. 

In un caso citato come esempio, in un reparto del primo piano, una saletta ricavata in “cellula‑contenitore” sarebbe ospitata da sei a otto persone, con servizi igienici minimi, bagni trasformati in secchi d’acqua, e condizioni igieniche precarie.

Questa situazione, per Alemanno, mostra come il problema del freddo sia solo la punta di un iceberg: sotto c’è una gestione penitenziaria che, secondo lui, rischia di violare i diritti fondamentali garantiti anche a chi è detenuto.

L’appello alle istituzioni

L’ex sindaco non si limita a denunciare: lancia un appello — anche durissimo — nei confronti delle istituzioni, in particolare del Carlo Nordio, attuale ministro della Giustizia, che in passato aveva dichiarato l’intenzione di “spezzeremo le reni al sovraffollamento, senza scarcerare nessuno”.

Alemanno ironizza sul contrasto tra certe dichiarazioni e la realtà che lui e altri detenuti vivono ogni giorno: “A guardarli, gli agenti sembrano soldati di Napoleone in Russia, tutti imbacuccati… e invece sono solo le truppe del maresciallo Nordio”, scrive, in un passaggio che fotografa il paradosso della situazione: da una parte le dichiarazioni politiche, dall’altra celle fredde e sovraffollate, umanità ridotta a condizioni di sopravvivenza. Ma la denuncia non è priva di conseguenze: il diario di cella — già letto in passato in Parlamento da alcuni esponenti politici che chiedevano riforme — torna a scuotere la coscienza pubblica, rimettendo al centro la questione dei diritti umani nelle carceri italiane, e la responsabilità di chi governa la giustizia.

Istituzioni e (in)giustizia penitenziaria

Da parte dei magistrati di sorveglianza e del Garante regionale dei diritti dei detenuti — citati dallo stesso Alemanno — sarebbero già arrivati alcuni segnali: misurazioni nelle celle multiple, contestazioni di condizioni “non compatibili con la dignità umana”, reclami accolti ai sensi dell’art. 35‑ter dell’ordinamento penitenziario, e richieste di intervento urgente. 

Tuttavia, la portata strutturale del problema sembra essere di molto superiore a un semplice guasto alle caldaie: si intreccia con il tema annoso del sovraffollamento, della mancanza di personale — un problema nazionale per le carceri italiane — e di una logistica spesso fatiscente. Se non si interviene tempestivamente con manutenzioni, stanziamenti, ristrutturazioni e — soprattutto — con politiche serie di riduzione del sovraffollamento, il rischio è che queste denunce non restino solo parole su carta o social. La dignità e i diritti dei detenuti — e del personale penitenziario — non possono essere subordinati a emergenza dopo emergenza.

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Oltre le mura, una questione di civiltà collettiva

La denuncia di Gianni Alemanno non va letta solo come un grido personale — né come un atto di provocazione politica. È uno specchio di un problema che riguarda l’intero sistema penitenziario italiano, e con esso, la società che decide come trattare chi è detenuto: con dignità, diritti, umanità.

Dietro ogni cella gelata, ogni caldaia spenta, ogni doccia impossibile c’è una persona — e un’intera catena di responsabilità: istituzioni, politica, magistratura, sistema carcerario. Se la pena è giusta e legittima, la detenzione non può trasformarsi in una condanna a condizioni disumane.

E in un Paese che si definisce democratico non si può ignorare che, anche dentro un carcere, esiste un limite: quello della civiltà.

26 Novembre 2025
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