1:09 pm, 5 Dicembre 25 calendario

Tatuaggi indeboliscono il sistema immunitario, lo studio che conferma

Di: Redazione Metrotoday
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📌  Una nuova ricerca pubblicata sul Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) sostiene che i tatuaggi — e in particolare i pigmenti più comuni come nero, rosso e verde — potrebbero indebolire il sistema immunitario per anni, accumulandosi nei linfonodi e generando un’infiammazione cronica.

I risultati, ottenuti su modelli animali, riaprono il dibattito sui rischi dei tatuaggi per la salute, ponendo interrogativi sull’efficacia dei vaccini, sulla tossicità degli inchiostri e sulla necessità di regolamentazioni più severe.

Un allarme in bianco e nero

Uno studio internazionale, coordinato dall’italiana Arianna Capucetti dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina Bellinzona (Svizzera) con il coinvolgimento di altri 12 gruppi, ha scoperto che i pigmenti più usati nei tatuaggi — nero, rosso e verde — non restano confinati nella pelle. Immediatamente dopo l’esecuzione del tatuaggio, l’inchiostro si sposta attraverso il sistema linfatico e, in poche ore, in grandi quantità raggiunge i linfonodi, organi centrali del sistema immunitario.

🔎 Nei topi utilizzati nello studio, l’impatto è stato misurabile e, dicono i ricercatori, preoccupante: una risposta infiammatoria acuta durata un paio di giorni, seguita da una fase cronica prolungata, che persiste per anni. I pigmenti, intrappolati nei linfonodi, vengono inglobati dai macrofagi — cellule deputate alla “pulizia” dell’organismo — che però non sono in grado di smaltirli, diversamente da quanto avviene con agenti patogeni. In molti casi tali cellule muoiono, e il ricambio cellulare, pur attivo, continua a far entrare nuove cellule immunitarie a contatto con i pigmenti: un ciclo potenzialmente infinito.

Secondo gli autori, questo meccanismo — ancora da confermare definitivamente sull’uomo — potrebbe nel tempo compromettere la capacità difensiva dell’organismo, rendendolo meno efficiente contro infezioni e – suggeriscono — talvolta anche contro la risposta a vaccini.

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Perché è diverso da come pensassimo

La popolarità dei tatuaggi è cresciuta enormemente negli ultimi decenni: diventati simbolo di espressione personale, memoria, estetica. Ma fino a oggi, per molti, il tatuaggio era un intervento quasi esclusivamente “cutaneo”: la pelle reagisce, guarisce, il colore resta. Si sapeva di possibili infezioni, reazioni allergiche, problemi di pelle. I risultati dello studio ribaltano almeno in parte questa convinzione. Se i pigmenti migrano nei linfonodi — e ciò che sembrava una “decorazione della pelle” diventa un corpo estraneo per il sistema immunitario — allora il tatuaggio non è più solo un gesto estetico o artistico: è un atto che coinvolge la salute interna, potenzialmente per molti anni.

Non è la prima volta che la scienza punta i riflettori sulle possibili insidie degli inchiostri da tattoo. Già ricerche precedenti avevano individuato la presenza di particelle colorate — anche nanoparticelle — non solo nella pelle, ma in vasi sanguigni e linfonodi. Studi che evidenziavano un rigonfiamento cronico dei linfonodi, e più in generale una risposta immunitaria — ma fino a oggi mancava un lavoro sistematico come quello pubblicato su PNAS, che segnalasse una possibile compromissione del sistema di difesa. 

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Le conseguenze possibili, infiammazioni croniche, tumori

Una delle implicazioni più immediate, secondo gli autori, riguarda la risposta immunitaria ai vaccini. Nello studio, i topi tatuati e poi vaccinati con un vaccino mRNA hanno mostrato una risposta anticorpale significativamente più debole rispetto a gruppi non tatuati. D’altra parte, con un vaccino a virus inattivato (es. per l’influenza) la reazione era comparativamente migliore, segno che il tipo di vaccino — e la via di somministrazione — potrebbero influire.

Se confermato nell’uomo, questo dato solleverebbe enormi interrogativi sulla pianificazione sanitaria, la campagna vaccinale e la protezione immunitaria individuale.

