10:34 pm, 1 Ottobre 25 calendario

“Una pergotenda non è sempre libera”: la Cassazione detta i limiti tra arredo e abuso edilizio

Di: Redazione Metrotoday
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Una “doccia normativa” attesa da molti ma temuta da più. Con la sentenza n. 29638 del 22 agosto 2025, la Corte di Cassazione è intervenuta a dirimere definitivamente (o quasi) il nodo – annoso e tutt’altro che superato — del confine tra edilizia libera e abuso edilizio nel caso delle pergotende e delle verande su terrazzi e balconi. Secondo l’interpretazione dei giudici supremi, non basta appellarsi al carattere “leggero” dell’opera per sottrarla all’obbligo del titolo edilizio: se si configura uno spazio chiuso, stabile e con alterazione della destinazione o del volume, allora siamo ben oltre una semplice copertura, e possono scattare sanzioni penali.

Ma che cosa cambia concretamente per migliaia di privati, imprese, progettisti e amministrazioni comunali? Vediamolo insieme, ripercorrendo il contesto legislativo e giurisprudenziale, analizzando casi concreti e cercando di fornire indicazioni operative chiare.

Il  “Salva Casa” e il T.U. Edilizia

Il Decreto “Salva Casa” (D.L. n. 69/2024, convertito nella Legge n. 105/2024) ha introdotto alcune novità rilevanti nel panorama dell’edilizia libera, cercando di semplificare gli interventi minori. In particolare, ha inserito nell’art. 6 del DPR 380/2001 (Testo Unico Edilizia) una nuova lettera b‑ter) che disciplina le condizioni in cui le opere di protezione dal sole — tra cui le pergotende — possano essere assoggettate al regime dell’edilizia libera.

Perché, dunque, si discuta ancora del tema? La ragione è che la norma stabilisce limiti precisi: l’opera non può determinare spazi chiusi stabilmente, non deve comportare variazioni di superficie o volume, e deve “armonizzarsi alle linee architettoniche preesistenti”, con impatto visivo contenuto.

La semplice previsione normativa non risolve tutte le ambiguità: restano margini di discrezionalità amministrativa, conflitti con regolamenti comunali e soprattutto una interpretazione giudiziale che – come vedremo – tende a stringere i margini dell’edilizia libera nei casi concreti.

La recente pronuncia della Cassazione si inserisce proprio in questo contesto: chi intende considerare ogni pergotenda “libera” rischia di trovarsi a far fronte a contestazioni formali o, peggio, al penale.

Il caso che ha dato luogo alla sentenza

In concreto, il caso che ha portato alla sentenza 29638 coinvolge un proprietario che aveva installato sul proprio terrazzo una struttura coperta da telo scorrevole – una sorta di pergotenda — dotata di sistema di scorrimento in materiale plastico. Pur sostenendo che si trattasse di una semplice copertura rimovibile, il Tribunale aveva condannato l’imputato per reato edilizio ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a del DPR 380/2001 (ammenda fino a 10.329 euro), ravvisando la creazione di un nuovo ambiente chiuso, con ampliamento del volume e mutamento della destinazione d’uso.

La Cassazione ha confermato questa valutazione: secondo i giudici, l’opera non era configurabile come pergotenda in edilizia libera, ma si era concretamente trasformata in una veranda chiusa, con caratteristiche tali da porla fuori dal regime semplificato e da richiedere un titolo edilizio.

In altre parole: non importa come l’intervento venga “venduto” dal committente — se in realtà crea spazio chiuso stabile, incide su volumi o superfici, o modifica la destinazione in maniera significativa, si applicano le norme per le nuove costruzioni.

Dal punto di vista tecnico‑giuridico, la pronuncia si basa su questi passaggi:

    Il legislatore del “Salva Casa” ha introdotto una deroga per le pergotende, ma subordinandola a condizioni molto stringenti (nessun spazio chiuso stabile, basso impatto visivo, assenza di modifiche volumetriche).

    Quando una struttura va oltre questi limiti, non può essere qualificata semplicemente “pergotenda”: i singoli elementi (copertura fissa, tamponamento rigido, chiusure laterali permanenti) devono essere valutati nella loro concreta incidenza.

    L’eventuale assenza di titolo edilizio non giustifica la non punibilità dell’abuso: l’art. 44 prevede che il mancato rispetto delle prescrizioni edilizie, urbanistiche o regolamentari costituisce reato.

    Di conseguenza, l’ordine di demolizione — se legittimamente emesso — è coerente con la natura dell’intervento come nuova costruzione abusiva.

