10:41 am, 10 Dicembre 25 calendario

🌐 Carlo De Benedetti lascia “Domani”: il piano per ottenere 2 milioni

Di: Redazione Metrotoday
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Un passaggio epocale per il quotidiano Domani: dopo cinque anni dalla sua fondazione, Carlo De Benedetti ha annunciato l’addio alla proprietà, trasferendo il controllo del giornale a una Fondazione Editoriale Domani, senza scopo di lucro.
L’operazione, formalizzata il 25 settembre, arriva in un momento finanziariamente critico, con perdite che hanno superato il milione di euro negli ultimi mesi. Ma non è solo un gesto filantropico: dietro la scelta si intravede una strategia per accedere ai contributi pubblici dell’editoria, potenzialmente fino a 2 milioni di euro da Palazzo Chigi, con un nodo politico non da poco: il sostegno arriva — per paradosso — sotto il governo di Giorgia Meloni.

Un addio annunciato, ma non inatteso

📌  L’uscita di scena di De Benedetti non è una sorpresa totale. Già nel 2020, quando annunciò la nascita del quotidiano, aveva ipotizzato che in un momento di stabilità il giornale potesse essere trasferito a una fondazione. Durante il quinto anniversario di Domani, il 15 settembre 2025, l’imprenditore ha ufficializzato l’operazione con una dotazione iniziale di 4 milioni di euro per la nuova Fondazione.

De Benedetti ha motivato così la decisione: “Quando il giornale fosse stato in equilibrio economico, l’avrei passato a una fondazione”.  E in effetti, continua a dirsi legato al progetto: pur rinunciando alla proprietà diretta, mantiene l’impegno a “seguire con passione il giornale”.

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I conti in rosso: perdite e ricapitalizzazione

Il passaggio di proprietà arriva in un momento in cui Domani non è ancora in pareggio. Secondo i dati presentati in assemblea, al 31 agosto 2025 le perdite ammontavano a 1.051.099 €, a cui si aggiungono ulteriori 11.134 € di perdite pregresse non coperte.

Nel bilancio 2024, il giornale ha registrato ricavi per 5,35 milioni di euro, in calo rispetto ai 5,727 milioni dell’anno precedente. De Benedetti ha cercato di tamponare i conti versando fondi propri, ma non è bastato: il capitale sociale era infatti stato eroso quasi completamente, e per ricostituirlo è stata approvata un’operazione di aumento del capitale (da 1 milione di euro), con l’intervento decisivo della Fondazione.

In precedenza, nel 2025, l’editore aveva messo mano al portafoglio in maniera più consistente: secondo quanto riportato da Open, ha coperto un buco complessivo di 11,1 milioni €, azzerando il capitale sociale e ricostituendolo con l’aumento fino a 5 milioni di euro previsto entro il 2027.

Le modifiche statutarie e il “sogno” dei contributi

🔎 Con il passaggio alla Fondazione, il Domani ha modificato il proprio statuto: in assemblea straordinaria sono stati aggiornati gli articoli (XXIV e XXV), introducendo una clausola chiave. Secondo il nuovo testo, per otto anni dopo la riscossione dei contributi pubblici, la società non potrà distribuire utili derivanti da quei fondi.

Questa scelta non è casuale: grazie alla nuova forma giuridica di ente senza scopo di lucro, la testata potrà candidarsi ai contributi diretti all’editoria da parte del Dipartimento per l’editoria di Palazzo Chigi. Secondo le simulazioni fatte dallo stesso Domani, l’ammontare potenziale dei contributi sarebbe di circa 2 milioni di euro, una cifra che potrebbe coprire integralmente o quasi le perdite accumulate.

È lo stesso meccanismo già sfruttato da altre testate: il modello scelto da De Benedetti rende Domani simile per dimensioni al Foglio, che attualmente riceve contributi statali.

Motivazioni ideali, ma sfondo politico non banale

De Benedetti ha spiegato che uno dei pilastri di questa operazione è l’indipendenza editoriale: nominando una fondazione, intende garantire che il giornale rimanga “progressista, indipendente, riformista”, anche dopo il suo ritiro dalla proprietà diretta.  Il presidente del consiglio d’amministrazione di Domani, Antonio Campo Dall’Orto, e il direttore Emiliano Fittipaldi avranno un ruolo chiave nell’individuare nuovi profili di alto livello per la Fondazione.

Tuttavia, il tema dei contributi pubblici apre un capitolo politico complesso: richiedere fondi allo Stato con una testata che finora non ha beneficiato di tali contributi sembra un’operazione strategica, tanto più che la richiesta arriva sotto un governo guidato da Giorgia Meloni.

Questa mossa ha già alimentato il dibattito su come i finanziamenti all’editoria siano distribuiti e su quali criteri vengano assegnati, soprattutto in un panorama politico polarizzato.

Reazioni e prospettive

Tra gli osservatori del mondo dell’informazione, la decisione di De Benedetti è vista come una “mossa lungimirante”: da un lato un gesto filantropico, che garantisce stabilità al progetto editoriale nel lungo periodo; dall’altro una strategia pratico-finanziaria per accedere ai fondi pubblici in un regime più favorevole.

Al contempo, non mancano i critici. Alcuni commentatori segnalano il rischio che il ricorso ai contributi statali possa minare l’indipendenza del giornale: trasformarsi in beneficiario degli stessi fondi che, potenzialmente, potrebbero condizionare la linea editoriale. Altri, più scettici, si interrogano sull’effettiva sostenibilità del progetto: se le perdite continuano, serviranno altri fondi, e la fondazione dovrà coprire non solo i costi operativi ma anche la capacità di innovarsi.

Dal punto di vista giornalistico, la nuova struttura societaria – fondazione + clausola di non distribuzione degli utili per otto anni – è un modello che può risultare virtuoso se ben governato, ma che pone obblighi e sfide non banali. La Fondazione dovrà bilanciare la mission culturale del giornale con la necessità di produrre ricavi (abbonamenti, pubblicità, digital) per restare sostenibile.

L’addio di Carlo De Benedetti a Domani non è soltanto un cambio di proprietà: è una mossa strategica che intreccia ideali di indipendenza, sostenibilità economica e opportunità politiche. Con la Fondazione al timone e una possibile iniezione di 2 milioni dai contributi statali, il quotidiano entra in una nuova fase della sua vita. Se il piano riuscirà, potrebbe diventare un esempio di testata progressista e autonoma; se fallirà, le perdite potrebbero riemergere, mettendo a rischio non solo l’equilibrio finanziario ma anche la missione editoriale. Il confronto con il governo Meloni aggiunge un ulteriore livello di tensione, evidenziando quanto sia delicato – nella stampa italiana – trasformare una promessa filantropica in un progetto sostenibile nel tempo.

10 Dicembre 2025
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