🌐 Una legge storica: la norma che punisce il femminicidio con l’ergastolo
Viene così introdotto il nuovo articolo 577-bis, che prevede la pena dell’ergastolo per chiunque cagioni la morte di una donna quando l’omicidio sia motivato da discriminazione, odio, prevaricazione, o persegua dinamiche di dominio, controllo, possesso.
La norma riconosce come “femminicidio” anche il delitto compiuto in reazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo, oppure in seguito al suo desiderio di affermare la propria libertà e autonomia — circostanze che in molti casi costituiscono il movente reale di questi omicidi.
Accanto al nuovo reato vengono rafforzate le pene per una serie di reati collegati: maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, “revenge porn”, mutilazioni genitali femminili, lesioni permanenti, atti persecutori. Anche le norme processuali vengono riviste: l’obbligo per il magistrato di ascoltare la vittima, la restrizione dei benefici penitenziari per chi commette reati di genere, e l’obbligo di formazione specifica per i magistrati in materia di violenza contro le donne.
Il provvedimento era già passato al Senato il 23 luglio 2025, con voto unanime: 161 favorevoli su 161 presenti.
Perché la decisione arriva ora: un’escalation di emergenza sociale
La scelta di convertire finalmente in legge il reato di femminicidio non è casuale. Negli ultimi anni l’Italia ha vissuto un’escalation drammatica di violenza di genere — basti pensare al numero (sconcertante) di donne uccise da partner ed ex partner, spesso in contesti noti alle forze dell’ordine. Solo nel 2024, secondo fonti governative, si contavano decine di casi raggruppati nella categoria “femminicidio”.
Le proteste, le manifestazioni, la mobilitazione civile — amplificate da tragedie che scuotono interi territori — hanno fatto comprendere che la normativa vigente non basta più: serve uno strumento normativo che riconosca la specificità della violenza contro le donne come manifestazione di discriminazione strutturale, non come semplice delitto occasionale.
È dunque questo il contesto in cui nasce la legge: non come atto simbolico, ma come risposta urgente a una piaga sociale che chiede interventi concreti, immediati e strutturali.
Le tappe parlamentari: da disegno di legge a norma approvata
Il percorso del provvedimento è durato mesi. Il governo, con l’appoggio di tutti i principali partiti, ha presentato il disegno di legge nel corso del 2025. Il testo è stato elaborato dai ministeri della Giustizia, dell’Interno, della Famiglia e delle Pari Opportunità, nonché dalle Riforme istituzionali.
In primavera il decreto ha ottenuto il via libera del Consiglio dei Ministri, diventando uno degli interventi legislativi simbolo dell’esecutivo.
Il 23 luglio il Senato ha approvato il testo: un passaggio unanime, segno che anche in un Parlamento politicamente diviso il tema della violenza sulle donne è stato affrontato superando i confini ideologici.
Infine, dopo l’esame alla Camera, il provvedimento ha ricevuto 237 voti favorevoli su 237: l’unanimità che suggella la norma definitiva.
Un cambiamento di paradigma: riconoscere la violenza strutturale
Non si tratta solo di inasprire le pene, ma di riconoscere la natura strutturale della violenza contro le donne. Con la definizione di femminicidio come reato autonomo, lo Stato italiano mette nero su bianco che la morte di una donna per mano di un uomo — in contesti di controllo, possesso, abuso di potere, sopraffazione — non è un semplice omicidio, ma un crimine che ha radici profonde nella discriminazione di genere e nella cultura patriarcale.
Il nuovo inquadramento giuridico serve anche a inviare un messaggio chiaro alla società: la violenza di genere non è un fatto privato, non è “passione che sfugge di mano”, e non può essere vissuta come una tragedia personale. È un atto collettivo, che riguarda le strutture del potere, la cultura, l’educazione, i rapporti tra generi. E come tale va affrontata su più livelli: prevenzione, punizione, protezione delle vittime.
Non tutti applaudono la nuova legge: alcune critiche — provenienti anche da esperti e movimenti per i diritti delle donne — sottolineano che aumentare le pene da sole non è sufficiente. Serve un lavoro parallelo di prevenzione: cultura, istruzione, consapevolezza, emancipazione, cambiamento sociale.
Se da un lato la legge rafforza gli strumenti repressivi (ergastolo, aggravanti, limiti ai benefici), dall’altro non affronta direttamente le cause profonde — che riguardano i ruoli di genere, la discriminazione, la violenza domestica che si sviluppa spesso in contesti di marginalità economica, fragilità psicologica, isolamento.
Alcune proposte iniziali, come l’introduzione di corsi di educazione affettiva e di rispetto nelle scuole, sono al momento separate — e non sono incluse nella legge sul femminicidio. Per molti, questo rappresenta una debolezza significativa: intervenire solo dopo il delitto non è una vera strategia di prevenzione.
Dietro ogni statistiche, ogni numero, ci sono storie irripetibili: donne che hanno sperato, che hanno lottato, che hanno denunciato — ma sono state ignorate, derise, abbandonate, e infine uccise. Famiglie distrutte. Bambini senza madre. Comunità intere scosse da un dolore che non può essere derubricato come “cronaca nera”.
L’introduzione del reato di femminicidio vuole rendere giustizia a queste vittime, riconoscendo che il loro assassino non è un assassino qualunque, ma colui che ha ucciso perché la donna era donna. Perché voleva decidere per sé, scegliere, essere libera. Perché ha rifiutato un rapporto, un controllo, una sottomissione.
Per molte famiglie, la legge è un atto di riconoscimento doloroso ma necessario. Per molti attivisti, è un primo passo di un percorso che deve continuare — con politiche sociali, con educazione, con una trasformazione culturale profonda.
Il volto dell’Italia che cambia: speranze e responsabilità
Con l’approvazione definitiva, l’Italia compie una scelta di campo. Dice che la violenza contro le donne — nelle sue forme più estreme come il femminicidio — non è un’eventualità tragica, ma una piaga che si può contrastare. Una sfida collettiva, implicita nelle leggi ma che richiede un impegno culturale, educativo, sociale.
Un mosaico di rispetto, di diritti, di parità, di libertà.
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