Attentato a Ranucci e il ritorno dell’intimidazione di matrice mafiosa

Nella notte tra mercoledì e giovedì un ordigno è esploso dinanzi all’abitazione di Sigfrido Ranucci, noto conduttore e inviato d’inchiesta della trasmissione Report di Rai3. L’esplosione ha travolto e reso irriconoscibili l’automobile del giornalista e quella della figlia, parcheggiate sul lato della strada. Fortunatamente non si registrano feriti, ma la violenza della detonazione — secondo le prime valutazioni — sarebbe stata sufficiente a uccidere chiunque fosse passato in quel momento. Sull’episodio ha aperto un’inchiesta la DDA di Roma, con ipotesi di reato aggravata dall’uso del metodo mafioso; gli inquirenti hanno sequestrato residui dell’ordigno per analisi tecniche e balistiche.
L’attentato è avvenuto nella frazione di Pomezia, nella periferia sud di Roma: una zona che nella cronaca recente non è estranea ad affollate vertenze locali ma che raramente era stata teatro di atti di questa portata contro un giornalista. Sul luogo sono intervenuti Carabinieri, Digos, vigili del fuoco e tecnici degli artificieri che hanno isolato l’area e avviato rilievi accurati. Ranucci si è recato in caserma a presentare denuncia, accompagnato da una scorta assegnata d’urgenza: il livello di protezione del giornalista, già noto alle autorità per minacce ricevute in passato, verrà ulteriormente rafforzato.
Politica e istituzioni hanno reagito con immediata condanna. Il Presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno hanno parlato di gravissimo atto intimidatorio contro il diritto di cronaca e hanno espresso solidarietà al giornalista e alla Rai. Anche la comunità giornalistica italiana si è mobilitata, sottolineando come l’attacco rappresenti non solo un’aggressione personale ma una ferita alla democrazia: colpire chi svolge inchieste e controlli significa colpire uno dei pilastri del sistema informativo e del controllo pubblico.
Matrice ancora da chiarire
Gli inquirenti non escludono alcuna pista, ma la Procura distrettuale antimafia ha assunto il coordinamento delle indagini e procede con l’ipotesi dell’aggravante di metodo mafioso. Il riferimento è alla tecnica dell’intimidazione violenta con ordigni, che in passato è stata impiegata da gruppi organizzati per imporre soggezioni sul territorio o per punire chi aveva varcato limiti «tollerabili» per la criminalità strutturata. Non è però automatico che dove si applicano modalità simili vi sia una paternità diretta di organizzazioni mafiose tradizionali: i meccanismi dell’intimidazione si sono evoluti e possono passare anche attraverso cellule criminali di diversa natura, gruppi esterofili o soggetti afferenti a reti più fluide di intimidatori professionisti.
Quel che appare chiaro fin da subito è la precisione dell’azione preventiva: l’ordigno, descritto come rudimentale ma potente, è stato posizionato in modo da colpire i veicoli parcheggiati davanti all’abitazione e massimizzare i danni. Le analisi sui residui esplosivi e sulla natura dei componenti (inclusi eventuali elementi riconducibili a un’esecuzione tecnica professionale) saranno decisive per orientare le indagini e capire se chi ha agito aveva competenze specifiche, mezzi consolidati, o invece s’è limitato a una soluzione improvvisata con l’obiettivo di seminare paura.
Minacce e pressione sui cronisti d’inchiesta
Ranucci è uno dei volti più noti del giornalismo d’inchiesta italiano. Negli anni Report ha firmato reportage che hanno messo sotto la lente scandali di politica, imprese e appalti pubblici, e il conduttore stesso ha avuto in passato contenziosi e denunce giudiziarie legate al suo lavoro. Non è la prima volta che giornalisti investigativi in Italia subiscono intimidazioni: negli ultimi anni sono aumentati gli episodi che vanno dalle minacce verbali agli atti vandalici, fino agli attentati più gravi. Molti colleghi vivono sotto scorta o con protezioni giudiziarie, e numerose inchieste hanno rivelato come il clima di pressione renda spesso difficile portare avanti reportage scomodi.
Storicamente, la modalità dell’ordigno è stata simbolo di intimidazione mafiosa: pensiamo ai casi che hanno segnato gli anni Ottanta e Novanta, quando esplosioni e attentati rimasero impressi nella memoria collettiva. Oggi il contesto è mutato: la criminalità organizzata ha diversificato i suoi strumenti, ma la scelta di colpire il mezzo di trasporto e di agire davanti all’abitazione ha chiari rimandi al messaggio intimidatorio — non solo un danno materiale, ma la volontà di dimostrare capacità offensiva e di generare paura nella vittima e nella sua cerchia.
Le prime mosse investigative si concentrano su tre assi principali: il nucleo materiale dell’esplosione (ricostruire il tipo di ordigno e la sua provenienza), la rete di minacce e denunce a cui Ranucci è stato esposto negli ultimi mesi e anni (per individuare eventuali soggetti con interesse a fermarlo o intimidirlo), e i movimenti locali e nazionali che potrebbero aver fornito coperture o logistica. I carabinieri e la Digos passeranno al setaccio filmati di telecamere di sorveglianza, tabulati telefonici e transiti nella zona nelle ore precedenti l’attentato: a volte anche un dettaglio apparentemente marginale — un’automobile ripresa da un varco, il passaggio di un mezzo — è la chiave per risalire agli esecutori.
Al tempo stesso gli investigatori verificheranno eventuali «collegamenti editoriali» delle ultime inchieste di Report: una sequenza di servizi potrebbe avere urtato interessi di poteri economici o legami illeciti, generando reazioni violente. La Procura valuterà se esistano motivazioni dirette connesse a specifiche inchieste o se, come talvolta accade, si tratti di un attacco di natura intimidatoria più generale volto a silenziare il cronista e a mandare un messaggio all’intera categoria.
Le reazioni
A caldo, il mondo politico ha ribadito il valore della libertà di stampa e della protezione dei giornalisti. Sindacati della stampa e associazioni per i diritti civili hanno convocato assemblee e chiesto che la sicurezza non sia soltanto reazione tecnica ma impegno politico e culturale: contrastare le mani che minacciano il giornalismo significa investire sul tessuto istituzionale, sulla protezione delle fonti e sul sostegno alle redazioni che svolgono inchieste scomode.
Il caso mette anche sotto i riflettori la fragilità di un sistema informativo in cui la crescente ostilità verso i giornalisti, unita a una carenza di tutele efficaci in alcuni frangenti, può trasformare le intimidazioni in pratica di normalità. Salvaguardare i cronisti significa proteggere i cittadini: il diritto a essere informati dai contro-poteri è una garanzia democratica che va preservata con strumenti di prevenzione, con un apparato investigativo pronto e con una risposta politica netta.
Il gesto — drammatico e altamente simbolico — lascia sul selciato non solo rottami metallici e la facciata lesionata di una casa di periferia, ma un interrogativo più ampio: quali contorni assume oggi la pressione contro chi controlla il potere? Se tutto dovesse scivolare nella routine delle notizie, il rischio sarà che la violenza ottenga il suo primo — e forse più temibile — risultato: l’indebolimento della volontà collettiva di difendere il diritto di sapere.
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