🌐 “Made in Italy”: il food vale 2.077 miliardi
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Toggle…. ma per restare al top serve cultura, formazione e unità d’intenti
📌 Roma — In una giornata che segna un passo importante per la valorizzazione dell’agroalimentare nazionale, è stato presentato il nuovo dato sul valore del “Marchio Italia”: 2.077 miliardi di euro. Alla ribalta del report — consegnato da Censis e NielsenIQ — c’è il ruolo del settore food come protagonista indiscusso del Made in Italy nel mondo.
Alla presentazione, svoltasi presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, il protagonista d’onore è stato l’olio extravergine d’oliva (EVO) — uno dei simboli più forti dell’identità gastronomica italiana — e l’iniziativa che punta a renderlo ancora più riconoscibile: la seconda annualità del progetto EVO Masterclass, promossa da Oleificio Zucchi in collaborazione con RE.NA.I.A. (Rete Nazionale Istituti Alberghieri).
L’annuncio, a Bruxelles come a Roma, non è un traguardo da esibire ma un punto di partenza: un invito a combinare patrimonio, qualità e sapere — per non disperdere un valore collettivo che rischierebbe di frammentarsi in troppe offerte, troppe denominazioni, troppe etichette senza storia.
Un dato che pesa: 2.077 miliardi e l’egemonia globale del food italiano
Secondo la ricerca, il “Marchio Italia” — ovvero l’insieme del valore economico, simbolico e reputazionale attribuibile all’eccellenza italiana nei settori strategici — raggiunge i 2.077 miliardi di euro. Il settore agroalimentare, grazie anche alla sua riconoscibilità nel mondo, si conferma al primo posto fra le nostre export‑champion.
I numeri confermano un trend consolidato: l’agroalimentare e le bevande contribuiscono in modo rilevante al valore aggiunto del Made in Italy. Un esempio: nel solo 2024, l’export agroalimentare ha toccato cifre record, facendo registrare incrementi costanti rispetto agli ultimi anni.
Questo terreno fertile non è solo economico: è culturale, sociale, identitario. Il 42,8% degli italiani dichiara che la “cultura alimentare” è “molto importante” nelle proprie scelte; persino fra i giovani (18‑34 anni) il dato supera il 30%. Questo indica un’ampia consapevolezza del valore del cibo — non solo come nutrimento, ma come elemento di identità collettiva, di orgoglio, di tutela del territorio.
L’oro verde che spinge l’Italia verso l’export
Fra tutti gli ambiti del food — vino, formaggi, pasta, conserve — l’olio d’oliva, e in particolare l’extravergine, emerge come una vera e propria bandiera del Made in Italy. Attualmente, alla filiera olearia fanno capo 2.521 imprese industriali, che danno lavoro a circa 7.000 addetti.
Nel 2024, l’export dell’olio italiano ha superato i 3,091 miliardi di euro — di cui 2,496 miliardi riferiti al solo EVO — un dato che conferma la crescente domanda globale per un prodotto simbolo di qualità, gusto, tradizione.
Non sorprende che molti consumatori italiani lo considerino un “bene sociale”: secondo un’indagine del 2025, l’olio extravergine finisce nel carrello del 96% delle famiglie, e viene associato a valori come salute, natura, sostenibilità e benessere.
Senza cultura alimentare e formazione l’identità non si trasmette
La forza del Made in Italy non dipende solo da numeri e da export. Dipende da come si custodisce la qualità, da come la si racconta, da come la si tramanda alle nuove generazioni. E su questo fronte, il progetto EVO Masterclass rappresenta una scommessa concreta.
L’iniziativa, giunta alla seconda annualità, coinvolge gli studenti degli istituti alberghieri: un percorso triennale dedicato a enogastronomia, sala e vendita, con l’obiettivo di formare futuri operatori capaci di diventare “ambasciatori” dell’olio italiano — nei ristoranti, nelle cucine, nei mercati internazionali. Non soltanto come consumatori o venditori, ma come narratori di territori, territori d’Italia, culture e comunità.
