Tatiana Schlossberg e la “maledizione dei Kennedy”
C’è un’ombra che da decenni accompagna una delle famiglie più iconiche degli Stati Uniti: i Kennedy. Una saga di potere, glamour, tragedie e rinascite che continua ad affascinare l’opinione pubblica mondiale. E oggi, quella narrativa intergenerazionale trova una nuova voce in Tatiana Schlossberg, nipote di John Fitzgerald Kennedy, giornalista e autrice capace di aggiornare il mito familiare, restandone, suo malgrado, prigioniera.
Tatiana, classe 1990, figlia della ex ambasciatrice Caroline Kennedy e dello scrittore Edwin Schlossberg, rappresenta la generazione che più ha tentato di emanciparsi dalla leggenda, pur continuando a esserne inevitabilmente toccata. Con il suo lavoro, soprattutto nel campo dell’ambiente e della politica, ha scelto una strada diversa da quella percorsa da molti suoi parenti: niente campagne elettorali, niente aspirazioni istituzionali, ma un approccio critico e responsabile verso le grandi questioni del nostro tempo.
Un’eredità ingombrante
La cosiddetta “maledizione dei Kennedy” è ormai una parte persistente del folklore politico statunitense. Un’etichetta che richiama una lunga sequenza di tragedie — dagli omicidi di JFK e Robert Kennedy, agli incidenti aerei e automobilistici, fino a morti premature che hanno punteggiato la storia del clan.
Questa narrazione, spesso sensazionalistica, ha però avuto un effetto reale: il pubblico tende a osservare ogni nuovo membro della famiglia attraverso un filtro drammatico, come se il destino fosse già scritto. Tatiana Schlossberg, con il suo stile sobrio e riservato, cerca da anni di sottrarre sé stessa a questa gabbia interpretativa. Eppure, volente o nolente, rappresenta un tassello importante della riflessione contemporanea sui Kennedy.

Tatiana ha collaborato a lungo con il New York Times, occupandosi in particolare di cambiamenti climatici, ambiente, scienza e politica energetica. Il suo saggio Inconspicuous Consumption analizza come le nostre abitudini quotidiane, spesso invisibili, contribuiscano alla crisi climatica. Una prospettiva rigorosa, lontana dalle passerelle pubbliche che per decenni hanno caratterizzato una parte della famiglia Kennedy.
Il suo approccio mostra un tratto distintivo: la volontà di prendersi del tempo, di indagare ciò che è complesso, di non ricorrere alla scorciatoia emotiva. È un modo di fare giornalismo che sembra anche un commento implicito alla narrazione familiare: dove tutto è stato ingrandito e romanticizzato, Tatiana sceglie l’analisi concreta, misurata, quasi anti-eroica.
Tra mito e distorsione
Il pubblico, però, continua a essere attratto dalla dimensione leggendaria. La “maledizione dei Kennedy” esercita un fascino che mescola superstizione e analisi sociologica, trasformando la storia in saga. Ma Tatiana, pur non negandone l’impatto, sembra voler riportare tutto su un piano umano. Non c’è destino scritto, suggerisce la sua postura professionale. Ci sono invece scelte, contingenze, pressioni mediatiche, e una genealogia che pesa come un marchio.
La nuova attenzione dei media verso di lei dimostra che, nonostante ogni tentativo di distacco, il cognome resta un magnete. E paradossalmente è proprio la sua volontà di normalità — una carriera intellettuale, lontana dai riflettori — a rendere Tatiana un personaggio di interesse giornalistico.

Il dramma di Tatiana
New York – A 35 anni, tra la nascita della sua seconda figlia e la promessa di un futuro, Tatiana Schlossberg ha ricevuto la notizia che nessuno vorrebbe mai leggere. La nipote di John F. Kennedy e figlia di Caroline Kennedy ha reso pubblica la sua diagnosi di leucemia mieloide acuta terminale, durante un saggio intitolato “A Battle with My Blood” pubblicato su The New Yorker.
Secondo i medici che la seguono, le resta “forse un anno di vita”. Tatiana racconta come il suo mondo sia cambiato in un batter d’occhio. Il giorno prima della nascita, nuotava in piscina, incinta di nove mesi: “Non ero malata. Non mi sentivo male. In realtà ero una delle persone più sane che conoscessi.”
Ma dopo gli esami post‑parto, i medici hanno notato un conteggio anomalo dei globuli bianchi: la diagnosi fu fulminea e dolorosa. Da allora, una sequenza di chemioterapie, due trapianti di midollo osseo (uno da sua sorella, un altro da un donatore non imparentato) e terapie sperimentali.
Nel suo racconto, Tatiana non nasconde il senso di colpa verso la madre, Caroline, consapevole di aggiungere – suo malgrado – un dramma in più alla storia già segnata di lutti e tragedie della famiglia. “Per tutta la vita ho cercato di essere buona per risparmiare a mia madre ulteriori sofferenze”, scrive.
Oltre il dolore: una denuncia politica
Il racconto di Schlossberg non è solo una testimonianza di sofferenza, ma anche un atto civile. L’ambientalista e giornalista – che ha lavorato per testate come The New York Times, The Atlantic e Vanity Fair – rivolge parole dure al cugino Robert F. Kennedy Jr., attuale Segretario alla Salute degli Stati Uniti.
Denuncia i tagli drammatici della sua amministrazione ai fondi per la ricerca medica — in particolare alla ricerca sui vaccini mRNA, tecnologia che lei crede possa avere un ruolo anche nella cura dei tumori.
Secondo Tatiana, queste decisioni politiche hanno influito non solo sul suo percorso di cura, ma su quello di migliaia di pazienti: un attacco alla scienza, alla speranza, al futuro. “Mentre trascorrevo sempre più tempo sotto le cure di medici e ricercatori, ho visto Bobby tagliare quasi mezzo miliardo di dollari destinati alla ricerca sui vaccini a mRNA” — scrive, e aggiunge che queste scelte rappresentano “un imbarazzo per la famiglia”.

La “maledizione” dei Kennedy: simbolo di un destino crudele
La storia di Tatiana si inserisce dolorosamente nella lunga lista di tragedie che hanno colpito la dinastia dei Kennedy: dall’assassinio di John F. Kennedy nel 1963, a quello di Robert F. Kennedy nel 1968, fino all’incidente aereo che uccise John F. Kennedy Jr. nel 1999. Per molti, la diagnosi di Tatiana è un nuovo capitolo di quella che viene definita la “maledizione dei Kennedy”: un destino crudele che sembra ripetersi di generazione in generazione. Ma la giovane giornalista non vuole essere solo un simbolo: vuole essere una voce di allarme, una testimonianza di ciò che può accadere quando la politica indebolisce la ricerca, quando si mette in discussione la scienza.
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