🌐 Italia in sciopero: mobilitazione generale contro la Manovra
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ToggleOggi quasi tutta l’Italia rischia di fermarsi. Uno sciopero generale nazionale, promosso da una serie di sindacati di base, coinvolge trasporti, scuola, sanità, servizi pubblici e privati — e per la prima volta anche la stampa — in segno di protesta contro la recente legge di bilancio varata dal governo. Una protesta che va oltre il mero scontro sui numeri: è un grido d’allarme su welfare, diritti, condizioni di lavoro, futuro collettivo.
Le ragioni della mobilitazione
Dietro la decisione di incrociare le braccia c’è una critica netta alla cosiddetta Manovra 2026. I sindacati promotori — fra cui CUB, USB, SGB, COBAS, USI-CIT — denunciano un testo di bilancio che secondo loro sacrifica i servizi pubblici essenziali per aumentare le spese militari. Mancano investimenti strutturali nella sanità, nella scuola, nei trasporti: settori che negli ultimi anni hanno subito tagli, carenze di organico e mancanza di stabilità per migliaia di lavoratori. I salari restano troppo bassi, la precarietà dilaga, i diritti restano sulla carta. A questo si somma la richiesta per un rinnovo contrattuale urgente: per molte categorie — come quella dei giornalisti — l’ultimo rinnovo risale a parecchi anni fa, e l’inflazione ha eroso il valore reale delle retribuzioni.
Per molti lavoratori è arrivato il momento di dire basta: la protesta non è solo contro una manovra economica, ma contro un modello di società che premia spese militari e interessi privati a scapito dei servizi collettivi e del benessere comune. «È una finanziaria di guerra», denunciano i sindacati, chiedendo una svolta reale per il welfare e i diritti.
Chi si ferma
Trasporti
Lo sciopero coinvolge treni, trasporto pubblico locale, voli, autostrade e servizi correlati. Per il settore ferroviario lo stop è previsto dalle ore 21 di giovedì 27 novembre fino alle 21 di venerdì 28. Anche aerei, autobus, metropolitane, traghetti e altri mezzi potrebbero subire cancellazioni o forti riduzioni.
Alcune tratte e fasce orarie restano comunque garantite, ma pendolari e viaggiatori sono avvisati: la normale mobilità rischia di saltare, soprattutto nelle ore centrali della giornata.
Scuola e università
Tutto il personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario — nelle scuole statali e non statali, negli istituti di formazione e nelle università — è chiamato allo sciopero. Le lezioni, le attività didattiche, gli esami potrebbero saltare, così come i servizi accessori.
Sanità
Anche ospedali, ambulatori, servizi sanitari territoriali e di emergenza subiranno contraccolpi: i sindacati denunciano un sistema sotto pressione, con carenze di personale e risorse. Medici, infermieri e operatori sociosanitari hanno aderito alla protesta: sono previste astensioni — con salvaguardia delle prestazioni urgenti e indifferibili.
Stampa e informazione
Per la prima volta la protesta include anche i giornalisti, sotto il cappello del rinnovo contrattuale: il contratto nazionale (Fnsi–Fieg) è scaduto da anni, e la categoria chiede tempi certi per la sua definizione, condizioni dignitose di lavoro, tutele anche in un’epoca di trasformazioni digitali e pressioni economiche.
Servizi pubblici e lavoro privato
Altri settori, pubblici e privati, sono chiamati a partecipare: uffici, amministrazioni locali, attività di manutenzione, logistica, nettezza urbana. In molte città si prospettano disagi generalizzati, con possibili interruzioni nei servizi quotidiani.
Le fasce garantite — e le incertezze
Come spesso avviene in casi di agitazione nazionale, non tutti possono fermarsi. Per legge e per garantire i servizi essenziali, sono previste fasce orarie protette: per il trasporto ferroviario, tipicamente dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21; per il trasporto locale urbano varia da città a città. Per i servizi sanitari, le prestazioni urgenti e quelle in emergenza devono essere garantite. Per la scuola e l’università, la situazione è più fluida: dipende dall’adesione del personale, e in certi casi da decisioni autonome di dirigenti scolastici e amministrazioni.
Nonostante le garanzie, molti utenti e cittadini si preparano al peggio: ritardi, cancellazioni, confusione, disagi. Per lavoratori e famiglie, per studenti e pendolari, il 28 novembre è visto come un giorno da affrontare con flessibilità.
Questa mobilitazione non è un evento isolato, ma l’ultimo anello di una catena di tensioni sociali crescenti. Nei mesi e negli anni scorsi, il mondo della scuola ha vissuto tagli, contratti stagnanti, docenti e personale tecnico precario. Nella sanità pubblica, carenze di organico, carico di lavoro crescente e strutture sotto stress. Nei trasporti pubblici e regionali, servizi ridotti, inefficienze, investimenti insufficienti.
Parallelamente, il costo della vita è aumentato, l’inflazione ha eroso i salari, la precarietà ha continuato a espandersi. Molti italiani sentono di vivere in un Paese che non investe nella sua base sociale, che gravelifica diritti e servizi. E così la protesta di oggi — pur con le sue differenze interne — si inserisce in un sentimento diffuso di indignazione, bisogno di futuro, richiesta di giustizia sociale.
