Il ritorno di “Re” Marquez, trionfa in Giappone e conquista il titolo MotoGP

È un’immagine densa di simbolismo quella che si è imposta sul circuito di Motegi: Marc Márquez alza le braccia al cielo, visibilmente commosso, mentre la Ducati Lenovo celebra la sua ascesa. Con il secondo posto nel Gran Premio del Giappone, Márquez ha matematicamente conquistato il titolo mondiale della classe regina, il suo settimo in MotoGP (nono complessivo), dopo un’attesa che durava dal 2019. Un trionfo che non è soltanto sportivo, ma un racconto epico di resilienza, sacrifici, incognite e rivincite.
La vittoria del GP — che non decide il titolo — è andata a Francesco Bagnaia, che precede proprio Márquez al traguardo, offrendo una doppietta Ducati nel giorno della consacrazione del compagno di squadra. Sul podio chiude Joan Mir con la Honda. Alex Márquez, il più diretto rivale per il titolo, chiude in sesta posizione, decretando il dominio assoluto del fratello Marc e fissando un vantaggio finale che supererà i 200 punti.
Questo titolo non è una semplice aggiunta all’albo d’oro di Márquez: è una prova di purezza agonistica, un atto di redenzione e di riconquista. Dopo anni complicati — con infortuni, operazioni, momenti di buio e di crisi — il pilota spagnolo è tornato a regnare. E l’ha fatto con la lucidità di chi ha imparato a dosare lo sforzo, a governare le emozioni, a sfruttare la moto al massimo.
La gara che incorona un re
La domenica si era stretta attorno a un copione già scritto: Márquez avrebbe ottenuto il titolo anche con una prova di sufficienza, purché si contenesse il distacco da Alex, che ha giocato un ruolo più che da comprimario in questa stagione. Ma Ducati non voleva lasciare margini: Bagnaia, partito dalla pole, ha dettato il ritmo, affrontando labili fumate dallo scarico e tensioni tecniche che avrebbero potuto minare la sua prestazione. Ha resistito, ha comandato con decisione e ha tagliato il traguardo in festa.
Dietro di lui, Márquez ha gestito la sua corsa con freddezza: niente forzature inutili, nessun azzardo oltre il limite. Sapeva che non aveva bisogno di vincere quel giorno per diventare campione. Una strategia da grande campione, che ha confermato il dominio della Ducati in questo weekend e la superiorità complessiva del #93.
Quando la bandiera a scacchi ha sventolato, è esplosa l’emozione: lacrime, urla, silenzi. Márquez si è fermato davanti a uno schermo gigante che ripercorreva le sue sofferenze, le cadute, le operazioni, le paure. E, al culmine del momento, con la voce rotta dall’emozione, ha ammesso che “il gesto più difficile è stato tornare”, che “oggi posso essere in pace con me stesso”.
Nel retroscopio, il risultato si inscrive in una stagione leggendaria: dominata in lungo e in largo, con vittorie in gare normali e sprint, con continuità e rarissime battute d’arresto. Márquez ha segnato una superiorità che pochi piloti riescono a consegnare ai posteri.
Il percorso della rinascita
Per capire appieno il valore di questo titolo, bisogna ripercorrere gli anni che lo hanno preceduto. Nel 2020, dopo una caduta al primo Gran Premio, Márquez ha subìto un danno al braccio che ha richiesto numerosi interventi, portando a una lunga fase di recupero e di instabilità agonistica. Quattro operazioni, problemi di doppia vista (diplopia), un continuo adattarsi a una moto che non sempre appare ideale per il suo stile: tutti tasselli di una stagione di profonda crisi.
Gli anni successivi sono stati una partita persa e poi lentamente riprese: la scelta di lasciare Honda, la volontà di rimettersi in discussione, l’ingresso in Gresini Ducati, con la voglia di tornare ad essere competitivo. Nel 2024 Márquez ha già mostrato segnali di resurrezione: vittorie, piazzamenti, momenti di brillantezza, pur senza risalire al gradino più alto del podio iridato.
Nel 2025, finalmente, la luce piena: con la Ducati factory, Márquez ha ritrovato il feeling ideale, la continuità, la forza mentale per dominare una stagione che ora si traduce in titolo.
Ecco perché questo successo è una specie di vittoria “del tempo”. Un ritorno al vertice che pochi — a parte forse lui — potevano prevedere, ma che tantissimi speravano. Ha eguagliato il grande Valentino Rossi per titoli nella top class, con sette allori, e ora si appresta a guardare avanti: con la fame dei campioni autentici, non con la presunzione dei numeri.
