10:13 am, 6 Dicembre 25 calendario

🌐  Big Tech senza regole, “Basta con i saccheggi dei giganti del web”

Di: Redazione Metrotoday
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📌  In Italia l’industria dell’informazione lancia l’allarme: le grandi piattaforme digitali (Google, Meta, Amazon & co.) accumulano profitti, dominano il mercato pubblicitario e fanno “scempio” dei contenuti giornalistici senza riconoscere diritti o sostenere il sistema editoriale. Per contrastare questa disparità, gli editori chiedono regole chiare, responsabilità, una legge di sistema che garantisca un’informazione pluralista — e soprattutto una reale equità fiscale.

L’editoria italiana in cerca di protezione

A Palazzo Madama si è tenuto un convegno che potrebbe segnare una svolta nel rapporto tra editoria tradizionale e piattaforme digitali. Sotto il titolo «Lo strapotere delle Big Tech. Editori responsabili e giganti sregolati», esponenti del mondo dell’editoria, delle istituzioni e della politica hanno denunciato quello che viene definito “saccheggio digitale”: contenuti creati da giornalisti, riviste, quotidiani — pagati, verificati, regolati — riutilizzati, indicizzati e monetizzati da tech company globali che versano tasse irrisorie, con effetti disastrosi sul mercato dell’informazione.

Secondo i rappresentanti della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali), della AIE (Associazione Italiana Editori) e di Confindustria Radio Tv, il sistema italiano dell’informazione rischia un “black‑out”: venti anni fa i quotidiani italiani contavano circa 20,9 milioni di lettori al giorno, oggi — nonostante l’incremento dell’informazione online — il fatturato delle imprese editoriali si è praticamente dimezzato, la pubblicità si è quasi azzerata, la capacità di investire su giornalismo di qualità e radicato sul territorio è in forte crisi.

Gli interventi dei protagonisti sono stati forti e chiari: servono una “legge‑di‑sistema”, interventi strutturali, contributi, ma anche — e soprattutto — una regolamentazione che obblighi le piattaforme globali a riconoscere il valore dei contenuti creati dagli editori, a rispettare diritti d’autore, trasparenza e responsabilità.

Dal giornale al web, da lettori a utenti

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Il declino economico dell’editoria tradizionale

🔎 L’editoria italiana — quotidiani, periodici, radio e tv — ha vissuto nei decenni una trasformazione profonda: dalla carta stampata al digitale, con la promessa di nuovi modelli di business. Ma la realtà si è dimostrata implacabile: la pubblicità, tradizionale ancora fonte principale di reddito, ha subito un crollo netto; la competizione con le piattaforme digitali, gratis o quasi, ha eroso lettori e ricavi; i costi fissi (redazioni, stampa, distribuzione) sono rimasti alti. Il risultato è un settore in difficoltà cronica, incapace di garantire la pluralità, l’occupazione stabile, il giornalismo di qualità.

Negli ultimi anni, editori e broadcaster hanno più volte chiesto regole che impediscano lo sfruttamento dei contenuti giornalistici: trasparenza nei contratti, riconoscimento del diritto d’autore, remunerazione per la distribuzione dei contenuti sulle piattaforme digitali, responsabilità verso la qualità dell’informazione.

Le Big Tech: potere, profitti e “mercato senza regole”

Le grandi aziende del web — spesso chiamate “Big Tech” — operano con logiche di scala globale e strutture societarie volte a minimizzare l’imposizione fiscale nei paesi in cui operano. In Italia come nel resto del mondo. Secondo gli editori, queste aziende controllano oggi un’enorme fetta del mercato pubblicitario, generano profitti rilevanti, dominano l’advertising e la distribuzione dei contenuti informativi senza riconoscere adeguatamente il lavoro di chi quei contenuti li ha creati. Una competizione profondamente sbilanciata, in cui chi rispetta norme, paga tasse, investe in redazioni e professionalità — gli editori tradizionali — si trova ad affrontare un “macigno competitivo” opposto all’agilità, al potere economico e all’assenza di obblighi delle big tech.

 

Non solo solidarietĂ , ma equitĂ  strutturale

Gli editori — uniti nella richiesta — chiedono un pacchetto di misure concrete:

  • Una legge di sistema che definisca un quadro chiaro per la tutela del diritto d’autore, la remunerazione dei contenuti editoriali redistribuiti dalle piattaforme digitali, e il riconoscimento della responsabilitĂ  editoriale (giornalisti, veridicitĂ , trasparenza).

  • Regole fiscali che rendano le big tech soggette a impartire una quota equa di tasse, annunciata come passo fondamentale per ristabilire una concorrenza leale.

  • Investimenti pubblici e incentivi per sostenere il giornalismo locale, il pluralismo informativo e la qualitĂ  dell’informazione.

