🌐 Allarme droni sulla base nucleare in Francia: le reazioni
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ToggleUna “incursione” di cinque droni sulla base sottomarina Île Longue, nel porto di Brest — cuore della deterrenza nucleare francese — ha fatto scattare la reazione dei marine francesi, con tiro antidroni per difendere i sottomarini balistici. L’episodio rilancia l’ansia per la vulnerabilità delle infrastrutture strategiche, sullo sfondo della guerra ibrida che attraversa l’Europa.
Una notte di sorprese a Brest
📌 Giovedì scorso, poco prima delle 19:30, la quiete nella rada di Brest è stata squarciata da un evento inatteso: cinque droni, non identificati, hanno sorvolato la zona aerea sorvegliata della base militare Île Longue, un sito critico della dissuasione nucleare francese, dove si trovano quattro sottomarini nucleari lanciamissili.
La risposta delle forze militari — un battaglione di artiglieria marittima in coordinamento con 120 gendarmi della Marina — è stata immediata: è stato aperto fuoco anti‑drone, con tiri diretti verso gli apparecchi.
Secondo le autorità francesi, i droni coinvolti erano “piccoli modelli, non armati, fuori dal contesto militare”. Al momento, non è stata confermata con certezza la neutralizzazione di tutti i mezzi, né l’identità dei responsabili. Le indagini sono in corso.
Perché la base di Île Longue è così delicata
La base di Île Longue, situata sulla punta occidentale della Bretagna, è uno dei pilastri del sistema di deterrenza nucleare francese. I sottomarini che ospita — detti SSBN (sottomarini nucleari lanciamissili balistici) — rappresentano la componente “second‑strike”: almeno uno di essi è sempre in mare, pronto a garantire la risposta nucleare se la Francia fosse minacciata.
Il sorvolo di un drone — per quanto piccolo o non armato — su un sito del genere costituisce una violazione gravissima della sicurezza. Per questo è scattato un dispositivo antidrone, con procedure straordinarie.
Da anni la vulnerabilità di infrastrutture critiche (militari, energetiche, portuali) al “rischio drone” è un tema che preoccupa gli analisti: i droni – rispetto a jet o missili — possono essere relativamente economici, difficili da tracciare, e capaci di penetrare difese convenzionali.
Un episodio in mezzo a una scia di allarme
🔎 Il sorvolo a Île Longue non è isolato. Poche settimane fa, nella notte tra 17 e 18 novembre, un drone era stato segnalato sopra la penisola di Crozon, la stessa area geografica, anche se in quel caso non sopra le installazioni militari.
In Europa — e non solo — gli episodi di avvistamenti di droni in prossimità di obiettivi militari, aeroporti, centrali o aree sensibili si stanno moltiplicando. Il contesto geopolitico, con la guerra in Ucraina e le tensioni tra Russia e Occidente, alimenta paura e sospetti di “guerra ibrida”: attacchi, disturbi, incursioni con mezzi asimmetrici e relativamente poco costosi.
La Francia stessa, nelle ultime settimane, ha segnalato un aumento di allerta: le autorità militari riconoscono che la protezione delle infrastrutture strategiche deve essere aggiornata per far fronte a minacce nuove, che non derivano da tradizionali aerei o missili, ma da droni, UAV, loitering munitions, ricognizioni.
Fragilità strategica e vulnerabilità
Più che un semplice incidente, l’episodio di Île Longue rischia di diventare simbolico: dimostra che anche le installazioni più protette — quelle della deterrenza nucleare — possono essere messe in discussione da sistemi “leggeri”, asimmetrici, a basso costo.
In un contesto militare e geopolitico segnato dall’uso massiccio di droni, dalla guerra ibrida, dalla proliferazione degli UAV, la protezione deve adattarsi.
Il fatto che l’intervento sia scattato, e che le autorità abbiano reagito con fermezza, indica che il pericolo è stato preso sul serio. Ma anche che la soglia di tolleranza è bassa — perché la posta in gioco è altissima.
Negli anni recenti, sorvoli di droni su aree sensibili non erano infrequenti: aeroporti, centrali, impianti industriali. Ma un attacco — o un tentativo — su una base nucleare cambia la scala.
Con la guerra in Ucraina e l’impiego massiccio di droni tattici e kamikaze, il rischio percepito si è ampliato: ciò che un tempo era considerato improbabile ora è reale. Sistemi come i droni “loitering”, facilmente acquistabili o costruibili, rappresentano una minaccia concreta.

In questo senso, l’episodio in Bretagna potrebbe segnare un prima e un dopo. Un campanello d’allarme che richiama l’attenzione sull’urgenza di rafforzare la difesa antiaerea, i controlli dello spazio aereo, la cooperazione internazionale su tempo reale.
Le prime reazioni ufficiali del governo francese si sono distinte per prudenza. La ministra delle Forze Armate ha sottolineato che la priorità è proteggere la base e capire cosa sia successo, senza però trarre conclusioni affrettate. A livello internazionale, l’episodio rilancia il dibattito sulla sicurezza delle infrastrutture strategiche europee. Alle porte del vertice NATO previsto nel 2026, la questione della “minaccia droni” — sia militari sia asimmetrici — è già sul tavolo di molti governi.
Alcuni analisti suggeriscono che l’episodio di Île Longue potrebbe rafforzare la spinta per nuove normative europee in materia di difesa anti‑UAV, controllo dello spazio aereo, collaborazioni nei sistemi di sorveglianza e risposta rapida.
Le conseguenze vanno oltre Brest. Per l’Europa, per la NATO, per ogni Paese che ospita infrastrutture critiche: bisogna ripensare il concetto di deterrenza, difesa, sorveglianza. I droni non sono più solo strumenti di guerra tradizionale, ma leve di pressione asimmetrica, strumenti di destabilizzazione, strumenti di minaccia silente.
Il piccolo apparecchio cambia la strategia
Cinque droni — piccoli, silenziosi, facilmente accessibili — hanno messo in allarme una delle armi più potenti e delicate dello Stato francese: la deterrenza nucleare. Questo evento serve come ammonimento per l’intera Europa: la guerra moderna non è fatta solo di missili, carri armati o jet da combattimento. Può essere fatta da strumenti discretissimi, economici, difficili da prevedere.
La protezione delle infrastrutture strategiche non può più basarsi solo su dotazioni tradizionali, ma deve includere nuovi livelli di sorveglianza, prevenzione, interoperabilità internazionale. I droni non sono più solo un problema tecnologico: sono un problema di sicurezza, politica, difesa, democrazia.
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