🌐 “Risolto il 90% delle questioni tra Mosca e Kiev”
Nel cuore di Berlino, ai vertici diplomatici di dicembre,Washington annuncia che è stato “risolto il 90% delle questioni tra Mosca e Kiev” nel percorso di pace tra Ucraina e Russia, al centro di una proposta che promette garanzie di sicurezza simili all’Articolo 5 della NATO e una forza multinazionale per stabilizzare la regione.
📌 Parlare di pace dopo più di tre anni di guerra non è mai stato così vicino, eppure così incerto. Negli ultimi due giorni la scena internazionale si è spostata nel cuore dell’Europa: nella capitale tedesca si sono intrecciati summit, colloqui e tavoli bilaterali tra Stati Uniti, Ucraina, Unione Europea e alleati della NATO, con un filo rosso che unisce gli sforzi diplomatici e i progressi verso la fine del conflitto. La Casa Bianca ha espresso una dichiarazione destinata a rimanere nella storia: «Abbiamo risolto il 90% delle questioni tra Mosca e Kiev» nel percorso di negoziato per porre fine alla guerra.
Tuttavia, è proprio quel restante 10% di dossier aperti — territorio del Donbass e status di regioni strategiche come Zaporizhzhia — che rischia di far saltare l’equilibrio fragile di un accordo che nessuna delle parti vuole ufficialmente perdere.
Il «90% risolto»
Dietro le cifre e le dichiarazioni trionfalistiche, il quadro è complesso. L’amministrazione statunitense, guidata dal presidente Donald Trump, ha annunciato che la maggior parte degli aspetti negoziali è stata definita: garanzie di sicurezza per l’Ucraina, meccanismi di monitoraggio per un possibile cessate il fuoco, dialogo istituzionale e pacchetto di assistenza economica e ricostruzione.
Queste garanzie di sicurezza sono pensate per essere “simili all’Articolo 5 della NATO”, un impegno formale di difesa collettiva che però non implica automaticamente l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica. È un compromesso politico importante: Kyiv ha manifestato la sua disponibilità a rinunciare alla piena adesione alla NATO in cambio di una protezione giuridicamente vincolante offerta da Stati Uniti, UE e partner.
La sfida più spinosa riguarda la parte territoriale dell’accordo. Mosca vuole che l’Ucraina accetti l’effettiva sovranità russa su alcune aree occupate, in primis nel Donbass e altre zone contese; Zelenskyy ha dichiarato che nessuna forma di controllo russo sul Donbas sarà accettata né de jure né de facto.
La maratona diplomatica di Berlino
La capitale tedesca è diventata il teatro politico degli ultimi sviluppi: leader europei, funzionari statunitensi e rappresentanti ucraini si sono incontrati per due giorni di trattative dense, seguite da cene e colloqui bilaterali. Il cancelliere tedesco ha richiamato l’urgenza di fermare il fuoco prima delle festività natalizie, mentre l’Europa si è detta pronta a contribuire con una forza multinazionale di sicurezza da dispiegare in Ucraina.
La presenza dei vertici dell’UE ha avuto un doppio effetto: da una parte ha rafforzato il fronte occidentale unito attorno all’iniziativa statunitense; dall’altra ha evidenziato le differenze di vedute interne all’Unione su sanzioni, asset congelati e misure di ricostruzione.
Garanzie di sicurezza: un nuovo sistema o un vecchio schema?
Il nodo centrale dell’accordo — dopo quello territoriale — sono le garanzie di sicurezza. I funzionari americani e europei intendono stabilire un quadro di protezione che va oltre l’assistenza militare tradizionale e introduce un impegno multilaterale formale: monitoraggio, presidi di difesa conjuntos e potenziali clausole di intervento in caso di aggressione.
Questa impostazione nasce dalle constatazioni storiche che il precedente trattato di Budapest — che nel 1994 aveva garantito l’integrità territoriale ucraina in cambio della rinuncia alle armi nucleari — non ha impedito l’invasione. La nuova proposta ricalca la logica di difesa collettiva, pur restando al di fuori del trattato NATO formale.
Un lungo negoziato
Il tentativo di porre fine alla guerra non è nato ieri. Fin dai primi mesi del conflitto nel 2022, vari tentativi di mediazione internazionale avevano cercato una via d’uscita. Alcuni passaggi storici includono i negoziati diretti tra Kiev e Mosca nel 2025 che portarono soltanto a scambi di prigionieri e a brevi cessate il fuoco temporanei, senza progressi sostanziali su accordi più ampi.
Nel corso dell’anno, la diplomazia ha oscillato tra momenti di intensa attività — come le discussioni a Gedda o in sedi europee — e periodi di stallo, spesso correlati alle decisioni politiche interne degli Stati coinvolti, in particolare negli Stati Uniti e in Russia.
Le ombre dietro la luce dei progressi
Nonostante i passi avanti, molte ombre restano. La posizione russa appare incerta: Mosca chiede concessioni territoriali rilevanti e una clausola che escluda per sempre l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, misura che per molti europei è un prezzo politico molto alto da pagare.
Dall’altro lato, l’Ucraina è costretta a bilanciare la necessità di pace con la determinazione a non cedere su territori che considerano parte integrante del proprio Stato. Il presidente Zelenskyy ha ripetuto nelle ultime ore che ogni compromesso deve garantire l’integrità territoriale e la sovranità nazionale.
I prossimi giorni saranno decisivi. Al di là delle dichiarazioni di Berlino, i leader mondiali sono consapevoli che senza un accordo duraturo e sostenibile le tensioni potrebbero riaccendersi, con rischio di escalation oltre i confini attuali.
La diplomazia lavora alacremente, ma la pace, si sa, è un obiettivo che nasce da compromessi ardui e spesso dolorosi.
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