Ortottisti: 70 anni di impegno per la salute visiva

Settanta anni fa, il 21 settembre 1955 si varcava la soglia dell’allora “Scuola speciale per ortottiste” istituita con il DPR n. 952. Nasceva ufficialmente in Italia la figura dell’Ortottista, una delle prime professioni riconosciute nel panorama sanitario. È un compleanno che ha il sapore della storia, ma anche quello della responsabilità verso un futuro che cambia rapidamente: l’ortottica italiana festeggia i suoi 70 anni, forte di una presenza capillare, di competenze crescenti e di un ruolo strategico nella prevenzione, nella diagnosi e nella riabilitazione della vista.
Dalle origini agli anni Settanta: un’evoluzione che si costruisce passo dopo passo
La figura dell’Ortottista non nasce dal nulla: s’ispira all’esperienza europea, dove l’“orthoptist” era già attiva in vari paesi fin dai primi decenni del Novecento. In Italia invece la legge del ’55 istituì la Scuola speciale a Milano, autorizzando l’attivazione di corsi con diploma (all’inizio), destinati esclusivamente alle donne, dove si insegnava la correzione dei difetti visivi, la terapia della motilità oculare, l’assistenza in oftalmologia.
Negli anni Sessanta e Settanta, sotto la spinta delle innovazioni in oftalmologia e della richiesta crescente di specialisti in disturbi visivi, la professione si amplia: il DPR 761/1979 inserisce l’Ortottista – e “assistente in oftalmologia” – nel personale della riabilitazione, definendone il ruolo tra fisioterapisti, logopedisti e altri profili sanitari della riabilitazione. Questo riconoscimento istituzionale è fondamentale per dare dignità giuridica al lavoro svolto.
Oggi: competenze tradizionali e nuove frontiere
L’ortottica, come riconosce la Commissione dell’Albo nazionale ortottisti della FNO TSRM e PSTRP, non è più limitata al trattamento dei difetti visivi e della motilità oculare: oggi il profilo professionale è multidimensionale. Le attività includono:
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prevenzione visiva con campagne di screening (soprattutto nei bambini, ma anche negli anziani per rischio di cadute);
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diagnostica e diagnosi precoce, spesso integrando tecnologie avanzate come imaging o collaborazioni genetiche in oftalmologia;
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riabilitazione visiva (compresa la riabilitazione della motilità oculare, la gestione della diplopia, il supporto nei casi di ipovisione);
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valutazioni necessarie per certificazioni della disabilità visiva;
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partecipazione attiva nei processi di valutazione multidimensionale previsti dalla nuova normativa (DLgs 62/2024);
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presenza nelle cosiddette “Case di comunità” o nei servizi territoriali, con screening visivi periodici quali strumenti di prevenzione.
I dati indicano che l’occupazione tra gli ortottisti è elevata: si segnala che solo una piccolissima percentuale risulta disoccupata entro un anno dalla laurea, e che la domanda è alta nel settore privato. Tuttavia, nel settore pubblico il riconoscimento delle competenze è ancora frammentato, con contratti spesso precari o forme contrattuali non sempre stabili.
La normativa del 2024: cosa cambia e cosa implica
Un capitolo centrale del presente per gli ortottisti è il Decreto Legislativo 3 maggio 2024, n. 62, che ridefinisce la condizione di disabilità in Italia, stabilisce la valutazione di base, la valutazione multidimensionale e il progetto di vita individualizzato, partecipato e personalizzato per le persone con disabilità. Alcuni elementi fondamentali introdotti:
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la valutazione di base, che certifica la condizione di disabilità, dev’essere seguita da una procedura partecipata, che coinvolge la persona interessata, i caregiver, professionisti sanitari, sociali, educativi e altri, a seconda dei casi.
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la valutazione multidimensionale, che approfondisce il profilo di funzionamento, le barriere ambientali e sociali, le aspettative personali; non è solo clinica, ma anche sociale, educativa, lavorativa.
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il progetto di vita, che diventa strumento chiave per l’inclusione, per connettere salute, autonomia, partecipazione sociale; si prevede anche un budget dedicato, che renda possibili interventi personalizzati anche al di fuori degli schemi standard di prestazione.
Questa riforma apre anche opportunità per l’ortottista, che può entrare come professionista sanitario esperto nei team di valutazione, soprattutto per quanto riguarda la componente sensoriale visiva in persone con disabilità complessa.
Storie pratiche: immagini dal territorio
Case di comunità in Sicilia: Maria, 6 anni, è nata con una deviazione marcata degli occhi; grazie allo screening visivo promosso da una Casa di comunità locale, è stata individuata precocemente una ambliopia e sottoposta a trattamento ortottico + occhiali con occlusione; oggi, a un anno di distanza, ha recuperato quasi completamente la visione dell’occhio “debole”. Il genitore ricorda quanto sarebbe stato più difficile se la diagnosi fosse arrivata dopo i tre anni.
