🌐 «Prendere o lasciare»: l’ultimo rilancio di Theodore Kyriakou su Repubblica
L’ultimatum che scuote l’editoria italiana
📌 Il destino di alcune delle testate e delle radio più influenti del panorama mediatico italiano potrebbe cambiare nuovamente prima di fine anno. L’imprenditore greco Theodore Kyriakou, tramite il suo gruppo di media e armatori, ha lanciato un’ultima offerta per acquisire GEDI — l’editore di La Repubblica, La Stampa, Radio Deejay, Radio Capital, m2o e altre attività — con una proposta economica che appare come un “take it or leave it”: 140 milioni di euro, cifra che include, oltre alle radio e alla concessionaria pubblicitaria, anche entrambe le principali testate.
Ma sul piatto resta una tensione di fondo: quale sarà la risposta di John Elkann e del gruppo proprietario, e che futuro attende giornali e lavoratori mediatici italiani.
L’offerta di Kyriakou
Dopo settimane di trattative e indiscrezioni, Kyriakou ha formalizzato un’offerta sostanzialmente “finale” per l’acquisizione di GEDI. L’importo di 140 milioni di euro rappresenta un significativo aumento rispetto alle cifre inizialmente ipotizzate — che oscillavano tra 100 e 110 milioni per un pacchetto più limitato, esclusivo per radio e concessionaria pubblicitaria.
Questa volta, tuttavia, l’offerta include anche le due grandi testate: La Repubblica e La Stampa. Sebbene si tratti di un pacchetto completo, c’è chi valuta l’idea di rivendere in un secondo momento La Stampa — ma per ora la proposta è chiara: si chiede un sì o un no, senza rilanci ulteriori. La “scadenza negoziale” inizialmente fissata per la fine di novembre 2025 è stata superata, ma le parti sembrano vicine a chiudere: l’ipotesi è che l’accordo definitivo possa essere formalizzato entro dicembre.
Per Kyriakou, che controlla il gruppo editoriale greco-mediale Antenna Group (o Ant1), con investimenti che coinvolgono anche capitali dal Medio Oriente (secondo alcune ricostruzioni finanziarie), l’operazione rappresenterebbe un ingresso storico e strategico nel mercato mediatico italiano.
Perché GEDI è sul mercato — e cosa cambia
Da un progetto ambizioso a un bilancio in rosso
GEDI è diventata proprietà esclusiva di Exor nel 2024, dopo la rinuncia degli azionisti storici. L’obiettivo originario era concorrere nel segmento digitale e multimediale, integrando giornali, radio, concessionarie pubblicitarie e media digitali.
Ma i numeri recenti raccontano un’altra storia: nel 2024, GEDI ha registrato un fatturato intorno ai 224-224 milioni di euro, accompagnato però da circa 15 milioni di perdite.
Da qui la decisione di Exor e di Elkann: la necessità di uscire da un’attività che al momento appare economicamente debilitata, destinata a generare ancora debiti piuttosto che utili.
Radio e concessionaria: il vero valore
Nel mix di attività, le radio — in particolare Radio Deejay, Radio Capital e m2o — insieme alla concessionaria pubblicitaria Manzoni, rappresentano la parte più profittevole: secondo chi cerca di vendere, sono il “tesoro nascosto” di GEDI. La parte giornalistica, invece, ha mostrato negli ultimi anni segnali di crisi, con vendite cartacee in calo e modesti guadagni nel digitale.
Per molti osservatori, l’interesse primario di Kyriakou e soci sarebbe dunque per le radio e i flussi pubblicitari, con i quotidiani che potrebbero essere considerati un “peso” da inglobare solo se necessario, o da rivendere successivamente. Questa dinamica spiega anche la strategia di offrire 140 milioni per un pacchetto completo, con margine per operazioni secondarie.
Un’operazione che riscrive i confini dell’informazione italiana
L’ingresso di capitali stranieri e il nodo del pluralismo
Il potenziale passaggio di testate simbolo dell’informazione italiana a un gruppo di origini greche, con possibili legami finanziari con capitali del Medio Oriente, ha acceso l’attenzione non solo dei mercati, ma anche della politica e della società civile. Tra le preoccupazioni principali — oltre a quelle economiche — ci sono quelle relative al pluralismo dell’informazione, all’indipendenza editoriale, e alla conformazione di un settore mediatico gestito da soggetti con interessi esterni, non necessariamente legati all’Italia.
Non è un dettaglio trascurabile: giornali come La Repubblica e La Stampa sono da decenni punti di riferimento del dibattito pubblico e culturale. Cambiare proprietà e probabilmente logiche editoriali significa alterare equilibri già delicati.
La crisi della stampa tradizionale
L’intera vicenda è simbolo di un fenomeno molto più ampio: la difficoltà del modello tradizionale dei media — basato su carta, copie, pubblicità fisica — a reggere in un contesto digitalizzato e frammentato. Se un colosso come GEDI finisce sul mercato, non per volontà di espansione ma per necessità economica, significa che qualcosa non ha funzionato.
