Convivere bene con il proprio corpo: la battaglia silenziosa contro l’Idrosadenite suppurativa
 
            Un desiderio troppo spesso negato
Sorridere allo specchio, indossare un abito che piace, stringere una mano senza pensare a cosa si nasconde sotto la piega della pelle — sono gesti per molti scontati, ma per le circa 60 mila persone della nostra regione che convivono con l’idrosadenite suppurativa (“acne inversa”) ogni gesto semplice può diventare un piccolo ostacolo quotidiano.
Questa malattia infiammatoria cronica della pelle, che condivide con l’acne alcuni segni – come noduli, ascessi, cicatrici – va però molto oltre, colpendo spesso in modo più grave, profondo e debilitante sia il fisico sia la mente.
Una diagnosi spesso in ritardo
La storia dell’idrosadenite suppurativa (HS) è spesso segnata da un percorso a ostacoli: la malattia esordisce in età giovanile, ma viene identificata in molti casi dopo anni di sofferenza. Un recente studio italiano ha evidenziato che nei casi moderati-gravi il ritardo diagnostico mediano era pari a 1,8 anni, a fronte di 0,7 anni per le forme più lievi. Questo ritardo pesa fortemente: peggiora il controllo dei sintomi e compromette la qualità di vita.
Il risultato? Giovani adulti — anche in piena vita sociale e lavorativa — che vedono la loro pelle, il loro corpo, diventare motivo di isolamento, vergogna, fatica. Le lesioni compaiono in zone come ascelle, inguine, sotto-seno, pieghe cutanee: aree acquisite da sfregamento, sudore, irritazione, che portano a noduli dolorosi, ascessi, fistole croniche, cicatrici.

Un impatto che va ben al di là della pelle
Spesso si tende a considerare le malattie dermatologiche come “solo un problema estetico”. Ma con l’HS, la pelle è solo la superficie visibile di un disagio più profondo. Ecco alcune dimensioni spesso trascurate:
Dolore fisico: i noduli e gli ascessi possono essere molto dolorosi, anche invalidanti.
Limitazione motoria: l’area delle lesioni può impedire movimenti, attività sportive, persino la semplice camminata o seduta.
Odore e secrezione: le fistole e gli ascessi possono drenare, causare cattivo odore, vergogna sociale.
Qualità della vita compromessa: uno studio ha evidenziato valori peggiori del Dermatology Life Quality Index (DLQI) nelle forme più gravi.
Ripercussioni psicologiche e sociali: isolamento, timore delle relazioni, difficoltà nel lavoro, spinta alla depressione o all’ansia. Secondo una review, l’HS è associata ad alto tasso di disturbi psichiatrici.
Costi economici: tra cure, assenze lavorative e minor produttività, l’impatto è significativo.
La malattia non è solo una questione di pelle, è una questione di vita quotidiana.
Intrecci genetici, stile di vita, infiammazione
La patogenesi dell’HS è complessa e multifattoriale. Non si tratta di “colpa” del paziente, quanto di un insieme di predisposizione genetica e fattori ambientali che aprono la strada all’infiammazione cronica. Ecco alcuni punti chiave:
Predisposizione genetica: esiste una familiarità nella malattia, che suggerisce una base ereditabile.
Infiammazione follicolare: la malattia origina da alterazioni nel follicolo pilosebaceo, con successiva infiammazione, distruzione cutanea, formazione di tratti tunnel.
Fumo, obesità e alimentazione: questi fattori aggravanti sono costantemente ritrovati nelle coorti italiane. In uno studio in Sardegna, i pazienti con HS mostrano BMI, circonferenza vita e massa grassa significativamente più elevati rispetto ai controlli, e una qualità fisica/mentale della vita significativamente inferiore.
Diabete, sindrome metabolica e altro: la comorbidità con patologie metaboliche è frequente.
Ritardo di trattamento: quanto più a lungo l’infiammazione persiste senza essere contrastata, tanto peggiore la “finestra di opportunità” terapeutica.
Questo significa che, oltre alle terapie mirate, lo stile di vita può giocare un ruolo importante — ma da solo non basta: contrastare l’infiammazione prima che diventi cronica è fondamentale.

