9:16 am, 26 Novembre 25 calendario

Il mistero dei sacchi neri: una testimonianza riapre il caso Resinovich

Di: Redazione Metrotoday
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Trieste — Una dichiarazione in apparenza semplice, ma capace di scuotere profondamente uno dei casi di cronaca nera più inquietanti degli ultimi anni. A riaccendere i riflettori sulla morte di Liliana Resinovich, 63 anni, è stata la testimonianza di un ex pizzaiolo, che sostiene di averle ceduto due sacchi neri alcuni mesi prima della sua scomparsa. Secondo l’uomo, la richiesta era avvenuta di nascosto, e la donna gli avrebbe chiesto espressamente di non parlarne con il marito.

La vicenda emerge in un momento delicato delle indagini: dopo le perizie che hanno ipotizzato un possibile soffocamento, non più un semplice decesso per cause naturali.

La rivelazione che scuote il silenzio

Il protagonista della nuova testimonianza è Alfonso Buonocore, ex titolare di una pizzeria a Trieste, frequentata da Liliana e da suo marito, Sebastiano Visintin, attualmente indagato per omicidio. Buonocore racconta di aver incontrato Liliana mentre gettava dei sacchi dell’immondizia, in un momento di apparente normalità. Secondo il suo racconto, la donna gli avrebbe chiesto se potesse darle uno di quei sacchi neri – di quelli molto robusti, usati per rifiuti ingombranti – e il giorno dopo sarebbe tornata a chiederne un secondo.

Nel colloquio con il ristoratore, la richiesta era accompagnata da una condizione precisa: non dirlo al marito. Buonocore afferma che Liliana gli offrì 50 centesimi per ciascun sacco, ma lui rifiutò l’incasso, promettendo di “metterlo in conto a Sebastiano”.

L’uomo giustifica il silenzio negli anni con un racconto inquietante: “All’epoca un amico carabiniere mi consigliò di stare fuori da quella storia”. Ora, però, dopo aver seguito programmi televisivi dedicati al caso, Buonocore ha deciso di parlare, consegnando anche una registrazione audio fatta dallo stesso Visintin durante un incontro.

I sacchi neri: un dettaglio chiave

I due grandi sacchi neri menzionati dal pizzaiolo tornano al centro dell’inchiesta perché ricordano da vicino quelli trovati avvolti attorno al corpo di Liliana nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, dove il cadavere è stato ritrovato il 5 gennaio 2022.

Gli investigatori hanno ora un nuovo elemento da confrontare: il materiale dei sacchi donati da Buonocore e quello repertato durante il ritrovamento. Secondo il ristoratore, egli ha conservato un lotto identico a quei sacchi, acquistato presso un’azienda di Grado; la sua tipologia è “spessa e robusta”, non simile ai semplici sacchetti leggeri. 

Sui sacchi repertati dagli inquirenti sono già state effettuate analisi approfondite. Le perizie, disposte dal GIP Flavia Mangiante, riguardano campionamenti interni, esterni e sui bordi dei sacchi.

Dalla scienza emerge un quadro paradossale:

  • Tracce di DNA di Liliana sono presenti, ma non sono state trovate impronte digitali, neanche sue.

  • Una traccia inizialmente interpretata come impronta “guantata” si è poi rivelata essere la trama del tessuto dei jeans che Liliana indossava.

  • Un dato più inquietante: un profilo biologico maschile è stato rintracciato su un cordino che teneva insieme due sacchetti leggeri posti sul capo della vittima. Ma il DNA ottenuto da quel cordino non è compatibile né con quello di Visintin, né con altri soggetti conosciuti finora.

Questi elementi alimentano un sospetto sempre più forte: il decesso della donna potrebbe non essere stato un gesto volontario, ma piuttosto il risultato di un’aggressione. La “superperizia” condotta da un team di esperti (fra cui l’antropologa forense Cristina Cattanero) ha riportato l’ipotesi di un’asfissia da terzi, non più una morte “per cause naturali” come inizialmente stabilito.

Il nodo del cordino

Se da un lato i sacchi neri tornano sotto la lente investigativa, dall’altro c’è un altro reperto sul quale si concentrano crescenti interrogativi: il cordino repertato sul corpo di Liliana.

Secondo l’avvocato Nicodemo Gentile, che assiste il fratello di Liliana, Sergio Resinovich, non sono i sacchi neri ma proprio il cordino il vero punto oscuro della vicenda: “È un reperto cruciale, mai spiegato in modo convincente”.

Per Gentile, la verità potrebbe essere già nelle carte dell’inchiesta, ma è necessario “andare fino in fondo”, verificando anche i video GoPro del 14 dicembre (data della scomparsa), su cui secondo il legale vi sarebbero anomalie e possibili alterazioni.

Non tutti accolgono con entusiasmo la nuova testimonianza. L’avvocata Federica Obizzi, che difende la nipote di Liliana, Veronica Resinovich, ha espresso dubbi sull’attendibilità delle dichiarazioni di Buonocore.

Secondo l’avvocata, non sarebbe un caso che emergano “dopo tanto tempo”: perché parlare solo ora, dopo quattro anni? E soprattutto, perché non aver riferito tutto prima in Procura o nei verbali ufficiali?

 

Un’indagine che non si ferma

Il caso Resinovich ha subito nel tempo numerose svolte: da una prima autopsia che parlava di “scompenso cardiaco acuto”, fino all’apertura di un fascicolo per omicidio, dopo il rigetto da parte del GIP di una richiesta di archiviazione.

La nuova testimonianza di Buonocore si inserisce in un filone investigativo delicato e complesso, fatto di perizie incrociate, riscontri biologici, video, reperti materiali. I periti incaricati, tra cui Paolo Fattorini, Chiara Turchi ed Eva Sacchi, hanno il compito di esaminare con rigore ogni elemento, per capire se le dichiarazioni si traducono in fatti concreti.

Se le affermazioni del pizzaiolo risultassero veritiere, le implicazioni sarebbero enormi:

Conferma di una dinamica più complessa: la richiesta di sacchi neri, parecchi mesi prima della scomparsa, potrebbe non essere un dettaglio casuale, ma parte di una situazione di tensione o di premeditazione.

Nuovi elementi di riscontro: il confronto fra i sacchi acquistati da Buonocore e quelli repertati potrebbe fornire un indizio cruciale per collegare la donna a un altro soggetto.

Pressione legale su Visintin: se davvero il marito ignorava l’esistenza di quei sacchi, allora bisogna chiedersi chi altro avesse accesso a Liliana o potesse fornirle quegli involucri.

Riconsiderazione dell’ipotesi omicidio: un eventuale collegamento fra il cordino (profilo maschile non identificato) e la testimonianza rafforzerebbe la tesi dell’intervento esterno.

Un appello alla verità

A quasi quattro anni dal ritrovamento del corpo di Liliana Resinovich, il caso resta avvolto da una nube di dubbi, voci contrastanti e reperti scientifici non ancora ricomposti in modo univoco. La testimonianza di Buonocore rappresenta una di quelle tessere che potrebbero contribuire a un quadro più completo — o, al contrario, aprire nuovi bivi investigativi.

Il fratello di Liliana, Sergio, ha chiesto più volte che si vada “fino in fondo”: per lui, il nome dell’assassino “è già nelle carte”.

Il filone dei sacchi neri sembra non essere un dettaglio secondario: potrebbe essere il cuore di una verità ancora nascosta, di una storia in cui la finzione dell’incidente di un decesso per cause naturali lascia sempre più spazio all’ipotesi di un delitto. 

26 Novembre 2025 ( modificato il 25 Novembre 2025 | 22:26 )
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