  • Trasparenza nel rapporto tra piattaforme e creatori di contenuti: chi utilizza articoli, video, notizie, deve pagare per quel valore, non sfruttarlo gratuitamente.

Secondo la presidente del gruppo editoriale (e del consiglio di sorveglianza di una media company italiana), questo non è un attacco alla tecnologia o all’innovazione: «C’è uno spartiacque» tra chi “diffonde informazioni con responsabilità e trasparenza” e chi — “i giganti del web” — ha fatto “una cavalcata economica e di potere saccheggiando per dieci anni contenuti non pagati”.

Il dato globale e la battaglia internazionale

Il tema non riguarda solo l’Italia. In tutta Europa e oltre, il fenomeno si ripete: editori, giornalisti, media tradizionali cercano di far valere un modello di informazione fondato sulla qualità, sul diritto d’autore e sulla responsabilità, contro piattaforme che aggregano, indicizzano, monetizzano contenuti senza investire in giornalismo.

Dal 2020 l’Italia ha introdotto una Digital Services Tax (DST), una tassa sui servizi digitali — parte di un tentativo globale di tassazione equa delle piattaforme. Nel 2025 la soglia per l’applicazione della tassa è stata abbassata, rendendo molte più aziende soggette all’imposizione.

Secondo economisti e studiosi, le misure come la DST rappresentano una risposta importante — ma vanno accompagnate da regolamentazioni più strutturali: diritto d’autore, trasparenza contrattuale, redistribuzione del valore generato dalle piattaforme alle imprese e ai creatori che producono i contenuti.

Implicazioni per la democrazia, la cultura e l’informazione

Pluralismo vs. monopolio dell’attenzione

Un pluralismo informativo sano — pilastro di ogni democrazia — si basa su una convivenza equa di voci, fonti, prospettive. Quando le piattaforme digitali diventano “acchiappautenti” globali, accumulano potere non solo economico, ma anche culturale e sociale: decidono cosa emerge, cosa scompare, cosa diventa visibile. Se a queste piattaforme non viene riconosciuta responsabilitĂ  editoriale o obblighi, il rischio è una standardizzazione dell’informazione, una uniformitĂ  di contenuti, una riduzione delle differenze e delle diversitĂ  locali, nazionali, territoriali.

Economia del lavoro e sostenibilitĂ  dei media

L’editoria tradizionale non è una “cosa del passato”: è fatto di professionisti, giornalisti sul territorio, inchieste, verifiche, redazioni, lavoro stabile. Se questo tessuto collassa, non solo si perde informazione di qualità, ma anche occupazione, presenza locale, memoria sociale, identità culturale. Una struttura che le big tech — spesso con pochi dipendenti nel paese in cui operano — difficilmente possono sostituire.

Giustizia fiscale e concorrenza leale

Non si tratta di punire l’innovazione: ma di equiparare le condizioni. Se ci sono imprese che producono contenuti, rispettano leggi, pagano tasse, garantiscono posti di lavoro — e altre che aggregano, importano, monetizzano globalmente con carichi fiscali minimi — lo squilibrio va sanato. Una concorrenza leale non può basarsi su disparità strutturali: occorre regole condivise, trasparenza, giustizia economica.

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Cosa chiedono gli editori

Se il Parlamento — nazionale o europeo — accoglierà la richiesta, potremmo vedere nei prossimi mesi:

  • Una riforma organica della normativa sul diritto d’autore e sulla remunerazione dei contenuti editoriali usati dalle piattaforme digitali.

  • Un inasprimento della tassazione delle big tech, con aliquote e imposte che riflettano il reale valore che queste aziende generano sul mercato pubblicitario e mediatico.

  • Meccanismi di contribuzione al sostegno del sistema informativo: da fondi dedicati, a obblighi di investimento in giornalismo locale, a trasparenza nei compensi per l’uso dei contenuti.

  • Nuove regole sull’intermediazione dei contenuti: chi aggrega informazioni deve avere responsabilitĂ , trasparenza, contratti chiari con editori e creatori, garantendo diritti e tutela del lavoro redazionale.

Un bivio per la democrazia digitale

La battaglia che si gioca oggi non è solo economica — è culturale, sociale, politica. Si tratta di decidere che tipo di informazione vogliamo garantire: un mercato dominato da algoritmi che aggregano contenuti a costo quasi zero, orientati solo al profitto; oppure un ecosistema pluralista, sostenibile, etico, in cui l’informazione è lavoro, impegno, responsabilità.

Gli editori italiani — uniti grazie a FIEG, AIE, Confindustria Radio Tv — lanciano un avvertimento: senza una legge di sistema, senza regole chiare, un’intera parte di democrazia rischia di essere sacrificata sull’altare del profitto tecnologico.

6 Dicembre 2025 ( modificato il 5 Dicembre 2025 | 21:12 )
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