3:06 pm, 16 Settembre 25 calendario

La controversa parabola dell’on. Pasqualino Bandiera

Di: Salvatore Puzzo
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Un uomo tra giornalismo, politica e ombre del passato

Siracusa, anni Settanta. Un uomo dalla figura discreta ma dalla penna affilata si affaccia al palcoscenico pubblico: è Pasquale Bandiera, politicamente schierato nel Partito Repubblicano Italiano (PRI) e professionalmente radicato nel giornalismo. Da direttore di testate locali e nazionali a deputato della Repubblica, la sua carriera sembra una tipica traiettoria di chi intreccia informazione e potere. Ma la storia di Bandiera non è fatta soltanto di consensi elettorali e articoli di fondo: è attraversata da tensioni, scelte controverse, e da un’ombra che, sul finire degli anni Settanta e nell’inquietudine italiana di quel decennio, assunse il volto di una tessera numerica e di nomi impressi su elenchi segreti.

L’uomo e il giornalista

Nato a Siracusa nel 1924, laureato in scienze politiche, Bandiera costruì la propria carriera professionale nel giornalismo locale e nazionale. La doppia veste — giornalista-politico — non era all’epoca anomala: molti operatori dell’informazione vedevano nella politica un naturale sviluppo della propria attività civile. Bandiera fu direttore de La Voce Repubblicana, organo di riferimento del PRI in diverse fasi della sua storia, e con la penna cercò di forgiare un profilo culturale e identitario per le forze repubblicane in Sicilia. Nel racconto di più intervistati di quegli anni emerge un professionista attento al contesto locale, capace di tenere insieme posizioni politiche e sensibilità editoriali.

Il giornalismo gli offrì visibilità e legittimazione. In Parlamento, poi, la sua esperienza professionale – e il dialogo con colleghi cronisti – contribuirono a farne un mediatore fra esigenze elettorali e narrazioni pubbliche. Il ruolo di uomo di carta e di voce editoriale fu centrale per la sua immagine: rispetto, autorevolezza, e — per alcuni — una capacità quasi artigianale di leggere il consenso.

L’ascesa politica: elezioni e incarichi

La carriera parlamentare di Bandiera si svolse negli anni Settanta e inizio Ottanta: eletto alla Camera nei primi anni Settanta, confermato alle tornate successive, si impose come figura di riferimento per il PRI nella Sicilia orientale. Alle dinamiche di partito fece seguito un riconoscimento di responsabilità istituzionale: fu sottosegretario al Ministero della Difesa in governi dell’epoca. Fu un periodo in cui l’Italia viveva tensioni interne, sfide economiche e il riemergere di questioni legate alla sicurezza e alla struttura dello Stato. In quel contesto, il dicastero della Difesa era un osservatorio critico: l’Italia, pur fuori dagli scenari di guerra, doveva confrontarsi con la modernizzazione delle forze armate, con le gerarchie di gestione del personale e con sensibilità geopolitiche che influivano la politica interna.

L’ombra della loggia: la P2 e la tessera numero 114

È qui che la vicenda di Bandiera si incrocia con una delle pagine più dolorose e discusse dell’Italia repubblicana: la scoperta della loggia massonica segreta nota come Propaganda Due (P2). Negli anni Ottanta l’elenco degli iscritti alla P2 fu una valanga che travolse personalità del mondo politico, economico, dei media e della finanza. Tra i nomi emersi apparvero tessere che scossero partiti e istituzioni.

Per Pasquale Bandiera il riscontro pubblico fu significativo: il suo nome figurò in elenchi collegati alla P2, associato alla tessera 114. La comparsa dell’iscrizione gettò dubbi e suscitò interrogativi, più ancora nell’opinione pubblica che vedeva nella P2 l’ombra di reti trasversali capaci di condizionare la vita pubblica italiana. Per la carriera di un politico, specialmente se attivo nel governo e vicino alle questioni di difesa e sicurezza, l’accostamento alla loggia implicava sospetti pesanti: compromissioni, relazioni opache, collegamenti con circuiti che la democrazia doveva tenere sotto osservazione.

Giornalismo e politica: il doppio ruolo sotto la lente

Il caso Bandiera mette in luce una tensione strutturale: quando un giornalista diventa politico, dove finiscono il mestiere e la responsabilità? Il rapporto fra stampa e potere è sempre stato complesso: informare può essere orientare, e l’accesso alle informazioni può trasformarsi in leva di influenza. Per Bandiera, che aveva ruoli in testate e nell’apparato politico del PRI, la distinzione tra attività giornalistica e incarico pubblico fu materia di discussione e sospetto.

Più in generale, gli anni in cui operò Bandiera furono segnati da un ampio uso della comunicazione politica che innescava dinamiche di visibilità e consenso. Il mestiere del giornalista poteva offrire strumenti di costruzione dell’immagine (editoriali, rubriche, interviste), ma anche mettere in piedi circuiti informali di scambio di favori o di copertura mediatica. L’analisi contemporanea di alcune vicende di quell’epoca suggerisce che la mescolanza dei ruoli rese la politica italiana più vulnerabile alle oscillazioni dell’opinione pubblica e più suscettibile alla penetrazione di reti non trasparenti.

