6:58 pm, 18 Ottobre 25 calendario

La memoria non è un optional: il film su Giuseppe Taliercio anche su Prime Video

Di: Salvatore Puzzo
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Il delitto perduto restituisce una storia che non doveva sparire

«Se non raccontiamo, rischiamo di dimenticare». È con questo spirito che il regista Mario Chiavalin ha deciso di portare sullo schermo la vicenda di Giuseppe Taliercio, dirigente del petrolchimico Montedison a Porto Marghera rapito e ucciso nel 1981 dalla cosiddetta “colonna veneta” delle Brigate Rosse. Il film, presentato in anteprima il 13 novembre 2024 a Mestre e approdato poi nelle sale, affronta una delle pagine meno note — ma simboliche — degli anni di piombo italiani.

Un urlo di memoria

Il film si apre con la famiglia Taliercio che viene travolta da un’escalation di violenza come tante altre dell’epoca: un pranzo in famiglia, i figli che scherzano, la quotidianità che all’improvviso viene strappata. È il 20 maggio 1981 quando, in casa a Mestre, un commando brigatista irrompe e rapisce Taliercio. Seguiranno 46 giorni – o secondo alcune fonti 47 – di prigionia e un epilogo che coincide con il ritrovamento del corpo il 5 luglio dello stesso anno, abbandonato presso un’autovettura nei pressi dello stabilimento.

Nel film, questa cronaca è restituita con rigore documentario e al contempo con tocco cinematografico: Chiavalin (anche sceneggiatore insieme a Leonardo Piccinni) ricostruisce ambienti industriali, casolari di reclusione, momenti di tensione ideologica, e disegna un ritratto umano di Taliercio come uomo di fede e di responsabilità.

La scelta del sottotitolo “Il delitto perduto” non è casuale: “perduto” non tanto perché la cronaca lo abbia ignorato, ma perché la memoria collettiva lo ha spesso relegato in secondo piano rispetto ad altre tragedie dell’epoca. Il regista lo esplicita chiaramente: «La sua fine segnò la fine degli anni di piombo», afferma, ma «molti non lo sanno».

Quando la lotta operaia entrò nel mirino del terrorismo

Per capire il senso profondo del film occorre tornare al clima d’Italia nei primi anni ’80. I “vent’anni di piombo” sono fatti di attentati, sequestri, scontri di piazza, ma anche di grandi soggetti industriali impegnati nello scontro tra dirigenza e forza lavoro. Il Petrolchimico di Porto Marghera era uno di questi epicentri: la Montedison vi conduceva attività strategiche, e la figura del dirigente Taliercio era centrale.

Il rapimento non fu casuale: la scelta di colpire un uomo come Taliercio — padre di famiglia, uomo di fede, gestore di una fabbrica — rispondeva all’idea delle Brigate Rosse di puntare sui “padroni” come capro espiatorio, in una logica violenta di lotta di classe.

La prigionia, la richiesta ideologica, l’attesa che non viene tolta: tutto ciò fa di questa vicenda non solo un fatto di cronaca, ma un simbolo della nostra democrazia che rischia di essere erosa dall’interno. Il film lo ricorda. «Ricordare per non dimenticare» è il claim del progetto.

La genesi del film e le difficoltà della memoria

Chiavalin ha raccontato che il progetto è nato “dal cuore”, ma non senza ostacoli: minacce ricevute durante la lavorazione, difficoltà nel reperire fondi (il film è stato realizzato «con qualche sponsor e con molto autofinanziamento», come lui stesso ha spiegato), ambientazioni complessive girate tra Mestre e lo stesso sito del Petrolchimico.

Al centro, c’è l’uomo: Michele Franco interpreta Taliercio e, nelle parole del figlio Cesare, “mio padre non era un rassegnato”.

Questo elemento umano è la chiave: l’ideale non diventa un’icona, ma un uomo “normale” che affronta l’ingiustizia e la violenza.

Un film di questo tipo funziona se provoca dibattito. Se resta in sala, è cinema; se entra nel tessuto culturale, diventa strumento. Resta da vedere senza forzature quanto questo racconto scavalcherà i confini delle proiezioni e entrerà nei licei, negli studi, nei momenti di riflessione collettiva.

“Ricordare per non dimenticare” non è un motto retorico, e con Giuseppe Taliercio – Il delitto perduto il cinema italiano fa un passo importante su un terreno scivoloso: quello della memoria civile. Il film non offre risposte semplici, ma rilancia domande: cosa significa vivere in democrazia? Quale prezzo paghiamo se spegniamo la curiosità verso il passato? Quali responsabilità abbiamo, oggi, nel tenere accesa la consapevolezza sul nostro presente?

In un Paese dove le ferite di ieri spesso si richiudono nell’oblio, il film di Mario Chiavalin chiede spazio, silenzio, attenzione. E su Prime Video ora potrai esaminarlo con attenzione critica …….

18 Ottobre 2025
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