6:55 pm, 19 Novembre 25 calendario

Condanna a morte per l’ex leader del Bangladesh

Di: Redazione Metrotoday
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Grido di allarme su giustizia ed equità

Il Bangladesh è tornato al centro dell’attenzione mondiale dopo una sentenza che sta già infiammando il dibattito internazionale sui diritti umani e sulla legalità dei procedimenti giudiziari. L’International Crimes Tribunal (ICT) di Dacca ha condannato Sheikh Hasina, ex primo ministro del paese, e Asaduzzaman Khan Kamal, ex ministro dell’Interno, alla pena di morte per “crimini contro l’umanità” legati alla repressione delle proteste studentesche dell’estate 2024. Secondo le accuse, l’amministrazione di Hasina avrebbe ordinato l’uso di droni, elicotteri e armi letali durante il movimento del “luglio rivoluzionario”.

L’anno scorso, le proteste giovanili contro il sistema delle quote per i posti di lavoro governativi – inizialmente guidate da studenti – si sono trasformate in un potente movimento nazionale. Il governo di Hasina è stato accusato di aver risposto con una repressione brutale: le forze di sicurezza, secondo le indagini della magistratura, avrebbero ucciso centinaia di manifestanti. Organismi internazionali stimano che il bilancio delle vittime arrivi fino a 1.400 morti.

L’ICT ha dichiarato che Hasina era “responsabile diretta” di tre capi d’accusa: incitamento, ordine di uccidere e inazione nel prevenire le atrocità. Il verdetto è stato annunciato pubblicamente con grande enfasi e in aula molti dei familiari delle vittime hanno reagito con lacrime e preghiere.

Khan, il co-imputato, è stato anch’esso condannato a morte. Il terzo accusato, l’ex capo della polizia Chowdhury Abdullah Al-Mamun, ha collaborato con il tribunale, si è dichiarato colpevole e ha ricevuto una pena ridotta: cinque anni di carcere.

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Le proteste delle organizzazioni per i diritti umani

L’esito del processo è stato immediatamente contestato da Amnesty International, che ha definito la pena capitale non una forma di giustizia, ma “un’ulteriore violazione dei diritti umani”. Secondo Agnès Callamard, Segretaria generale di Amnesty, il processo non è stato equo: Hasina è stata rappresentata da un avvocato nominato dal tribunale e non ha avuto tempo sufficiente per preparare una difesa adeguata.

Anche Human Rights Watch ha espresso preoccupazione. La deputata per l’Asia dell’organizzazione, Meenakshi Ganguly, ha dichiarato che “tutte le procedure devono rispettare gli standard internazionali”: pur riconoscendo la rabbia per il passato autoritario, HRW sottolinea che la giustizia non può essere conseguita attraverso processi iniqui o condanne senza appello.

Le reazioni politiche e istituzionali

Sheikh Hasina – che al momento rimane in esilio in India, dove vive da quando ha lasciato il potere nell’agosto 2024 – ha respinto con forza le accuse. In una dichiarazione rilasciata dopo il verdetto, ha definito il processo “un tribunale truccato” guidato da un governo “non eletto” e privo di legittimità democratica.

Dal canto suo, il governo provvisorio del Bangladesh, guidato da Muhammad Yunus, ha accolto la sentenza chiamandola “storica”. Tuttavia, ha anche invitato alla calma, avvertendo che risponderà con fermezza a eventuali disordini.

L’ONU, per mezzo di un portavoce per i diritti umani, ha commentato in tono misto: ha definito la condanna un passo rilevante per le vittime, ma ha espresso rammarico per la pena di morte, ribadendo il suo opposizione a tale forma di punizione anche in casi gravi.

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Equità processuale e indipendenza del tribunale

Uno dei punti più controversi riguarda la natura del tribunale stesso. L’ICT, infatti, è un’istituzione interna già esistente, ma alcuni critici sostengono che abbia legami politici che ne minano l’indipendenza. Il fatto che Hasina sia stata giudicata in contumacia – ovvero in sua assenza – ha sollevato ulteriori dubbi: Amnesty ricorda che non ha potuto scegliere un avvocato di sua fiducia e che le tempistiche per preparare la difesa erano palesemente inadeguate. Secondo Al Jazeera, la corte ha condannato Hasina su più capi d’accusa: tra questi, l’uso di armi dall’alto e la distruzione di corpi per nascondere le prove. l Inoltre, nell’ambito della sentenza, il tribunale ha ordinato che venga corrisposta una compensazione alle famiglie delle vittime e ai feriti: resta però da stabilire chi dovrà farsi carico di questi pagamenti.

Giustizia o vendetta?

Per molti, la condanna a morte rappresenta una risposta dramatica e definitiva al trauma nazionale – una forma di giustizia punitiva che tuttavia lascia aperti dubbi profondi sull’equità del processo. Le famiglie delle vittime potrebbero aver ottenuto un momento di “catharsis”, ma secondo le ong, la pena capitale fa il gioco del martirio e non della riconciliazione. Il timore è che si consolidi un precedente pericoloso: usare la giustizia come strumento esecutivo, senza garantire un processo pienamente conforme ai diritti umani.

Dall’altra parte, i sostenitori della sentenza la vedono come una svolta storica: mai prima d’ora un leader in Bangladesh aveva ricevuto una condanna così severa per responsabilità politiche di tale gravità.

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 Il fatto che Hasina risieda in India solleva la pressione diplomatica su Nuova Delhi: ci si chiede se l’India accetterà o meno di estradarla per scontare la pena. Inoltre, un verdetto così duro potrebbe radicalizzare ulteriormente il panorama politico bengalese, già segnato da forti tensioni e da accuse di ingerenza governativa.

In un momento così delicato per il Bangladesh, diventa urgente non solo garantire la giustizia per le vittime, ma farlo in modo tale che la pena non si trasformi in una nuova forma di abuso. Il rischio – temuto da molti attivisti – è che la “giustizia” si trasformi in vendetta politica, e che il processo lasci dietro di sé divisioni ancora più profonde.

La sentenza di morte contro Sheikh Hasina e il suo ex ministro Asaduzzaman Khan rappresenta un punto di svolta per il Bangladesh: una risposta forte di fronte alle accuse di repressione sanguinaria nel 2024, ma anche un segnale controverso per la comunità internazionale. L’equilibrio tra diritto alla giustizia, rispetto degli standard internazionali e stabilità politica, è fragile.

19 Novembre 2025 ( modificato il 18 Novembre 2025 | 19:05 )
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