7:29 am, 7 Dicembre 25 calendario

🌐 Vaccino contro l’Herpes Zoster & rischio di demenza: la svolta

Di: Redazione Metrotoday
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📌  Una vasta analisi condotta su oltre 280.000 anziani in Galles suggerisce che il vaccino contro l’Herpes Zoster riduce del 20% il rischio di sviluppare demenza nei sette anni successivi. Ma non è tutto: secondo gli autori, la vaccinazione potrebbe addirittura rallentare la progressione della demenza nei malati. Tali risultati rappresenterebbero un vero “punto di svolta” nella lotta alle malattie neurodegenerative.

Un’analisi su larga scala che apre nuove prospettive

Nel 2025, un team guidato da ricercatori della Stanford University ha pubblicato su Nature – e successivamente su Cell – i risultati di una ricerca che sfrutta un “esperimento naturale” legato alla campagna vaccinale contro l’Herpes Zoster in Galles. Introdotto nel 2013 un criterio di età rigido: la vaccinazione era offerta a chi compiva 79 anni, mentre chi aveva già 80 non vi aveva accesso.

Confrontando soggetti con pochi giorni di differenza d’età, i ricercatori hanno osservato che, nei sette anni successivi, gli adulti vaccinati presentavano un rischio di demenza inferiore del 20% rispetto a chi non aveva ricevuto il vaccino.

Ma non finisce qui: l’effetto protettivo si è rivelato più marcato nelle donne rispetto agli uomini, ipotizzando differenze nelle risposte immunitarie o nelle dinamiche della malattia.

🔎 La ricerca affronta anche un tema cruciale: i vaccini, finora studiati per prevenire malattie infettive, potrebbero giocare un ruolo nella prevenzione di patologie croniche quali le demenze, aprendo scenari rivoluzionari per la salute pubblica.

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Oltre la prevenzione: possibile rallentamento della demenza già in atto

In un’analisi successiva, gli scienziati hanno valutato gli effetti della vaccinazione anche su persone già affette da demenza. Il risultato è stato sorprendente: i soggetti vaccinati mostravano una minore mortalità legata alla demenza e un rallentamento della progressione della malattia rispetto ai non vaccinati.

In termini numerici: di 7.049 anziani gallesi con demenza all’inizio del programma vaccinale, circa la metà è morta nei nove anni di follow-up; ma tra quelli che avevano ricevuto il vaccino, solo circa il 30% aveva decesso per demenza.

Un dato che, se confermato, suggerisce un potenziale effetto terapeutico, non solo preventivo — una possibilità finora ritenuta remota nella ricerca sulle demenze.

Ipotesi scientifiche: virus dormiente, infiammazione, immunità cerebrale

La nuova linea di ricerca parte da una premessa spesso trascurata: l’Varicella Zoster Virus (VZV), responsabile di varicella e Herpes Zoster, resta per tutta la vita latente nei nervi dopo l’infezione originaria. In età avanzata o con sistema immunitario indebolito, può riattivarsi, causando il classico “fuoco di Sant’Antonio”.

Secondo uno scenario ipotizzato dagli autori: ogni riattivazione — anche silente — potrebbe generare processi infiammatori nel sistema nervoso o danneggiare i vasi cerebrali. Nel tempo, queste microlesioni cumulabili aumenterebbero il rischio di declino cognitivo e demenza. Vaccinare significherebbe bloccare la riattivazione del virus, riducendo infiammazione, danni tissutali e, di conseguenza, proteggere il cervello. 

Un’altra ipotesi complementare riguarda gli “effetti collaterali” della vaccinazione: il vaccino non solo previene l’infezione, ma stimola il sistema immunitario in modo da offrire una protezione duratura (o modulata) contro l’infiammazione cronica, fattore sempre più considerato nell’insorgenza delle demenze. 

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L’evoluzione rispetto agli studi precedenti

🔎 L’interesse non è nuovo. Fin dal primo vaccino “live‑attenuated” contro l’Herpes Zoster (Zostavax), introdotto nel 2006, alcuni studi avevano segnalato una possibile riduzione del rischio di demenza nei vaccinati. Tuttavia, gli effetti erano modesti e i disegni epidemiologici spesso esitanti, tanto che non si potevano trarre conclusioni certe.