Il duello sottotraccia con Bagnaia
La convivenza nel box Ducati con Francesco Bagnaia è stata una delle chiavi narrative della stagione. Bagnaia, già due volte iridato, parte da una posizione di prestigio e di attese: avrebbe voluto essere egli stesso il pilota riferimento della Rossa. Invece, è stato alle prese con sensazioni difficili, momenti di dubbio, e la continua ombra del fenomeno Márquez.
Lo stesso Bagnaia in alcuni momenti ha ammesso di trovarsi “in balia della moto”: quando l’anteriore tradisce, quando l’appoggio manca, quando il limite è invisibile. E ha fatto fatica a tenere il ritmo di Márquez, che sembra aver trovato nella Desmosedici GP una piattaforma perfetta per gestire con freddezza curve e trasferimenti.
Tuttavia, non va dimenticato che Bagnaia ha portato a casa vittorie significative, scintille di brillantezza, e una prova impeccabile in Giappone. Il guanto di sfida è lì: resta viva la speranza che possa emergere in pieno, che l’annata non sia soltanto una stagione celebrativa per Márquez, ma anche l’occasione per Bagnaia di rilanciarsi.
Ma il confronto è implacabile: condividere il box con un pilota di tale calibro non aiuta, soprattutto quando quel pilota ha dentro il cuore l’appello del ritorno, il desiderio di scrivere pagine definitive. Bagnaia dovrà gestire non solo la moto, ma anche l’ansia di affermare la sua leadership.
Un laboratorio vincente
Il successo di Márquez non può essere separato dal progetto Ducati. È un matrimonio che oggi splende: la moto ha risposto, il team ha supportato con efficienza, la strategia è stata calibrata con perizia. E l’alto tasso tecnico è stato evidente: la doppietta a Motegi ne è simbolo plastico.
Certo, gestire due assi (Márquez e Bagnaia) all’interno dello stesso box non è compito facile. Compromessi tattici, direttive interne, priorità di gara vanno calibrate con mano decisa. Ma Ducati ha dimostrato di avere la maturità per farlo, almeno in questo frangente decisivo.
Con questo titolo, Ducati consolida la sua immagine di casa moto da vertice assoluto. E non è un’operazione di facciata: è la conferma che la casa emiliana sa interpretare la top class anche negli anni più ardui, dove la supremazia meccanica non basta: servono riuscita aerodinamica, gestione elettronica, sensibilità tecnica, visione globale.
Le reazioni nel paddock sono state immediate e intense: applausi, commozione, riconoscimenti unanimi. Alcuni addetti ai lavori sottolineano come questo titolo abbia un sapore diverso: non quello di un dominio incontrastato fin dall’inizio, ma di una conquista che è passata attraverso il dolore, la resilienza, il coraggio.
Márquez ha parlato di “pace interiore”, di “essere tornato in me stesso”, di ragioni profonde che vanno oltre la vittoria. Ha riconosciuto di aver commesso un “grande errore” tornando troppo presto dopo un infortunio, ma che oggi si sente libero dalla frenesia del risultato. È una maturità che emerge da questi anni di battaglia.
Per il motociclismo italiano, il momento è agrodolce: Bagnaia ha brillato, ma è stato spettatore del trionfo altrui. Il sogno italiano del titolo è stato sfiorato, ma non stravolto. Ci sono prospettive positive, rivincite da costruire. Il 2025 non rimarrà come una stagione persa, ma come un banco di prova per rimettere in carreggiata le ambizioni.
Nel mercato dei piloti, nel posizionamento dei team e nelle strategie future, questo titolo può generare effetti a cascata: contratti, sponsor, rivalità, assetti tecnici. Chi vuole competere con Márquez nella prossima stagione dovrà fare i conti col suo livello rinnovato.
Con cinque gran premi ancora da disputare, Márquez potrà guidare con più leggerezza, senza la pressione del risultato massimo. Ma certamente non mancherà la voglia di affermare ulteriormente il proprio dominio, di vincere ancora, di consolidare l’epica.
I rivali proveranno contromosse: strategie da gruppo, attacchi congiunti, tentativi di sfruttare circuiti tecnici o con caratteristiche divergenti. Sarà una prova per testare quanto sia effettiva la superiorità di Márquez, se regge anche in condizioni avverse.
E poi c’è il pubblico, la memoria: Marquez oggi scrive una delle pagine più belle del motociclismo recente. Il ritorno dopo il buio, la vittoria dopo il deficit, l’istinto che si riplasma in saggezza.
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