8:15 am, 27 Novembre 25 calendario

🌐 Sterminio dei gatti entro il 2050 in nome della biodiversità

Di: Redazione Metrotoday
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WELLINGTON — Il governo della Nuova Zelanda ha dato un’accelerata drastica alla sua strategia per la protezione della biodiversità: con un annuncio ufficiale del ministro alla Conservazione Tama Potaka, i “gatti selvatici” (feral cats) sono stati inseriti nella lista di predatori da eradicare entro il 2050 come parte del programma Predator Free 2050.

Si tratta di una svolta significativa — la prima espansione del programma dal 2016 — in risposta alla crescente evidenza scientifica e pubblica che vede in questi felini una minaccia grave e concreta per l’unicità della fauna nativa neozelandese: uccelli, pipistrelli, lucertole e insetti che in milioni di anni si sono evoluti senza predatori terrestri come gatti, ratti o mustelidi.  

Le cifre sono allarmanti: si stima che nel Paese ci siano oltre 2,5 milioni di gatti randagi. In alcune isole remote, come quella di Rakiura/Stewart Island, questi felini sono stati responsabili del crollo drammatico di popolazioni di specie autoctone come il Southern dotterel (pukunui).

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🌐 Strategie di eradicazione dei “stone‑cold killers”

Nella dichiarazione ufficiale, Potaka non ha usato mezzi termini: i gatti selvatici sono “stone‑cold killers”, predatori responsabili di gravi danni alla fauna — e ora “entrano nella lista di chi va eliminato”.

La decisione arriva dopo una consultazione pubblica promossa dal Department of Conservation (DOC), che ha raccolto quasi 3.400 risposte e registrato un consenso superiore al 90 % a favore di una gestione più severa dei gatti selvatici.

Nel concreto, l’inclusione nella Predator Free 2050 — che finora aveva come bersagli ratto, donnola, opossum e altri mammiferi invasivi — significa che da oggi anche i gatti rappresentano un obiettivo nazionale. Le regioni e i consigli locali riceveranno sostegno ufficiale, finanziamenti e linee guida per interventi coordinati.

Tra le strategie discusse dal DOC per la rimozione dei gatti selvatici si segnalano esche avvelenate in forma di salsicce, da distribuire anche via aerea in aree remote, e — stando ad alcune indiscrezioni — addirittura sistemi di erogazione di veleno a spruzzo installati su alberi, che si attiverebbero al passaggio degli animali.

Secondo il DOC, le esche sono state studiate per essere selettive: attirano fortemente i gatti selvatici, ma risultano poco appetibili per molte specie autoctone, riducendo il rischio di danni collaterali. I primi test, condotti su isole remote come quelle sub‑antartiche, hanno dato risultati promettenti.

🌐 Il dramma della biodiversità neozelandese

La Nuova Zelanda è un crogiolo di biodiversità unica: numerose specie — uccelli, pipistrelli, lucertole, insetti — non hanno mai conosciuto mammiferi predatori terrestri, e per millenni si sono evolute libere da minacce eliminatrici. L’arrivo dei gatti — introdotti con i colonizzatori europei — ha radicalmente cambiato l’equilibrio.

Negli ultimi decenni si sono moltiplicati i casi di estinzione o quasi‑estinzione causati da predazione: il Southern dotterel sull’isola di Stewart è passato dall’abbondanza all’orlo del collasso; pipistrelli e lucertole native sono scomparsi in vaste aree — a volte in pochi anni.

Secondo il DOC, in una sola settimana nella zona di Ohakune sono stati trovati oltre 100 pipistrelli dalla coda corta vittime di gatti selvatici.

