8:07 am, 27 Novembre 25 calendario

🌐 «La famiglia del bosco»: tra diritti e pregiudizi

Di: Redazione Metrotoday
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PALMOLI / L’AQUILA – Si muove in questi giorni sotto i riflettori un caso che divide l’opinione pubblica, scuote le coscienze e solleva interrogativi profondi su libertà, diritti e doveri nei confronti dei minori. È la storia della cosiddetta “famiglia del bosco”, un nucleo anglo‑australiano che da anni vive in una casa isolata nei boschi del territorio di Palmoli, in provincia di Chieti — e che ora si trova al centro di una disputa giudiziaria, fatta di separazioni dolorose, contestazioni, petizioni, tensioni, proteste e riflessioni sociali.

Tre bambini – una bambina di otto anni e due gemelli di sei – sono stati allontanati dai propri genitori, e collocati in una comunità educativa insieme alla madre. Il provvedimento, disposto il 20 novembre 2025 dal Tribunale per i Minorenni dell’Aquila, é motivato da presunte condizioni abitative e di vita ritenute non idonee, da un isolamento sociale prolungato e da dubbi sulla tutela della crescita psicofisica ed educativa dei minori.

Il dibattito si è acceso, con opinioni fortemente contrastanti: da un lato chi difende la scelta — radicale ma legittima — della famiglia di vivere in natura. Dall’altro chi sostiene che i rischi per i bambini siano reali e non ignorabili. Ma il caso, complesso e sfaccettato, parla anche di diritti, doveri dello Stato, interpretazioni di “normalità” e pluralità delle forme di vita.

🌐 La vicenda

La storia è nota: Catherine (australiana) e Nathan (inglese) — genitori della bimba e dei due gemelli — scelgono di trasferirsi in una casa nei boschi del Vastese, nei pressi di Palmoli, in Abruzzo. Una vita “off‑grid”: senza elettricità di rete, senza acqua corrente, senza collegamenti alle infrastrutture tradizionali; con pannelli solari, pozzo per l’acqua, riscaldamento a legna, e con una scelta educativa radicale: i bambini non frequentano le scuole tradizionali, ma seguono un percorso di istruzione domiciliare (home schooling / unschooling).

La convivenza di questo stile di vita con le norme di tutela minorile e le aspettative sociali sarebbe rimasta ai margini, non fosse stato per un episodio che ha accesso i riflettori: un’intossicazione da funghi, dopo una raccolta nel bosco, che ha portato i bambini in ospedale. Il controllo dei carabinieri ha determinato, dopo sopralluoghi, un segnalazione ai servizi sociali: la casa è stata definita “non idonea”, priva dei requisiti minimi per garantire sicurezza, igiene, salute ed educazione adeguata. 

Da lì, l’avvio di una procedura della Procura per i Minorenni dell’Aquila: prima la sospensione della potestà genitoriale, poi — con un decreto del Tribunale — l’allontanamento dei tre bambini e la loro collocazione in una comunità educativa, con la madre che li accompagna.

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🌐 Il “grave pregiudizio”

Nelle motivazioni dell’ordinanza, i giudici hanno fatto riferimento a diversi elementi: l’isolamento sociale dei minori, la carenza di riferimenti esterni a parte i genitori (scuola, medici, contatti regolari), la condizione abitativa considerata inadeguata — in termini di servizi, sicurezza e igiene — e la riluttanza della famiglia ad accettare alcuni interventi di controllo o adeguamento. 

Inoltre, la mancanza di frequentazione scolastica tradizionale è stata indicata come un grave punto di criticità: secondo il Tribunale, la socialità, l’integrazione e la regolarità educativa non risultano garantite da un percorso defilato come l’homeschooling adottato dalla famiglia.

Il provvedimento di allontanamento è stato giustificato come misura necessaria a tutela dei minori, considerato “un grave pregiudizio” per la loro crescita e sicurezza, fino a che non verranno verificate condizioni di vita più compatibili con gli standard richiesti per l’accertamento del benessere psicofisico e sociale dei bambini.

🌐 Dolore, protesta e una petizione che scuote i social

L’esecuzione dell’ordinanza — con un intervento di assistenti sociali e forze dell’ordine — è avvenuta in una serata, lasciando la famiglia sotto shock. Il padre ha dichiarato al quotidiano che «si sta distruggendo la vita di cinque persone»; la madre ha raccontato il dolore dei bambini, lo strappo improvviso, il fatto di non potersi nemmeno salutare con gli animali e gli affetti del bosco: «È stato uno shock totale, tutto troppo veloce» ha detto.

Intanto, una mobilitazione digitale si è messa in moto: una petizione online per sostenere la famiglia e ottenere il ritorno dei bambini a casa ha raccolto nelle prime ore migliaia di firme, segno che la vicenda tocca corde profonde nella sensibilità di molti — tra chi vede nella scelta della famiglia un atto di libertà e alternativa, e chi teme che la separazione sia un danno ingiusto.