Servizio pubblico in Lombardia: nel territorio di Brescia è partita una sperimentazione attiva per implementare il Decreto 62/2024. È stato costituito un UVM (Unità di Valutazione Multidimensionale) che include anche due ortottisti, un oculista, un fisioterapista, assistente sociale e psicologo. L’ortottista contribuisce a valutare gli aspetti visivi, la motilità oculare, le limitazioni sensoriali e collabora nel definire gli interventi personalizzati, compresi gli ausili visivi.
Queste esperienze confermano che la presenza dell’ortottista non è solo utile, ma in certi casi decisiva per evitare progressioni di patologie, ridurre disabilità e migliorare qualità della vita.
Le sfide che restano
Nonostante i progressi, sul piatto rimangono numerose sfide:
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Riconoscimento nel pubblico: molti ortottisti nel settore pubblico segnalano contratti precari, mancanza di avanzamento professionale, o che le competenze cliniche/complesse non vengono retribuite o valutate come dovrebbero.
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Formazione e accesso: serve maggiore visibilità dei corsi universitari (Ortottica e Assistenza Oftalmologica), riduzione dei costi di iscrizione, tirocinio vicino alla residenza dello studente, modalità di accesso meno rigide che penalizzano chi viene da regioni periferiche.
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Dotazioni tecnologiche disomogenee: non tutti i centri, specie quelli più piccoli o in zone rurali, dispongono di attrezzature diagnostiche avanzate, strumenti per screening o supporti per la telemedicina; questo crea disuguaglianze nell’offerta di servizi.
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Finanziamento pubblico e visibilità normativa: benché il DLgs 62/2024 apra spazi nuovi, la piena applicazione richiede risorse, coordinamento tra regioni, sistemi territoriali integrati; inoltre alcuni screening preventivi non sono obbligatori e restano attivi solo dove c’è sensibilità locale.
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Invecchiamento della popolazione e nuove patologie: con l’aumentare dell’età media, aumentano i casi di cataratta, glaucoma, maculopatia; l’ortottista è chiamato a lavorare con l’oftalmologia su diagnosi precoci, ma anche su riabilitazione visiva, prevenzione delle cadute legate a problemi visivi, declino cognitivo che può essere influenzato dalla salute visiva.
Proposte per valorizzare la professione nei prossimi anni
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Potenziare i corsi universitari: aumentare le borse di studio, assicurare docenti specialistici, prevedere indirizzi di specializzazione (per esempio ortottica pediatrica, ortottica in ipovisione, tele-ortottica).
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Coordinare screening visivi nazionali, magari con obbligatorietà su fasce d’età critiche (infanzia, età geriatrica), come avviene in altri paesi europei.
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Inserire in maniera stabile l’Ortottista nei team multidisciplinari per le valutazioni di disabilità – non solo come figura “accessoria”, ma come competenza riconosciuta.
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Incentivare la ricerca clinica e tecnologica in ortottica: genetica oftalmica, imaging, realtà virtuale per riabilitazione visiva.
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Rafforzare la presenza territoriale: Case di comunità, distretti sanitari, servizi domiciliari, anche per assicurare continuità di cura e diagnosi precoce.
Il valore sociale: dalla prevenzione cognitiva al benessere generale
Oltre al supporto visivo, gli ortottisti rivendicano il legame tra salute visiva, autonomia e funzioni cognitive: disturbi visivi trascurati possono contribuire ad aumentare il rischio di cadute negli anziani, accelerare declino cognitivo, peggiorare la qualità della vita. La prevenzione visiva diventa dunque un presidio sanitario anche per la salute mentale, la mobilità, l’integrazione sociale.
Inoltre, in età prescolare, una diagnosi e un intervento precoce possono evitare anni di difficoltà scolastica, disturbi dell’attenzione o problemi posturali correlati con maliocclusioni oculari o sforzi visivi.
Un anniversario che guarda avanti
Mentre in varie città si svolgono convegni, eventi pubblici, campagne di screening e comunicazione sociale — oggi, 70 anni dopo — gli ortottisti non guardano solo indietro, ma verso nuovi traguardi: consolidare la propria identità professionale, far sì che tutti i cittadini possano accedere a servizi visivi adeguati indipendentemente da dove vivono, potenziare le competenze cliniche e tecnologiche, costruire un sistema integrato che connetta prevenzione, cura, riabilitazione, inclusione.
Se questi anni hanno insegnato qualcosa, è che la visione non è solo un senso: è autonomia, sicurezza, partecipazione. In un paese che invecchia, in un mondo che cambia, l’Ortottista può e deve essere uno dei pilastri del sistema sanitario, non solo guardando la vista, ma guardando chi siamo — e chi possiamo diventare.
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