Come spiegato dalla prof.ssa Nevena Skroza, specialista in Dermato-Venereologia, «l’HS oggi viene curata secondo un algoritmo terapeutico che, a seconda della fase e della gravità della malattia, prevede l’uso di antibiotici topici o sistemici e di farmaci biologici o biotecnologici, nonché l’approccio chirurgico quando necessario».
Da otto anni a questa parte sono in uso anticorpi anti-TNF-α (come Adalimumab). Ma «ultimamente, da qualche mese, abbiamo anche la possibilità di utilizzare un anticorpo anti-interleuchina 17 A, che blocca la principale citochina pro-infiammatoria alla base della malattia».
Il nuovo passo è rappresentato da Secukinumab, anticorpo monoclonale che inibisce l’interleuchina 17A. Studi italiani recenti su pazienti con HS grave che avevano fallito Adalimumab mostrano che con Secukinumab si può ottenere una riduzione significativa dell’attività della malattia e del dolore, con miglioramenti anche nella qualità della vita.
Nel contesto italiano si parla dunque di un’importante novità: l’adozione nei protocolli regionali e la rimborsabilità da parte del Sistema Sanitario Nazionale aprono una nuova fase.
Come sottolineato, però, la scelta del trattamento non può basarsi solo sulla gravità clinica: «La scelta terapeutica deve valutare soprattutto la qualità di vita che, nel paziente con HS, è fortemente compromessa».
Questo implica un approccio multidisciplinare: dermatologi, nutrizionisti, psicologi, chirurghi, terapie del dolore, infermieri dedicati. L’esperienza dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (IDI) di Roma — con oltre 1 000 pazienti seguiti in un ambulatorio dedicato alla HS — ne è un esempio.
Storie di vita dietro la pelle
Dietro le statistiche, ci sono persone. Giovani, adolescenti, ma anche adulti di ogni età, che sperano semplicemente di tornare a sentirsi a proprio agio nel proprio corpo.
Maggiore consapevolezza e formazione
Molti medici generici o dermatologi non riconoscono immediatamente l’HS. Ritardi diagnostici penalizzano la prognosi. Occorre informazione e formazione nei centri territoriali, campagne di sensibilizzazione.
Accesso veloce ai centri di riferimento
Una diagnosi precoce e un’azione tempestiva consentono di bloccare l’infiammazione prima che si creino lesioni croniche irreversibili. Bisognerebbe ridurre il “tempo zero” tra sospetto e visita specialistica.
Approccio multidisciplinare e personalizzato
Ogni paziente è unico: gravità, localizzazione, età, comorbidità, stile di vita. Il percorso terapeutico deve integrarsi con supporto nutrizionale (obesità, dieta mediterranea), cessazione del fumo, supporto psicologico.

Aggiornamento dei protocolli terapeutici
Con l’arrivo di Secukinumab e di altri farmaci biologici, è necessaria una revisione rapida dei protocolli regionali e l’inclusione nei prontuari terapeutici. Questo garantirà il diritto alla cura anche in regioni meno dotate.
Sostegno psicologico e sociale
Non basta curare la pelle: bisogna aiutare le persone a riacquistare fiducia, a ricostruire relazioni, a reinserirsi nel lavoro. I gruppi di supporto, le associazioni pazienti, le reti sociali contano molto.
La qualità della vita torna al centro
Quando un’indicazione terapeutica diventa rimborsabile dal Sistema Sanitario Nazionale e viene inserita nei prontuari regionali, non è solo una questione di “farmaco in più”: è un segnale che la malattia — e la sofferenza che porta con sé — viene presa sul serio.
Convivere bene con il proprio corpo non è un luogo comune: è un diritto. Per chi ha l’HS, questo diritto è stato per troppo tempo negato — nascosto da noduli dolorosi, cicatrici che parlano di vergogna, spostamenti sociali forzati, isolamento.
Oggi però, grazie all’avanzamento terapeutico — e in particolare all’arrivo di un’arma come Secukinumab — e alla presa in carico multidisciplinare, la speranza di una “vita oltre la malattia” diventa concreta.
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