Ma non è tutto: lo stesso meccanismo — pigmenti che restano a lungo nei linfonodi, immunità vulnerabile, infiammazione persistente — è oggetto di preoccupazione per possibili effetti a lungo termine, come un aumentato rischio di malattie croniche, disfunzioni immunitarie, e perfino tumori. Uno studio condotto su gemelli in Danimarca e Finlandia ha infatti segnalato una maggiore incidenza di linfomi e tumori della pelle tra persone tatuate rispetto ai gemelli non tatuati. 

Uno scenario che – pur ricco di incognite – invita a una riflessione: il tatuaggio, così diffuso e vissuto come innocuo, potrebbe nascondere conseguenze non immediatamente evidenti, ma potenzialmente gravi.

Cosa lo studio non dice (ancora)

Prima di scattare allarme rosso, è importante considerare con cautela le limitazioni della ricerca.

  • Studio su topi: i risultati, sebbene scientificamente significativi, derivano da modelli animali. Non è automatico che gli stessi effetti si manifestino nell’uomo. I sistemi immunitari e la fisiologia differiscono. 

  • Inchiostri variabili: gli studi evidenziano che pigmenti e composizione degli inchiostri possono variare molto. Alcune ricerche precedenti avevano già segnalato la presenza di metalli pesanti o sostanze proibite in certi inchiostri — un promemoria sulle grandi differenze qualitative tra prodotti. 

  • Scarsa regolamentazione: rispetto a farmaci o cosmetici, gli inchiostri per tatuaggi sono meno regolamentati. Questo rende difficile standardizzare la qualità e la sicurezza dei pigmenti, e capire quale ruolo giochi il tipo di colore, la dimensione del tatuaggio o la sua età. 

  • Mancanza di dati a lungo termine sull’uomo: tumori, indebolimento immunitario, risposta ai vaccini: tutti rischi che si manifestano nel tempo. Servono studi su popolazioni tatuate seguite per anni, con monitoraggi clinici e immunologici.

Il valore dello studio guidato da Capucetti e colleghi non sta solo nei dati prodotti su topi, ma nella portata potenziale delle sue implicazioni.

  • Rimette in discussione l’idea — diffusa — del tatuaggio come gesto puramente estetico o personale, riconoscendo invece una dimensione sistemica, che coinvolge il corpo intero, non solo la pelle.

  • Apre a un ripensamento della regolamentazione degli inchiostri: oggi l’offerta è ampia, ma i controlli spesso insufficienti. Occorrono standard più rigidi, test tossicologici approfonditi, limiti sui pigmenti.

  • Solleva interrogativi di sanità pubblica: se i tatuaggi possono influenzare la risposta immunitaria, la salute della popolazione — soprattutto in epoca di campagne vaccinali — potrebbe essere coinvolta.

  • Richiama all’attenzione medici, istituzioni, consumatori: informazione, consapevolezza, precauzione.

Da moda a scienza

Il dibattito sui tatuaggi e la salute non è nuovo. Già decenni fa si segnalavano infezioni, reazioni allergiche, problemi dermatologici. Poi si sono aggiunti rischi legati a inchiostri contaminati, metalli pesanti, pigmenti non certificati. Ma la maggior parte delle discussioni restava circoscritta alla pelle, a effetti locali, a complicanze collaterali.

Con le evidenze recenti, tuttavia, emerge un quadro più ampio e potenzialmente più grave: la pelle come porta d’ingresso di sostanze che possono arrivare ai sistemi interni e incidere sulla salute generale.

Per decine di milioni di persone tatuate — e centinaia di migliaia che ogni anno scelgono di farsi un tatuaggio — questo potrebbe significare ripensare la decisione: informarsi meglio, scegliere inchiostri certificati, discuterne con un professionista sanitario.

Al contempo, per la comunità scientifica e regolatoria, significa promuovere ricerche su larga scala, standard di sicurezza e controlli rigorosi sui pigmenti.

Un segnale d’allarme da non ignorare

Lo studio pubblicato sul PNAS rappresenta un campanello d’allarme. I suoi risultati — pigmenti che migrano, linfonodi che li accumulano, sistema immunitario sottoposto a stress costante — sono un invito a non sottovalutare i potenziali rischi di un gesto apparentemente innocuo come farsi un tatuaggio.

5 Dicembre 2025
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