Il passaggio a modelli di business basati su radio, servizi digitali, podcast, contenuti on-demand, potrebbe essere la via obbligata. Ma cambia anche la natura stessa del giornalismo: meno redazioni diffuse, più centralizzazione, più flessibilità, ma anche minor pluralismo e forse meno profondità.
Le controparti in gioco: chi decide e su quali variabili
La partita ruota fondamentalmente intorno a due attori: da una parte Kyriakou (e i suoi partner finanziari), dall’altra John Elkann come proprietario di GEDI via Exor.
Il punto di vista di Elkann
Da un lato, vendere significa tagliare un ramo ormai poco redditizio, concentrarsi su attività più strategiche — auto, tecnologia, investimenti internazionali — e limitare le perdite. Dall’altro, significherebbe abbandonare un pezzo importante del panorama mediatico italiano, con conseguenze sull’identità, sul profilo pubblico e — forse — anche sull’influenza politica e culturale che GEDI esercitava.
Costi strutturali, perdita continua, indebolimento
Mantenere GEDI comporta affrontare una crisi di modello ormai evidente: la stampa cartacea che cala, il digitale che fatica a monetizzare, la concorrenza di social e piattaforme globali, l’incertezza pubblicitaria. Continuare a sostenere i quotidiani infiniti mesi di perdita può diventare una zavorra difficile da giustificare in un piano industriale globale come quello di Exor.
Le carte di Kyriakou
Con 140 milioni sul tavolo e la promessa di rilanciare le attività redditizie (radio, pubblicità), Kyriakou offre una via d’uscita chiara: un cambio di proprietà veloce, un’iniezione di capitale e — secondo alcune fonti — la volontà di ristrutturare, riorganizzare e render profittevoli le attività.
Non è la prima volta che GEDI cambia pelle
La vendita attuale non è un unicum: già in passato si era parlato di scorpori, vendite parziali, cessioni di testate regionali. Nel 2023, ad esempio, GEDI aveva ricevuto offerte (da parte di Banca Finint) per vendere una parte delle sue testate locali del Nord-Est. L’operazione aveva visto l’avvio di trattative, con due diligence e negoziazioni, e alla fine si era concretizzata.
Quell’ipotesi presagiva un processo più ampio: dismettere attività meno strategiche, focalizzarsi su core business più redditizi. Ora, a distanza di due anni, la decisione di mettere in vendita l’intero gruppo rivela quanto profonda sia la crisi strutturale che attraversa la stampa e i media tradizionali italiani.
Per i lettori
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Possibili cambiamenti nell’impostazione editoriale di quotidiani e radio: nuove linee, nuovi palinsesti, nuovi assetti che potrebbero influire su format, copertura delle notizie, taglio giornalistico.
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Rischio percepito sul pluralismo: con un unico grande soggetto a controllare più testate e canali, la diversità delle voci potrebbe ridursi.
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Incertezza di medio termine: dipenderà da come Kyriakou sceglierà di investire — se in stabilità e qualità o in riduzione dei costi.
Per giornalisti, redazioni, lavoratori
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Possibili riorganizzazioni editoriali: riduzioni, razionalizzazioni, ridisegno delle strutture.
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Pressione per adeguarsi a modelli di produzione più “snelli” e meno dispendiosi.
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Timore di un ridimensionamento del giornalismo d’inchiesta e di approfondimento, a favore di contenuti più “commerciali”, radiofonici o multimediali.
Il significato politico e culturale dell’operazione
L’interesse del governo — non direttamente nel deal, ma nella questione del pluralismo e della tutela dell’informazione — non è passato inosservato. Alcuni partiti e personalità politiche hanno espresso preoccupazione: cedere un gruppo così rilevante a un soggetto con forti legami esteri — e implicazioni geopolitiche — può rappresentare un rischio per l’indipendenza dell’informazione.
Non è solo un affare economico: è un cambiamento di paradigma. Se la cessione dovesse andare in porto nei termini attuali, si getterebbero le basi per una nuova geografia mediatica in Italia. Una dove la proprietà estera, la ricerca del profitto e la centralizzazione industriale potrebbero prevalere su tradizioni editoriali, pluralismo e giornalismo territoriale.
La crisi dell’informazione nella nuova era
L’offerta di Kyriakou per GEDI non è solo un’operazione finanziaria: è un segnale. Un segnale che dice quanto sia fragile — e forse antiquato — il modello della grande editoria nazionale nel contesto digitale e globalizzato.
Se la cessione andrà in porto, sarà un punto di non ritorno per molti giornalisti, redazioni, per la storia di testate fondate come La Repubblica e La Stampa, e — in ultima istanza — per la pluralità dell’informazione in Italia.
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