Guerra di Trump ai narcos in Venezuela
Washington / Caracas — Una nuova escalation nella “lotta ai narcos” segna un punto di non ritorno nelle relazioni tra Stati Uniti e Venezuela. Il governo dell’ex presidente Donald Trump ha schierato al largo delle coste venezuelane la USS Gerald R. Ford, la portaerei più avanzata e potente della Marina Usa, in un dispiegamento che, secondo Washington, serve a contrastare la minaccia dei cartelli del narcotraffico “narco-terroristi”. Ma per Caracas non è solo guerra al crimine: è un segnale politico che sa di intimidazione militare.
Il Pentagono ha ufficializzato l’arrivo del gruppo d’attacco guidato dalla portaerei Gerald R. Ford nella regione caraibica, definendolo parte di una strategia più ampia — chiamata Operation Southern Spear (“Lancia del Sud”) — contro le organizzazioni transnazionali criminali and narcotraffico. A guidare l’operazione è il Segretario alla Difesa USA, Pete Hegseth, che ha dichiarato di voler “smantellare i narcoterroristi” nell’emisfero occidentale.

La Gerald R. Ford non arriva sola: è accompagnata da altre navi da guerra, incrociatori, cacciatorpedinieri armati di missili Tomahawk, un sottomarino a propulsione nucleare, bombardieri B‑1 e B‑52, elicotteri delle forze speciali e un’unità speciale per incursioni. Gli asset includono inoltre una task force dei Marines composta da migliaia di soldati, veicoli d’assalto, droni e aerei stealth. Secondo il Pentagono, questa presenza serve per “potenziare la capacità degli Stati Uniti di individuare, monitorare e interrompere attori illeciti” ritenuti una minaccia per la sicurezza nazionale.
I colpi “narco‑terroristici”: raid, accuse e tensioni
L’invio della portaerei segue una serie di raid già avviati dalle forze statunitensi contro presunte imbarcazioni narco nelle acque caraibiche. A settembre, gli USA hanno condotto un attacco contro una barca venezuelana, provocando – secondo Trump – l’eliminazione di 11 presunti membri del cartello Tren de Aragua, etichettato da Washington come “organizzazione terroristica straniera”.
Trump ha condiviso sui suoi canali social video che mostrerebbero l’esplosione della barca, sostenendo che trasportava cocaina, fentanyl e “narco-terroristi”. Secondo il Washington Post, il comando della Gerald Ford ha già espresso la possibilità di condurre attacchi anche su obiettivi terrestri in Venezuela, non più solo su imbarcazioni: la potenza aerea della flotta (con F‑18, droni e aerei da ricognizione) potrebbe permettere strike più ambiziosi.

Mobilitazione generale e denuncia di aggressione
La risposta venezuelana non si è fatta attendere. Il governo di Nicolás Maduro ha annunciato l’innalzamento dell’allerta nazionale, schierando forze terrestri, aeree, fluviali e missilistiche, oltre a mobilitare milizie civili per “garantire sovranità e integrità territoriale”.
Maduro ha inoltre denunciato le mosse di Washington come una minaccia imperialista. In un comizio, ha eletto la resistenza come principio: “Nessun impero toccherà il sacro suolo venezuelano”, ha detto, esortando il popolo a unirsi contro quello che considera un attacco alla sovranità nazionale. Al tempo stesso, il Venezuela accusa gli Stati Uniti di costruire una narrazione falsa per giustificare un’aggressione: secondo Caracas, non è il narcotraffico il vero obiettivo, ma il regime di Maduro e le riserve petrolifere di Maracaibo.
L’analisi geopolitica non può prescindere da una domanda cruciale: è davvero una guerra al narcotraffico o un pretesto per un’azione militare più ampia contro il regime di Maduro? Secondo molti esperti, la potenza del dispiegamento USA è sproporzionata rispetto al solo contrasto marittimo alla droga.
Il fatto che lo schieramento includa bombardieri strategici, droni e la portaerei più moderna suggerisce la preparazione non solo a raid navali, ma a operazioni su terra. Il Wall Street Journal, da parte sua, ha riferito che obiettivi come porti, aeroporti e strutture navali venezuelane sarebbero già stati identificati come potenziali target.
A Washington, l’operazione viene giustificata come difesa dell’“emisfero occidentale” e della sicurezza interna americana, ma critici negli Stati Uniti e in America Latina parlano di uso del potere militare come strumento di pressione politica e potenziale per un cambio di regime.
Se da una parte l’amministrazione Trump presenta l’operazione come una legittima risposta al narcotraffico, dall’altra parte emergono forti dubbi legali e morali. L’Onu ha già criticato i raid, definendoli “inaccettabili” e un potenziale abuso del diritto internazionale, soprattutto se condotti senza il coinvolgimento delle autorità venezuelane.
In Venezuela, circola anche l’accusa di attacco di sovranità: schierare una portaerei a ridosso delle sue coste è visto da molti come una minaccia diretta, non solo una misura preventiva antinarcotici.
Il problema legale è complesso: gli Stati Uniti si dichiarano in una “guerra al narcotraffico”, ma utilizzare forza letale per contrastare traffico di droga solleva questioni su diritto umanitario, uso della forza in acque internazionali e potenziale violazione del principio di non-intervento.

Il ruolo del Cartello dei Soles
Una delle narrative utilizzate da Washington riguarda il cosiddetto Cartello dei Soles (“Cártel de los Soles”). Secondo l’intelligence USA, si tratterebbe di una rete criminale collegata a pezzi dell’élite militare venezuelana, con presunti legami nella struttura di potere di Maduro.
Tuttavia, molti analisti contestano l’esistenza reale del cartello: per alcuni, è un costrutto propagandistico creato dagli Stati Uniti per giustificare operazioni militari e politiche aggressive. Secondo l’International Crisis Group, non ci sono prove solide a sostegno di un’organizzazione strutturata come quella immaginata dagli USA.
L’escalation americana ha scatenato una reazione diplomatica pesante nella regione. In Venezuela, Maduro ha chiesto aiuto a potenze come Russia, Cina e Iran, aprendo un nuovo fronte geopolitico. Anche paesi vicini osservano con preoccupazione: Trinidad e Tobago, ad esempio, ha alzato il livello d’allerta e mobilitato le proprie forze in risposta al passaggio della flotta USA. Sul fronte interno statunitense, alcuni politici — anche tra i Repubblicani — esprimono cautela: chiedono di chiarire i limiti legali dell’azione e richiedono garanzie che non si tratti di un’operazione di regime change.
Quella che Trump presenta come una “guerra ai narcos” ha ormai tutti i contorni di una crisi geopolitica dalle dimensioni inedite in America Latina. Il dispiegamento navale più massiccio dai tempi della crisi dei missili di Cuba segnala una determinazione americana forte, ma anche un rischio altissimo.

Non si tratta solo di droga: l’azione degli USA punta all’annientamento di reti criminali, ma anche – potenzialmente – al ridimensionamento del potere di Maduro attraverso la leva militare. In questo gioco, la retorica di “narco-terrorismo” diventa strumento politico.
Un “nuovo capitolo di guerra fredda”, come alcuni analisti lo definiscono, in cui la posta in gioco non è solo la droga, ma il controllo politico su un Paese strategico.
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