La conclusione operativa che la Cassazione trae (e che il mondo tecnico dovrà metabolizzare) è che non è più sufficiente appellarsi al termine “pergotenda” per pretendere una qualifica in edilizia libera. Ciò che conta è la realtà materiale — il comportamento effettivo della struttura — e il giudizio finale sarà sempre quello del giudice (o del tecnico comunale) sul caso concreto.

Cosa distingue una “pergotenda libera” da un abuso

Dalla lettura della pronuncia e degli orientamenti giurisprudenziali affini, emergono alcuni parametri guida utili per distinguere una struttura legittima in edilizia libera da un abuso edilizio.

Reversibilità, mobilità e precario carattere delle chiusure

Una pergotenda che possa considerarsi libera deve mantenere un carattere precario, con elementi mobili, retrattili, facilmente smontabili o apribili senza opere invasive. Le chiusure laterali devono essere removibili e non costituire muri stabili: l’uso di vetrate scorrevoli non è in sé vietato, purché non configurino un ambiente isolato e autonomo.

Esclusione di impianti e collegamenti strutturali

Se la struttura è dotata di impianti fissi (riscaldamento, condizionamento, elettrici), collegamenti stabili con l’edificio (anche se solo impiantistici) o elementi strutturali robusti, può essere qualificata come organismo edilizio autonomo. In questi casi, il salto da “copertura leggera” a “volume chiuso” è più agevole.

Variazione di volume, superficie o destinazione d’uso

Se l’intervento genera aumento di superficie utile, modifica della destinazione (ad esempio da terrazzo a ambiente abitabile) o incide sul volume, cade l’ipotesi dell’edilizia libera. È proprio su questi elementi che la Cassazione ha basato la condanna del ricorrente nel caso concreto.

 Impatto visivo e armonizzazione architettonica

Il decreto Salva Casa richiede che l’opera non abbia “ingombro apparente disarmonico” rispetto all’edificio. Ciò significa che elementi vistosi, sproporzionati o fuori scala possono spingere l’opera fuori dal regime semplificato, anche se formalmente leggera.

Rispetto delle normative locali e strumenti urbanistici

Infine — spesso trascurato — l’intervento, pur potenzialmente rientrante in edilizia libera, deve rispettare anche il regolamento edilizio comunale, gli strumenti urbanistici, i vincoli paesaggistici e le prescrizioni specifiche. Un’opera libera in astratto può esser considerata abuso se contraria alle norme locali.

L’esistenza di queste discriminanti spiega perché spesso sorgano contenziosi anche in presenza di normative “semplificate”: ciò che conta è il comportamento reale dell’opera e la valutazione caso per caso.

Le sentenze del Consiglio di Stato 

Non mancano pronunce che hanno cercato di limitare l’effetto restrittivo delle interpretazioni e di dare una chance al regime semplificato per le strutture leggere. Un recente esempio è la sentenza n. 607/2025 del Consiglio di Stato, che ha ribaltato un ordine di demolizione emesso da un Comune. Il Collegio ha ritenuto che la struttura in questione – pergotenda con vetrate scorrevoli amovibili, senza impianti e priva di elementi rigidi fissi — rientrasse nel principio dell’edilizia libera, poiché non trasformava il terrazzo in un ambiente autonomo.

Secondo il Consiglio di Stato, se l’opera rimane funzionalmente e strutturalmente assimilabile ad un elemento d’arredo e non comporta mutamenti nel tessuto edilizio, non può essere sottoposta al regime dei nuovi volumi.

Tuttavia, questa sentenza trova contrasto con l’orientamento restrittivo della Cassazione, che nelle aree di confine è chiamata a dirimere la priorità interpretativa.

Va anche ricordato un precedente della Cassazione (sentenza n. 39596/2024) in cui si afferma che non rientrano nell’edilizia libera i manufatti che, pur formalmente “leggeri”, sono usati stabilmente come ambienti di lavoro o deposito, rappresentando di fatto una nuova costruzione.

Questo dualismo crea incertezza applicativa: chi opera con strutture borderline (vetrate scorrevoli, chiusure parziali, sistemi motorizzati) non può contare su un’applicazione uniforme della norma — e spesso decide di affidarsi al giudice o al tecnico di fiducia.

Conseguenze pratiche per cittadini e professionisti

La pronuncia Cassazione 29638/2025 ha ricadute concrete pesanti. Vediamo le principali:

Rischio penale e demolizione

Chi installa una struttura che valga oltre i limiti dell’edilizia libera può essere incriminato per reato edilizio (art. 44 DPR 380/2001), nonché costretto all’ordine di demolizione. Non si tratta solo di multe amministrative, ma di conseguenze che possono restare sul piano penale e gravare sulla responsabilità dell’attore, del progettista o del direttore dei lavori.