Il cambiamento climatico, la perdita di habitat e altre pressioni antropiche hanno peggiorato la situazione. Per molti biologi e ambientalisti, l’unica speranza di salvare la fauna nativa è rimuovere i predatori introducibili: e tra questi, i gatti selvatici risultano tra i più pericolosi e prolifici.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/thumb/5/50/Department_of_Conservation_New_Zealand_logo.svg/1200px-Department_of_Conservation_New_Zealand_logo.svg.png

🌐 Tra consensi, dubbi etici e preoccupazioni

La decisione del governo neozelandese ha suscitato forti reazioni: se da un lato molte comunità locali e associazioni ambientaliste — come Predator Free New Zealand Trust — l’hanno accolta con favore, decine di gruppi animalisti e proprietari di gatti domestici hanno espresso allarme e condanna.

Il punto di contesa principale riguarda i metodi: le esche avvelenate — pur dichiarate selettive — rischiano di provocare sofferenza e morte lenta. Alcune voci suggeriscono l’adozione di strategie non letali, o comunque interventi più umani e rispettosi degli animali.

Un altro nodo è giuridico e gestionale: finora non esiste una normativa nazionale che obblighi a microchippare o sterilizzare i gatti domestici, né una distinzione chiara tra “pet”, “randagio” e “selvatico”. Questo rende difficile definire tempestivamente quali animali siano realmente bersagli della politica di eradicazione.

La dimensione etica — dibattuta e dolorosa — pone una domanda fondamentale: può un Paese giustificare l’eliminazione di animali (anche se non autoctoni) in nome della tutela dell’ecosistema?

🌐 L’ eradicazione

Fino a pochi mesi fa, i gatti randagi erano esclusi dalla Predator Free 2050: la loro presenza era tollerata come inevitabile, e ogni proposta di eradicazione aveva incontrato opposizioni forti. Il programma — avviato nel 2016 — si era concentrato su  opossum, ratti, donnole e altri mammiferi invasivi.

Il cambiamento è stato reso possibile da una combinazione di fattori: l’evidente emergenza della biodiversità, i dati scientifici crescenti, ma anche un cambiamento culturale nella percezione pubblica. La consultazione lanciata dal DOC ha registrato un consenso inaspettato — circa il 90 % — a favore di una politica più aggressiva nei confronti dei gatti selvatici.

Il governo guidato dal primo ministro Christopher Luxon aveva promesso in campagna elettorale un rafforzamento delle misure per la biodiversità: questa mossa rappresenta dunque la concretizzazione di quell’impegno, con un piano ambizioso e radicale che farà discutere per anni.

A regime, l’inserimento dei gatti randagi nella Predator Free 2050 permetterà:

  • una coordinazione nazionale delle operazioni di controllo e eradicazione, con supporto legale, logistico e finanziario a regioni e comunità.

  • Esche studiate dal DOC — con l’obiettivo di minimizzare i danni collaterali alle specie native.

  • un potenziale miglioramento della biodiversità, con la possibilità di far rinascere popolazioni di specie rare o quasi estinte in ambienti dove la predazione era diventata insostenibile.

Tuttavia, restano molte incognite:

  • come garantire che gli interventi siano effettivamente efficaci e non causino danni collaterali.

  • come gestire la distinzione tra gatti selvatici e gatti domestici, specie in aree rurali o peri‑urbane.

  • il rischio di forte opposizione da parte dei cittadini e degli animalisti, soprattutto in zone dove i gatti sono considerati animali da compagnia.

  • la sfida etica di giustificare la morte di milioni di animali in nome di una causa di conservazione.

🌐 Una svolta per la natura

La decisione della Nuova Zelanda rappresenta uno dei programmi di conservazione più audaci e controversi al mondo. Da un lato c’è la necessità concreta di proteggere una fauna unica, fragile e sconvolta da secoli di introduzione di predatori — con conseguenze drammatiche. Dall’altro, c’è il dilemma morale di stabilire chi — e come — debba decidere della vita di esseri viventi considerati “invasori”.

Il 2050 appare come una data netta, una scadenza che invita a riflettere: può un Paese reinventare la sua natura — cancellando una specie introdotta — per salvaguardare la sua identità ecologica originaria? La Nuova Zelanda dirà la sua.

27 Novembre 2025
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