Anche il coinvolgimento della stampa non è casuale: dopo anni di tagli, ristrutturazioni, crisi economiche e trasformazioni digitali, i giornalisti denunciano un sistema che li considera sacrificabili, senza contare la funzione democratica dell’informazione e la sua importanza per la società.
Come si manifesta la mobilitazione
In decine di città italiane si annunciano cortei, presidi, manifestazioni. Alcuni sindacati hanno invitato a concentrarsi sotto sedi istituzionali come il Parlamento a Roma, oppure davanti a Prefetture e sedi regionali. Le piazze tornano a essere spazio di mobilitazione, non solo simbolico: logistica, trasporti, servizi, vita quotidiana si intrecciano nella protesta.
Obiettivo: non solo far sentire la voce dei lavoratori, ma costringere le istituzioni a modificare rotta. Chiedere investimenti, contratti dignitosi, priorità al welfare, stabilizzazione del personale, rispetto del diritto al lavoro e all’istruzione.
Uno sciopero generale di questa portata non è privo di controindicazioni. In primo luogo: i disagi per i cittadini. Famiglie, studenti, pendolari, pazienti potrebbero subire conseguenze pesanti — e spesso non hanno responsabilità nella decisione di scioperare. Questo comporta una sfida per i sindacati: come bilanciare il diritto alla protesta con il rispetto per chi subisce inevitabilmente i disagi?
In secondo luogo: la rappresentanza. I sindacati di base si presentano come portavoce di un malessere reale, ma vivono storicamente una minore capacità di dialogo con le istituzioni rispetto a sigle più strutturate. Riuscire a tradurre le proteste in decisioni concrete richiederà coesione, coordinamento, visione politica.
In terzo luogo: la tenuta del sistema dei servizi. Sanità, scuola, trasporti sono già sotto pressione. Uno sciopero di massa può peggiorare le condizioni, ma se provoca riassetti reali — investimenti, assunzioni, risorse — può rappresentare un’occasione. Se invece viene repressa o ignorata, il rischio è di alimentare sfiducia e rassegnazione.
Cosa aspettarsi
Oggi sarà un giorno di prova: per il governo, per i sindacati, per la società. Le manifestazioni nelle piazze, la partecipazione popolare, le adesioni nei vari settori forniranno un quadro molto chiaro del malessere sociale che attraversa il paese. Mentre per le istituzioni — a partire dal governo — sarà il momento di capire se ascoltare, negoziare, cambiare rotta.
Nel breve termine, lo sciopero potrebbe generare disagi: ritardi nei trasporti, cancellazioni di voli, classi chiuse, rallentamenti negli ospedali, carenze di personale nei servizi. Ma se la protesta riuscirà a produrre effetti politici — a innescare un dibattito serio sul welfare, sui salari, sui diritti — potrà rappresentare una nuova stagione di lavoro .
Lo sciopero dei giornalisti: il comunicato FNSI
“Oggi le giornaliste e i giornalisti italiani sono in sciopero. Scioperiamo perché il nostro contratto di lavoro è scaduto da 10 anni e soprattutto perché riteniamo che il giornalismo, presidio fondamentale per la vita democratica del Paese, non abbia avuto la necessaria attenzione da parte degli editori della Fieg: molti tagli e pochi investimenti, nonostante le milionarie sovvenzioni pubbliche.
In oltre 10 anni la riduzione degli organici delle redazioni e la riduzione delle retribuzioni dei giornalisti attraverso stati di crisi, licenziamenti, prepensionamenti e il blocco del contratto hanno avuto fortissime ripercussioni sul pluralismo e sul diritto dei cittadini ad essere informati.
In questi 10 anni i giornalisti dipendenti sono diminuiti, ma è aumentato a dismisura lo sfruttamento di collaboratori e precari: pagati pochi euro a notizia, senza alcun diritto e senza futuro.
In questi 10 anni il potere di acquisto degli stipendi dei giornalisti è stato eroso dall’inflazione, quasi del 20% secondo Istat: per questo chiediamo un aumento che sia in linea con quelli degli altri contratti collettivi.
Gli editori hanno proposto un aumento irrisorio e chiesto di tagliare ulteriormente il salario dei neo assunti, aggravando così in modo irricevibile la divisione generazionale nelle redazioni.
Non ne facciamo una battaglia corporativa. Pensiamo che un’informazione davvero libera e plurale, che sia controllo democratico, abbia bisogno di giornalisti autorevoli e indipendenti, che non siano economicamente ricattabili.
Chiediamo un contratto nuovo, che tuteli i diritti e che guardi all’informazione con le nuove professioni digitali, regolando l’uso dell’Intelligenza Artificiale e ottenendo l’equo compenso per i contenuti ceduti al web.
Vogliamo spingere gli editori a guardare al futuro senza continuare a tagliare il presente. Se davvero la Fieg tiene all’informazione professionale deve investire sulla tecnologia e sui giovani che non possono diventare manovalanza intellettuale a basso costo. Lo deve a noi giornalisti, ma soprattutto lo deve ai cittadini tutelati dall’articolo 21 della Costituzione”.
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