Gli stessi legali della coppia hanno annunciato ricorso contro il provvedimento, contestando la valutazione dei giudici: secondo il difensore, un documento dell’istituto scolastico competente attesterebbe che l’istruzione domiciliare è stata autorizzata, e che quindi la mancata frequenza non sarebbe motivo sufficiente per giustificare la sottrazione dei bambini. Il documento, sostiene la difesa, non sarebbe stato valutato al momento del decreto.

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🌐 Un confronto più ampio su istruzione, alternative e pluralità di modelli

Questa vicenda — in apparenza privata — apre un dibattito pubblico molto più ampio e complesso: quanto spazio può avere, in un ordinamento moderno, una scelta di vita alternativa? E fino a che punto lo Stato può intervenire in nome della tutela dei minori?

Da un lato ci sono i diritti dei bambini: diritto a salute, istruzione, socialità, protezione. Dall’altro la libertà educativa dei genitori, il diritto a scegliere un modello diverso da quello dominante, l’idea che l’“alternativo” non debba automaticamente equivalere a “inadeguato”.

L’homeschooling, l’educazione alternativa, l’autosufficienza e uno stile di vita “nature‑centered” sono pratiche che, seppur minoritarie, si inseriscono in un contesto più ampio di pluralità culturale e di concezione della famiglia e dell’infanzia. Ma tali scelte devono fare i conti con precisi standard di tutela: sicurezza, salute, istruzione certificata, relazioni sociali e possibilità di sviluppo.

Il punto di rottura – per le autorità – sembra essere questo: non la scelta in sé, ma la situazione concreta. E dunque la questione non è “alternativa sì/alternativa no”, bensì “condizioni adeguate sì/condizioni adeguate no”.

🌐 I nodi ancora da sciogliere: istruzione, socialità, trasparenza

Una delle battaglie legali e culturali in corso riguarda proprio l’istruzione: secondo la famiglia, l’obbligo scolastico è stato rispettato tramite home schooling autorizzato; secondo il Tribunale, invece, la mancanza di frequenza regolare e di socialità educativa è incompatibile con il benessere dei bambini. 

C’è poi la questione della socialità: i minori — secondo i servizi sociali — risultavano isolati, senza contatti regolari con coetanei, con assenza di attività ricreative, sportive o scolastiche che permettessero scambi sociali significativi.

E infine la trasparenza e l’equilibrio nella decisione: i giudici ritengono che lo stato di isolamento e l’abitazione non idonea costituiscano un rischio; la famiglia ritiene che la decisione sia una forzatura di uno “stile alternativo”, che penalizza la libertà di educazione e di esistenza.

🌐 Un caso simbolo: cosa dice dell’Italia di oggi

La vicenda della famiglia del bosco di Palmoli non parla solo di una casa isolata o di tre bambini: racconta un’Italia in tensione tra modelli di vita differenti, tra tutela dello Stato e libertà individuale, tra norme e desideri, tra protezione e autonomia.

Il conflitto che emerge è dirimente: come conciliare il diritto alla libertà educativa e alla diversità di stili di vita con l’obbligo di garantire ai minori una crescita serena, sicura, equilibrata e socializzante? E chi decide, in ultima analisi, cosa significhi “vita dignitosa” per un bambino — lo Stato o i genitori?

In questo senso, non è un caso che la vicenda abbia suscitato clamore, petizioni, proteste, ma anche preoccupazione e riflessioni. Sta mettendo alla prova valori profondi e antichi: la famiglia, la libertà, la tutela, la responsabilità collettiva.

🌐 Il futuro del caso: ricorsi, esami, determinazioni

La difesa della famiglia ha annunciato ricorso contro l’ordinanza di allontanamento, puntando sul riconoscimento dell’istruzione domiciliare e su documenti che attesterebbero la liceità della scelta educativa.

Nel frattempo, i bambini restano in comunità educativa con la madre, in attesa dell’esito del ricorso. Il procedimento — oltre a valutare le condizioni materiali di vita — dovrà valutare anche gli aspetti psicologici, emotivi e relazionali legati alla separazione, all’isolamento, alla mancanza di una vita “sociale normale”.

E sul piano politico e sociale, la vicenda continuerà ad alimentare riflessioni: sul diritto all’istruzione domiciliare, sulla libertà educativa, sul ruolo dello Stato nel garantire la tutela dei minori, e sul significato di “normalità” in un Paese che cambia.

Una storia che interroga — e divide — un Paese

La storia della famiglia del bosco di Palmoli è destinata a rimanere nella cronaca e, probabilmente, nella memoria collettiva come uno dei casi più emblematici degli ultimi anni. Serve — forse — come specchio di una società che cambia, che cerca nuove forme di vita, che desidera tornare alla terra, all’autonomia, alla semplicità. Ma anche come monito, perché ogni libertà deve fare i conti con la responsabilità, con la tutela e con il diritto dei più piccoli.

Non è facile — né dovrebbe essere facile — stabilire una verità univoca: i valori in gioco sono tanti, le storie individuali complesse, le sensibilità diverse. Ma è giusto che se ne parli, che si ragioni, che si confronti. Perché nei dubbi, nelle contraddizioni, nelle storie come questa, si misura la salute di una comunità, la sua capacità di rispettare la diversità senza tradire la protezione.

27 Novembre 2025
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