La cucina italiana Patrimonio dell’umanità: il primo passo è fatto
Un piatto di pasta fumante, una mano che impasta tortellini, un giro d’olio extravergine d’oliva spremuto a freddo: queste immagini – così quotidiane eppure così ricche di significato – sono oggi parte di un processo formale che mira a iscrivere la “cucina italiana” come elemento del Patrimonio Culturale Immateriale dell’umanità della UNESCO. Il percorso, avviato con la candidatura presentata dal Governo italiano, ha registrato in questi giorni un progresso concreto: gli esperti dell’UNESCO hanno dato parere favorevole all’avanzamento della candidatura.
Si tratta di un segnale forte: la valorizzazione di un patrimonio che non è fatto solo di ricette e ingredienti, ma di saperi, abitudini, convivialità, economie territoriali, tradizioni familiari e modelli alimentari che raccontano l’Italia e il suo rapporto con il cibo.
La proposta ufficiale italiana – intitolata “La cucina italiana: sostenibilità e diversità bioculturale” – mette al centro l’idea che mangiare in Italia non sia solo alimentarsi, ma partecipare a un rituale sociale, culturale, economico.
Tra i promotori, i ministeri competenti (Cultura, Agricoltura), riviste storiche e un comitato scientifico che ha messo a fuoco materie prime, stagionalità, conoscenze locali, territori.
La richiesta all’UNESCO non riguarda un singolo prodotto o una prescrizione gastronomica, ma un intero sistema – il modello italiano del mangiare – fondato su libertà, condivisione, diversità regionale, sostenibilità e valorizzazione del “fare cucina” come gesto quotidiano e collettivo.
La candidatura non è solo un atto simbolico. Alla base c’è anche un intento pratico: tutelare il “Made in Italy” agroalimentare, dare riconoscimento ai territori, alle economie locali che ruotano attorno al cibo; combattere l’Italian Sounding – le imitazioni all’estero che sfruttano l’immagine italiana – e promuovere un turismo gastronomico di qualità.
Un patrimonio che ha radici antiche
La storia della cucina italiana è un mosaico: tradizioni contadine, influenze romaniche, conquiste mediterranee, rotte commerciali, conoscenze locali. È al tempo stesso fatta di ricette di famiglia, di orti, di mercati, di tavole imbandite la domenica. E di innovazione: il pomodoro, la patata, il mais, le tecniche moderne hanno modellato la cucina, rendendola quel complesso articolato che conosciamo.
Storici dell’alimentazione ricordano come la cucina italiana «non sia monolitica, non sia costruita attorno a regole codificate», ma verta piuttosto «su principi di libertà, inclusione, condivisione della diversità».
Da nord a sud, ogni territorio ha portato la sua testimonianza: formaggi delle montagne, oli di collina, pesce nelle coste, pasta nei campi, un intreccio di materie prime e modelli culturali. Questo patrimonio di diversità è al centro della candidatura all’UNESCO.
Tappe, ostacoli e prospettive
La candidatura italiana è nata formalmente con la proposta del marzo 2023. Il dossier è stato presentato, il comitato scientifico ha lavorato su evidenze e materiale, è iniziato un lavoro di sensibilizzazione nazionale e internazionale.
Negli ultimi mesi sono emersi segnali positivi: fonti giornalistiche e blog segnalano che gli esperti dell’UNESCO ne hanno preso atto e raccomandano l’inclusione nella Lista del Patrimonio Immateriale.
Ma il percorso non è ancora concluso: la decisione definitiva resta fissata nel calendario dell’UNESCO e i dossier devono superare valutazioni tecniche, obiezioni e comparazioni internazionali. È un processo che richiede tempo, pazienza e diplomazia.
Le sfide ci sono: dimostrare che “la cucina italiana” non è un brand, ma un fenomeno culturale vivo; che non sia solo un discorso marketing ma una pratica quotidiana radicata; evitare che la candidatura si trasformi in un’etichetta vuota. Alcune critiche arrivano da studiosi che mettono in discussione l’idea di “cucina italiana” come entità unitaria, dato che storicamente le pratiche locali sono molto frammentate.
Territori, economia e società
Le ricadute sarebbero molteplici:
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Rafforzamento del valore culturale della cucina: riconoscere che “fare presto” un piatto è un atto culturale.
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Valorizzazione dei territori e delle filiere: dagli agricoltori ai pastai, dai ristoratori alle produzioni locali.
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Turismo gastronomico: la cucina italiana è già un elemento forte dell’attrattività internazionale del Paese; il riconoscimento UNESCO potenzierebbe questa dimensione.
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Educazione alimentare e sostenibilità: vivere la cucina come pratica sociale e culturale può favorire consapevolezza sulla stagionalità, spreco alimentare, biodiversità.
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Protezione del patrimonio intangibile: riconoscere le pratiche, i saperi trasmessi di generazione in generazione, i gesti domestici, la convivialità.
Un esempio concreto: il supporto dato dalla Ferrovie dello Stato Italiane alla candidatura, che ha usato un treno come veicolo di promozione della cultura gastronomica, testimonia come l’iniziativa travalichi i confini della cucina per entrare nel vivo dell’identità nazionale e delle infrastrutture della cultura.
La cucina italiana oggi: tra globalizzazione e identità
Viviamo in un tempo in cui la cucina italiana è conosciuta ovunque: ristoranti italiani, imitazioni, “Italian sounding” che utilizza etichette e immagini evocative senza qualità autentica. La candidatura all’UNESCO vuole anche contrastare questo fenomeno, dando peso reale alla qualità e alla tracciabilità delle pratiche.
Allo stesso tempo, la cucina italiana oggi è una piattaforma globale di contaminazione: ingredienti importati, tecniche moderne, interpretazioni creative. Questo fa parte della cronaca quotidiana: dai cuochi stellati ai panifici artigianali, alle cucine familiari che trasformano ricette ancestrali in nuovi piatti, senza tradire la tradizione ma aggiornandola.
Ecco perché la candidatura è tanto importante: afferma che la cucina non è solo memoria, ma anche futuro, capacità di adattarsi, di rinnovarsi, di dialogare con la modernità e con le sfide della sostenibilità.
Oltre il piatto
Il gesto dell’UNESCO che si appresta a votare su questo dossier non riguarda solo la cucina, ma il riconoscimento dell’atto più semplice dell’essere umani: mangiare insieme, accomunarsi attorno a una tavola, usare ingredienti locali, condividere un momento sociale.
In Italia, questo gesto quotidiano è stato storicamente centrale: famiglia, amici, quartiere, comunità. Eppure è cambiato: urbanizzazione, globalizzazione, stili di vita più rapidi hanno modificato la pratica. La candidatura vuole ricordare che dietro alla “cucina italiana” ci sono mani, gesti, convivialità, memoria, territorio.
È un riconoscimento identitario: che la cucina non è solo prodotto o piatto, ma patrimonio di comunità, di territori, di generazioni.
Un primo traguardo….
Il “primo passo” è stato fatto: la candidatura della cucina italiana ha ottenuto un’indicazione favorevole, ma non siamo ancora al traguardo. Il cammino verso il riconoscimento come Patrimonio Immateriale dell’Umanità richiede ancora tempo, lavoro, integrazione tra regime culturale e politiche pubbliche.
Se l’ottica della candidatura era quella di affermare che “la cucina italiana è patrimonio” allora ora bisogna dimostrare che può esserlo davvero – nelle scuole, nei ristoranti, nelle aziende agricole, nelle famiglie, nei territori marginali come nei grandi centri.
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