L’importanza di un’educazione alimentare, di un sapere tecnico e culturale non va sottovalutata. Quando si compra una bottiglia di EVO si porta a casa un prodotto, ma anche la storia di un territorio, di una filiera, di un sapere contadino e artigiano che rischia l’omologazione senza il rispetto dell’origine.
Una filiera complessa
Le cifre parlano chiaro: in Italia sono attive decine di migliaia di imprese agricole che coltivano frutti oleosi, con decine di migliaia di addetti.
Ma la filiera non si ferma alla produzione agricola: c’è l’industria della trasformazione, il confezionamento, la certificazione, l’esportazione, la logistica. Solo nel 2024, le quantità esportate e gli investimenti nella qualità e nella tracciabilità — Dop, Igp, certificazioni, controllo della filiera — hanno contribuito a rafforzare la posizione dell’Italia sui mercati internazionali. Il settore delle “denominazioni protette” (olio, vino, latticini, salumi etc.) continua a crescere: è noto come “Dop Economy” e, secondo dati recenti, vale quasi 21 miliardi di euro.
È dunque un sistema articolato — fatto di piccole e medie imprese, consorzi, produttori, esportatori, istituzioni — che richiede coordinamento, consapevolezza, cura. Un mosaico che potrebbe sgretolarsi davanti all’appiattimento della domanda e all’omologazione globale, ma che ha dimostrato finora una notevole resilienza.
Export, dazi e concorrenza globale
🔎 Se da un lato il 2024 ha confermato trend positivi nelle esportazioni, dall’altro il settore agroalimentare italiano non è immune da venti contrari. Un esempio su tutti: le tensioni commerciali e l’ipotesi di dazi all’export in alcuni mercati chiave — come quello americano — che potrebbero pesare su alcuni comparti.
In un contesto globale sempre più competitivo e polarizzato, mantenere il primato non è scontato. La domanda internazionale diventa più attenta, consapevole dei prezzi, della concorrenza di qualità da altri paesi produttori — spesso determinati da costi più bassi — e da logiche di catena corta alternative.
Ecco perché il valore del “marchio Italia” non può essere dato per eterno: va difeso, rinnovato, trasmesso. Serve investire in formazione, sostenibilità, innovazione, visibilità, diritto alla trasparenza.
Il futuro del Made in Italy passa dai giovani
Il ruolo degli studenti coinvolti nel progetto EVO Masterclass non è secondario. Sono loro — futuri chef, operatori di sala, ambasciatori dell’enogastronomia — coloro che rappresenteranno l’Italia nei ristoranti, nei mercati esteri, nei viaggi, nei nuovi consumi. Una nuova generazione che può unire radici e apertura globale.
Serve però coraggio: coraggio di raccontare il territorio, di investire in qualità, di valorizzare la sostenibilità ambientale e sociale, di proteggere l’identità di un prodotto. Un marchio — quello dell’olio EVO — che non deve diventare un’etichetta vuota, una moda da scaffale, ma un ponte fra storia, cultura, economia.
E serve anche coesione: un’industria divisa rischia di essere fragilissima. Il valore di 2.077 miliardi è un dato collettivo, una riflessione sulla reputazione di un intero paese — e va trattato come tale.
Made in Italy non è un marchio, è un progetto da vivere
Il dato sul valore del Marchio Italia è impressionante. Ma ciò che impressiona di più non è la cifra in sé — è la responsabilità che porta con sé. Un valore che racconta territori, storie, famiglie, imprese, culture. Che muove persone, economia, identità.
L’esempio dell’olio extravergine d’oliva — con le sue imprese, la sua filiera, il suo export, la sua “EVO Masterclass” — può essere emblematico: dimostra come il cibo possa diventare cultura, formazione, sostenibilità, economia, orgoglio.
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