⚖️ Riforma giustizia: sondaggio vede SÌ al 57 %
📌 Nel cuore delle polemiche sul sistema giudiziario italiano, un nuovo sondaggio scuote lo scenario politico: secondo l’ultima rilevazione dell’istituto Noto per Porta a Porta, il 57 % degli italiani che si esprime — e dichiara che andrà a votare — voterebbe “Sì” alla conferma della legge di riforma della giustizia, soprattutto della norma che prevede la separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante.

Un sondaggio che rilancia la partita
🔎 Secondo i dati, il 53 % degli italiani intervistati sostiene che prenderà parte al referendum. Se la consultazione fosse oggi, il 57 % voterebbe sì, contro un 37 % che andrebbe per il no. La distribuzione del consenso riflette forti differenze tra schieramenti politici: il sì raccoglierebbe l’88 % degli elettori di Fratelli d’Italia, il 96 % di quelli di Forza Italia e il 95 % degli elettori della Lega; il no prevale invece tra gli elettori di Partito Democratico (72 %), del Movimento 5 Stelle (77 %) e di altre forze di opposizione.
Non si tratta del primo sondaggio favorevole alla riforma: già a novembre un altro rilevamento, condotto da YouTrend per Sky TG24, indicava un 56 % di preferenze per il sì contro il 44 % del no — con un incremento rispetto a un analogo sondaggio di luglio, quando il divario era molto più contenuto (51 %‑49 %).
La legge in questione, uscita dal Parlamento dopo un dibattito acceso, riforma la struttura della magistratura: introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, modifica l’organizzazione interna e stabilisce meccanismi nuovi per il reclutamento e la promozione, con l’obiettivo dichiarato di ridurre il correntismo e rafforzare l’imparzialità.
Dal lato del governo e dei partiti favorevoli, la riforma rappresenta un «ritorno al primato della politica» nella selezione dei magistrati, una riorganizzazione che dovrebbe tracciare in modo più netto i confini tra inchiesta e giudizio, e rallentare le carriere accelerate fiancheggiate da logiche interne. Recenti dichiarazioni pubbliche del ministro in carica evocano la necessità di un sistema più “trasparente e responsabile”.
Dal punto di vista degli elettori, la stanchezza nei confronti della lentezza dei processi, l’idea di una giustizia più efficiente e strutturata, mischiata a una percezione di corruzione o favoritismi, può aver reso credibile la proposta. In un Paese con una storia di scandali giudiziari, molti sembrano pronti a dare fiducia a una “normalizzazione” della giustizia.
Le ombre sull’indipendenza della magistratura
Ma la riforma non è priva di critici: parte della magistratura e dell’opinione pubblica contesta la separazione delle carriere come un pericolo per l’indipendenza dell’ordinamento giudiziario. Secondo analisti e associazioni, la divisione tra PM e giudici potrebbe creare due “anime” con interessi diversi, indebolendo la coerenza dell’azione giudiziaria.
Le critiche si concentrano sull’ipotesi che la selezione, le promozioni, i passaggi di carriera possano essere soggetti a logiche di potere politico o a conflitti di interesse. L’adozione di meccanismi quali sorteggio per i membri del nuovo Consiglio superiore e una “Alta Corte” per la disciplina della magistratura sono visti da alcuni come tentativi di ridisegnare il potere della giustizia, rischiando di condizionare rigidità e autonomia.
Un documento critico definisce la riforma come «un attacco all’assetto democratico», paragonando il referendum non a un aggiornamento organico, ma a una ridefinizione del sistema di governo della giustizia a vantaggio del potere politico.
Un banco di prova per la democrazia
La riforma è stata approvata dal Parlamento, ma non con la maggioranza qualificata dei due terzi, per cui la via referendaria è obbligata. Il referendum — ammesso ufficialmente — dovrebbe tenersi entro il 29 marzo 2026 al più tardi.
Il sondaggio attuale non solo dà al Sì un margine significativo, ma indica anche un elettorato più mobilitato rispetto a precedenti rilevazioni: la quota di indecisi si è ridotta, e la partita sembra delinearsi con un orientamento netto. Se questi dati fossero confermati alla chiusura delle urne, la riforma potrebbe segnare l’avvio di una fase di ristrutturazione profonda della giustizia italiana.
Ma il referendum non sarà soltanto una consultazione tecnica: sarà anche un referendum politico. Alcuni sondaggi — come quello condotto da Only Numbers — suggeriscono che, se vincesse il No, per la maggioranza di governo guidata da Giorgia Meloni si aprirebbe una crisi di fiducia, con richieste di dimissioni da parte di esponenti dell’opposizione.
Una riforma che non è sola
Questa proposta — che oggi giunge al referendum — si inserisce in una lunga storia di tentativi di riforma della magistratura in Italia. Già nei primi anni 2000, con la famosa Riforma Castelli, si era discusso di separazione delle carriere, promozioni legate all’anzianità e criteri meritocratici: una proposta però abortita o ridimensionata.
Negli anni successivi, la tensione tra potere politico e magistratura è diventata una costante della vita pubblica italiana — scandali, inchieste, accuse di favoritismi, interpelli politici, ricorsi alla Corte europea. La riforma attuale viene descritta da chi la sostiene come un tentativo di “normalizzare” un sistema che molti percepiscono come fragile, politicizzato, soggetto a influenze. Da chi la contesta, invece, come un’operazione di delegittimazione del potere giudiziario.
Tra informazione e indifferenza
Un’ulteriore rilevazione — condotta da SWG per La7 — mostra che solo il 43 % degli intervistati si considera “molto informato” sulla riforma, il 44 % “abbastanza informato ma con dubbi”, mentre un 13 % dichiara di non avere mai sentito parlare del provvedimento.
Il dato è significativo: per molti la riforma resta un tema ostico, tecnico, distante dalle questioni quotidiane. La sfida della campagna referendaria non sarà solo convincere gli indecisi, ma spiegare in termini chiari le implicazioni di ciò che viene votato.
Il voto non sarà soltanto una decisione tecnica: sarà anche un’espressione del rapporto tra cittadini, Stato e giustizia. Sarà un test sul livello di fiducia verso le istituzioni e sul desiderio di cambiamento — o di stabilità.
Nel dibattito pubblico, la riforma viene dipinta a volte come necessaria modernizzazione, a volte come rischio per l’equilibrio democratico. Il sondaggio con 57 % di sì rilancia la prima ipotesi, ma la partita è tutt’altro che chiusa: conta la capacità di tradurre consensi potenziali in voti reali, e la chiarezza del messaggio politico.
Il sondaggio con un 57 % per il “Sì” alla riforma della giustizia segna un momento importante nella storia recente dell’ordinamento italiano: se confermato nei fatti, segnerebbe l’avvio di una trasformazione profonda della magistratura — non solo un cambiamento tecnico, ma una ridefinizione del rapporto tra potere giudiziario, politica e società.
Il referendum del 2026 sarà molto più di una scelta su un testo di legge: sarà un voto sull’idea di giustizia che gli italiani desiderano, sul bilanciamento tra indipendenza e responsabilità, sulla fiducia nelle istituzioni. In gioco c’è non solo il futuro dei magistrati, ma la credibilità, la trasparenza e la stabilità del sistema democratico.
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