Episodi giudiziari, inchieste e rimozioni

Nel ricordare la carriera di Bandiera è necessario non confondere scandali mediatici con condanne o sentenze definitive. La presenza del suo nome in liste o documenti legati alla P2 non equivale a una condanna penale automatica; tuttavia sul piano politico e simbolico l’effetto fu devastante. Le inchieste degli anni Ottanta portarono alla luce reti, relazioni e rapporti che imposero ripensamenti nelle forze politiche e nell’opinione pubblica: la sfiducia si mosse su territori che non sempre corrispondevano ai confini del diritto.

Bandiera, come altri coinvolti, cercò di respingere le accuse, di spiegare la natura dei rapporti e di ricollocarsi nel dibattito pubblico. Nel tempo, quando le furie mediatiche si attenuarono, la memoria collettiva conservò soprattutto l’immagine di una stagione politica attraversata dal sospetto più che da accertamenti conclusivi. Per molti protagonisti, il prezzo politico fu maggiore di quello giudiziario: una reputazione compromessa, spazi di azione ridotti, e il dovere di giustificare passaggi che altrimenti sarebbero rimasti in ombra.

Le relazioni Bandiera – Cossiga – servizi segreti

Cosa emerge dalle fonti su Bandiera, Cossiga e i servizi segreti, ciò che è certo e ciò che è ipotizzato:

Bandiera sottosegretario alla Difesa sotto Cossiga

Pasquale Bandiera fu sottosegretario al Ministero della Difesa nel governo Cossiga II, carica che comporta responsabilità relative al settore Difesa e, in genere, rapporti istituzionali con le strutture militari e possibilmente con ambiti dell’intelligence.

Tuttavia, non ci sono fonti che attestino che Bandiera abbia avuto compiti diretti nei servizi segreti, né che abbia avuto incarichi ufficiali all’interno dei corpi di intelligence o che fosse coinvolto in operazioni riservate.

Iscrizioni a reti occulte come la P2

Quando un politico/giornalista è iscritto a un’organizzazione come la P2, l’attenzione pubblica si concentra su quali rapporti abbia avuto con apparati statali riservati, e se quell’iscrizione abbia favorito accessi privilegiati o conoscenze riservate. Nel caso di Bandiera la P2 rimane la chiave più concreta di collegamento problematico, ma non è documentato che da questo sia derivata una partecipazione operativa ai servizi segreti.

Ruolo del Ministero della Difesa

Come sottosegretario alla Difesa, Bandiera avrebbe potuto avere contatti con apparati militari, intelligence militare etc. Ma il fatto di essere sottosegretario non significa automaticamente controllo operativo su servizi segreti, specialmente su quelle attività riservate. Spesso il potere è delegato o scorporato, con struttura di segreto, non documentata pubblicamente.

Il fatto che il Fondo Cossiga contenga carte in cui compaiono Bandiera e Ungari segnala che Cossiga si era occupato, o gli erano arrivate, istanze e documenti che li coinvolgevano (attività culturali, premiali, corrispondenze, rassegne stampa). Non indica necessariamente una relazione “operativa” con i servizi ma mostra contatti/corrispondenze istituzionali.

L’Inventario del Fondo Cossiga  mostra in buste e sottoserie dedicate a temi come i diritti dell’uomo, massoneria e associazioni, compaiono i nomi Bandiera Pasquale e Ungari Paolo nello stesso blocco di documentazione (ad es. busta 116 / Lidu / “Premio Paolo Ungari” e materiali relativi alla LIDU, ritagli con “Ricordo di Paolo Ungari”, scritti che menzionano Ungari come “Maestro Massone”). Questo prova che i documenti raccolti da Cossiga toccano entrambi (ma non prova di per sé collegamenti operativi con i servizi).

Il dopo-parlamento

Con la fine del mandato parlamentare nel 1983, Bandiera si ritirò progressivamente dalle prime file della politica nazionale, pur mantenendo partecipazioni attive in ambiti culturali e associativi. Alcuni dei suoi interessi editoriali e culturali proseguirono: ricordi, saggi e la cura di alcune testate locali testimoniano un legame con la vita civile e culturale del Mezzogiorno.

L’eredità e la lezione storica

Cosa rimane, a distanza di decenni, della vicenda Bandiera? Due lezioni appaiono evidenti. La prima: la fiducia nelle istituzioni si costruisce anche attraverso la separazione dei ruoli e la trasparenza dei rapporti. Quando i confini fra informazione, potere e relazioni private si assottigliano, la democrazia perde resistenza ai tentativi di manipolazione. La seconda: la storia individuale di un politico non si riduce a un episodio isolato; va letta come intreccio tra azioni pubbliche, contesti e trasformazioni della società.

16 Settembre 2025
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