Con l’avvento del vaccino ricombinante (Shingrix), più efficace e con risposta immunitaria più robusta, i dati sono diventati più coerenti. Uno studio del 2024 ha rilevato una riduzione di almeno il 17% nei casi di demenza nei sei anni successivi alla vaccinazione con Shingrix.

Il nuovo studio gallese del 2025, grazie al “natural experiment”, supera molti dei limiti di quelli precedenti, offrendo una delle evidenze più solide finora raccolte: non una semplice associazione, ma un effetto plausibilmente causale. 

Un’arma per la prevenzione della demenza

Ad oggi, le demenze — e in particolare la forma più comune, l’Alzheimer — colpiscono decine di milioni di persone nel mondo, senza cura definitiva e con trattamenti molto limitati. Secondo le stime, i casi globali superano i 55 milioni, con circa 10 milioni di nuove diagnosi ogni anno.

Se la protezione offerta dal vaccino contro l’Herpes Zoster fosse confermata in studi clinici randomizzati, si tratterebbe di un vero “game changer”: un intervento preventivo relativamente semplice, sicuro e già disponibile che potrebbe ridurre in modo significativo l’onere sociale, sanitario ed economico delle demenze. 

Inoltre, la possibilità di rallentare la progressione della demenza nelle persone già colpite apre scenari terapeutici finora impensabili: anche con danni cerebrali ormai in corso, un vaccino potrebbe offrire un “stop” al declino — o quantomeno rallentarlo — migliorando qualità e durata della vita.

Nonostante l’entusiasmo, gli stessi autori mettono in guardia: lo studio gallese resta osservazionale, nonostante il “natural experiment”. Non si tratta di un trial clinico randomizzato, e non è ancora chiaro come e quanto duri la protezione.

Non sappiamo, ad esempio, se la protezione riguardi solo la versione “live” (Zostavax) utilizzata nei soggetti analizzati, oppure se sia valida anche per la versione ricombinante Shingrix, oggi più diffusa. Gli effetti su popolazioni diverse — per età, salute, condizioni socio‑economiche — restano da studiare. 

Un’altra domanda aperta riguarda i meccanismi biologici: è la prevenzione delle riattivazioni del virus a proteggere il cervello? Oppure il vaccino induce modifiche immunitarie generali, riducendo l’infiammazione sistemica e cerebrale? Ancora non lo sappiamo.

Infine, resta da chiarire quanto sia efficace l’intervento se somministrato in età più giovane — magari già a 50–60 anni — prima che comincino i danni al sistema nervoso. 

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Verso un nuovo paradigma

La scoperta che un vaccino nato per prevenire una malattia cutanea dolorosa — l’Herpes Zoster — possa avere ripercussioni sulla salute cerebrale cambia radicalmente la prospettiva: la prevenzione delle demenze non passa solo per la terapia, la diagnosi precoce o la ricerca di farmaci complessi, ma anche attraverso la immunizzazione.

Le implicazioni per la sanità pubblica sono enormi: campagne vaccinali su larga scala, rivisti piani di vaccinazione per anziani, investimenti in ricerca, informazione. Il vaccino anti‑zoster potrebbe diventare parte integrante delle strategie di salute globale per l’invecchiamento attivo.

Il prossimo passo — come sottolineano gli autori — dovrà essere un trial clinico randomizzato, che verifichi in modo definitivo l’effetto protettivo e ne chiarisca meccanismi, durata e soglie di efficacia.

Le nuove evidenze — solide, numerose e coerenti — indicano che il vaccino contro l’Herpes Zoster potrebbe offrire una sorprendente protezione contro la demenza, sia in forma preventiva sia, potenzialmente, terapeutica. Questa scoperta potrebbe rivoluzionare non solo la cura e la prevenzione delle malattie neurodegenerative, ma l’intero approccio alla salute nella terza età.

7 Dicembre 2025 ( modificato il 5 Dicembre 2025 | 21:48 )
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