Tatuaggi indeboliscono il sistema immunitario, lo studio che conferma
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Toggle📌 Una nuova ricerca pubblicata sul Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) sostiene che i tatuaggi — e in particolare i pigmenti più comuni come nero, rosso e verde — potrebbero indebolire il sistema immunitario per anni, accumulandosi nei linfonodi e generando un’infiammazione cronica.
I risultati, ottenuti su modelli animali, riaprono il dibattito sui rischi dei tatuaggi per la salute, ponendo interrogativi sull’efficacia dei vaccini, sulla tossicità degli inchiostri e sulla necessità di regolamentazioni più severe.
Un allarme in bianco e nero
Uno studio internazionale, coordinato dall’italiana Arianna Capucetti dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina Bellinzona (Svizzera) con il coinvolgimento di altri 12 gruppi, ha scoperto che i pigmenti più usati nei tatuaggi — nero, rosso e verde — non restano confinati nella pelle. Immediatamente dopo l’esecuzione del tatuaggio, l’inchiostro si sposta attraverso il sistema linfatico e, in poche ore, in grandi quantità raggiunge i linfonodi, organi centrali del sistema immunitario.
🔎 Nei topi utilizzati nello studio, l’impatto è stato misurabile e, dicono i ricercatori, preoccupante: una risposta infiammatoria acuta durata un paio di giorni, seguita da una fase cronica prolungata, che persiste per anni. I pigmenti, intrappolati nei linfonodi, vengono inglobati dai macrofagi — cellule deputate alla “pulizia” dell’organismo — che però non sono in grado di smaltirli, diversamente da quanto avviene con agenti patogeni. In molti casi tali cellule muoiono, e il ricambio cellulare, pur attivo, continua a far entrare nuove cellule immunitarie a contatto con i pigmenti: un ciclo potenzialmente infinito.
Secondo gli autori, questo meccanismo — ancora da confermare definitivamente sull’uomo — potrebbe nel tempo compromettere la capacità difensiva dell’organismo, rendendolo meno efficiente contro infezioni e – suggeriscono — talvolta anche contro la risposta a vaccini.
Perché è diverso da come pensassimo
La popolarità dei tatuaggi è cresciuta enormemente negli ultimi decenni: diventati simbolo di espressione personale, memoria, estetica. Ma fino a oggi, per molti, il tatuaggio era un intervento quasi esclusivamente “cutaneo”: la pelle reagisce, guarisce, il colore resta. Si sapeva di possibili infezioni, reazioni allergiche, problemi di pelle. I risultati dello studio ribaltano almeno in parte questa convinzione. Se i pigmenti migrano nei linfonodi — e ciò che sembrava una “decorazione della pelle” diventa un corpo estraneo per il sistema immunitario — allora il tatuaggio non è più solo un gesto estetico o artistico: è un atto che coinvolge la salute interna, potenzialmente per molti anni.
Non è la prima volta che la scienza punta i riflettori sulle possibili insidie degli inchiostri da tattoo. Già ricerche precedenti avevano individuato la presenza di particelle colorate — anche nanoparticelle — non solo nella pelle, ma in vasi sanguigni e linfonodi. Studi che evidenziavano un rigonfiamento cronico dei linfonodi, e più in generale una risposta immunitaria — ma fino a oggi mancava un lavoro sistematico come quello pubblicato su PNAS, che segnalasse una possibile compromissione del sistema di difesa.
Le conseguenze possibili, infiammazioni croniche, tumori
Una delle implicazioni più immediate, secondo gli autori, riguarda la risposta immunitaria ai vaccini. Nello studio, i topi tatuati e poi vaccinati con un vaccino mRNA hanno mostrato una risposta anticorpale significativamente più debole rispetto a gruppi non tatuati. D’altra parte, con un vaccino a virus inattivato (es. per l’influenza) la reazione era comparativamente migliore, segno che il tipo di vaccino — e la via di somministrazione — potrebbero influire.
Se confermato nell’uomo, questo dato solleverebbe enormi interrogativi sulla pianificazione sanitaria, la campagna vaccinale e la protezione immunitaria individuale.