Effetti sul mercato immobiliare e sulle detrazioni fiscali

Un immobile dotato di verande o pergotende abusive potrebbe essere meno attrattivo sul mercato: in caso di compravendita, chi acquista potrebbe richiedere la sanatoria o il ripristino a sue spese. Inoltre, le opere abusive non possono beneficiare di incentivi fiscali, come bonus casa o detrazioni, finché non vengono messe in regola.

Ruolo chiave del tecnico

Architetti, ingegneri e geometri diventano guardiani cruciali: il loro compito è valutare in sede progettuale se l’opera rientra nei limiti di edilizia libera o necessita di titolo. Devono soppesare ogni elemento — struttura, chiusure, impianti — e consigliare il committente. Un’inconsapevole “leggerezza interpretativa” può costare caro.

Potere discrezionale

I comuni hanno un potere non indifferente: possono Far valere il rispetto del regolamento edilizio, negare concessioni quando l’intervento appare fuori scala, e avviare procedimenti di accertamento. Il regime comunale può “stringere” anche su opere altrimenti libere, imponendo vincoli più rigidi.

Situazioni in zona vincolata e centri storici

In contesti vincolati, paesaggistici o in zone classificate, le normative locali e i vincoli ambientali prevalgono: anche una struttura potenzialmente libera può essere vietata. Nei centri storici, una pergotenda che alteri la facciata può essere considerata dannosa e contro normativa, con conseguenti rigetti.

Per rendere la questione meno astratta, ecco alcuni casi ricorrenti in cui spesso si generano conflitti:

    Balcone con chiusure in vetro scorrevile: se la chiusura è amovibile e rimovibile, senza mutamenti strutturali, può rientrare in edilizia libera. Ma se è coibentata o integra impianti, rischia di essere considerata veranda.

    Pergotenda con teli rigidi e pali robusti: se i pali sono stabili e le coperture rigide, l’opera tende verso la componente edilizia; rischia titolo obbligatorio.

    Struttura con impianto elettrico, illuminazione fissa, prese, riscaldatori: questi elementi spesso fanno pendere l’ago verso la qualificazione come volume autonomo, richiedendo titolo.

    Chioschi leggeri per attività commerciale: la Cassazione ha già affermato che anche manufatti leggeri ad uso commerciale, se stabilmente utilizzati, non possono essere considerati semplici pergotende (sentenza 39596/2024).

    Strutture in zone vincolate: anche se rispettano i parametri tecnici di ‘leggerezza’, possono essere vietate per ragioni paesaggistiche o storiche: vincoli locali prevalgono.

La sentenza Cassazione 29638/2025 rappresenta un punto di svolta, ma non è l’ultima parola. Il rischio è che nascano nuovi contenziosi e spaccature interpretative, soprattutto nei casi borderline. Ecco alcuni suggerimenti operativi per il mondo tecnico e per i cittadini interessati.

  • Richiedere titolo preventivo in caso di dubbi

Quando l’opera si avvicina ai limiti previsti per l’edilizia libera, può essere prudente attivare una SCIA o un permesso di costruire, piuttosto che rischiare un ordine di demolizione.

.  Sanatoria degli interventi irregolari

Per chi ha già installato strutture che oggi rischiano di essere considerate abusive, la via della sanatoria può essere auspicabile: verifica della fattibilità, adeguamento e pagamento delle sanzioni. La regolarizzazione può “salvare” l’intervento ed evitare il ricorso al penale.

  • Monitoraggio giurisprudenziale

È fondamentale restare aggiornati: nuovi casi, pronunciamenti delle sezioni unite, modifiche legislative potrebbero cambiare i confini del regime semplificato per le pergotende.

  • Dialogo fra tecnici e amministrazioni

In alcuni comuni è utile instaurare un canale preventivo con l’ufficio tecnico, presentando bozze progettuali e verificando la possibilità di realizzazione. Spesso il confronto fa emergere soluzioni di compromesso accettabili per entrambe le parti.

La Cassazione con la sentenza 29638/2025 ha lanciato un segnale chiaro: non basta chiamare “pergotenda” una struttura per sottrarla ai vincoli edilizi. Il giudice si concentra sulla domanda concreta: che cosa è stato realizzato, come, con quali materiali, con quale incidenza volumetrica e con quali effetti sulla destinazione d’uso. Dove la struttura si trasforma in spazio chiuso stabile, la qualifica di edilizia libera non regge.

Il quadro che ne esce è quello di un settore ancora ricco di ambiguità. Professionisti e cittadini devono orientarsi con prudenza e con il supporto tecnico adeguato. Il “libero” promesso dal legislatore non è un lasciapassare automatico.

1 Ottobre 2025 ( modificato il 30 Settembre 2025 | 23:05 )
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