Ma non è tutto: lo stesso meccanismo — pigmenti che restano a lungo nei linfonodi, immunità vulnerabile, infiammazione persistente — è oggetto di preoccupazione per possibili effetti a lungo termine, come un aumentato rischio di malattie croniche, disfunzioni immunitarie, e perfino tumori. Uno studio condotto su gemelli in Danimarca e Finlandia ha infatti segnalato una maggiore incidenza di linfomi e tumori della pelle tra persone tatuate rispetto ai gemelli non tatuati.
Uno scenario che – pur ricco di incognite – invita a una riflessione: il tatuaggio, così diffuso e vissuto come innocuo, potrebbe nascondere conseguenze non immediatamente evidenti, ma potenzialmente gravi.
Cosa lo studio non dice (ancora)
Prima di scattare allarme rosso, è importante considerare con cautela le limitazioni della ricerca.
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Studio su topi: i risultati, sebbene scientificamente significativi, derivano da modelli animali. Non è automatico che gli stessi effetti si manifestino nell’uomo. I sistemi immunitari e la fisiologia differiscono.
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Inchiostri variabili: gli studi evidenziano che pigmenti e composizione degli inchiostri possono variare molto. Alcune ricerche precedenti avevano già segnalato la presenza di metalli pesanti o sostanze proibite in certi inchiostri — un promemoria sulle grandi differenze qualitative tra prodotti.
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Scarsa regolamentazione: rispetto a farmaci o cosmetici, gli inchiostri per tatuaggi sono meno regolamentati. Questo rende difficile standardizzare la qualità e la sicurezza dei pigmenti, e capire quale ruolo giochi il tipo di colore, la dimensione del tatuaggio o la sua età.
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Mancanza di dati a lungo termine sull’uomo: tumori, indebolimento immunitario, risposta ai vaccini: tutti rischi che si manifestano nel tempo. Servono studi su popolazioni tatuate seguite per anni, con monitoraggi clinici e immunologici.
Il valore dello studio guidato da Capucetti e colleghi non sta solo nei dati prodotti su topi, ma nella portata potenziale delle sue implicazioni.
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Rimette in discussione l’idea — diffusa — del tatuaggio come gesto puramente estetico o personale, riconoscendo invece una dimensione sistemica, che coinvolge il corpo intero, non solo la pelle.
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Apre a un ripensamento della regolamentazione degli inchiostri: oggi l’offerta è ampia, ma i controlli spesso insufficienti. Occorrono standard più rigidi, test tossicologici approfonditi, limiti sui pigmenti.
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Solleva interrogativi di sanità pubblica: se i tatuaggi possono influenzare la risposta immunitaria, la salute della popolazione — soprattutto in epoca di campagne vaccinali — potrebbe essere coinvolta.
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Richiama all’attenzione medici, istituzioni, consumatori: informazione, consapevolezza, precauzione.
Da moda a scienza
Il dibattito sui tatuaggi e la salute non è nuovo. Già decenni fa si segnalavano infezioni, reazioni allergiche, problemi dermatologici. Poi si sono aggiunti rischi legati a inchiostri contaminati, metalli pesanti, pigmenti non certificati. Ma la maggior parte delle discussioni restava circoscritta alla pelle, a effetti locali, a complicanze collaterali.
Con le evidenze recenti, tuttavia, emerge un quadro più ampio e potenzialmente più grave: la pelle come porta d’ingresso di sostanze che possono arrivare ai sistemi interni e incidere sulla salute generale.
Per decine di milioni di persone tatuate — e centinaia di migliaia che ogni anno scelgono di farsi un tatuaggio — questo potrebbe significare ripensare la decisione: informarsi meglio, scegliere inchiostri certificati, discuterne con un professionista sanitario.
Al contempo, per la comunità scientifica e regolatoria, significa promuovere ricerche su larga scala, standard di sicurezza e controlli rigorosi sui pigmenti.
Un segnale d’allarme da non ignorare
Lo studio pubblicato sul PNAS rappresenta un campanello d’allarme. I suoi risultati — pigmenti che migrano, linfonodi che li accumulano, sistema immunitario sottoposto a stress costante — sono un invito a non sottovalutare i potenziali rischi di un gesto apparentemente innocuo come farsi un tatuaggio.
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