Ddl violenza sessuale: scontri e sospensione in Senato
Il Ddl in questione introduce una norma che ridefinisce l’articolo 609-bis del Codice penale, stabilendo che un atto sessuale senza un consenso “libero e attuale” costituisce violenza sessuale – non servendo più la prova di costrizione, minaccia o abuso di autorità. È una modifica definita da molti come “storica”, voluta da una convergenza bipartisan guidata da Giorgia Meloni e Elly Schlein.
Alla Camera il testo era stato approvato all’unanimità qualche giorno fa. Oggi, però, si è consumato un colpo di scena: la maggioranza – composta soprattutto da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia – ha chiesto nuove audizioni e un ciclo di approfondimenti, bloccando di fatto l’arrivo del provvedimento in Aula.
Secondo quanto riportato, il nodo riguarda un comma del testo che disciplina le ipotesi di “minore gravità”: i partiti di destra vorrebbero chiarire meglio cosa significhi in concreto.
Ma le opposizioni – da quel momento – hanno reagito con durezza, interrompendo i lavori in segno di protesta contro quello che definiscono un “voltafaccia” rispetto all’accordo bipartisan sancito tra i vertici.
“Così salta l’accordo Meloni-Schlein”
Nel corso della seduta, il clima è rapidamente degenerato. Il senatore Ivan Scalfarotto (Italia Viva) ha attaccato duramente la maggioranza: «Un patto politico importante era stato siglato, con il voto unanime alla Camera. Si torna indietro all’ultimo minuto. Questa destra fa capire che una stretta di mano può valere nulla».
La relatrice dem Michela Di Biase non ha nascosto lo sconcerto: «È gravissimo riportare in discussione una legge approvata all’unanimità. Farlo, nel giorno simbolico del 25 novembre, è un segnale sbagliato, una brutta pagina nella lotta contro la violenza sulle donne».
L’abbandono dell’aula da parte delle opposizioni è stato definito da alcuni media come un “atto simbolico” per denunciare il rinvio dell’approvazione.
“Serve chiarezza”, dice Bongiorno
Dal fronte della maggioranza, invece, la presidente della Commissione Giustizia, Giulia Bongiorno, ha spiegato che le audizioni richieste servono proprio a colmare alcune “lacune” e a chiarire meglio i contorni delle ipotesi meno gravi incluse nel testo. «Vogliamo rendere la legge migliore, più chiara», ha detto.
Il ministro Ciriani ha invece attribuito la richiesta di rinvio a un’esigenza della Lega, secondo quanto riportato dalle agenzie.
Secondo alcuni commentatori, dietro la scelta di posticipare il voto ci sarebbe una strategia politica: ritardare l’approvazione per evitare che l’emendamento entri in vigore con troppa fretta, riducendo margini di discussione e dibattito.
Il 25 novembre e le aspettative disattese
La data scelta – il 25 novembre – aveva un forte valore simbolico: la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne avrebbe rappresentato un’occasione ideale per chiudere un percorso complesso ma significativo per la tutela dei diritti delle donne.
Invece, la decisione della maggioranza ha creato disorientamento: molte associazioni impegnate nella lotta contro la violenza di genere e diverse esponenti femminili di partiti di opposizione avevano già atteso per celebrare quella che per loro doveva essere una conquista politica e culturale.
Il rinvio apre scenari problematici. Da un lato, incrementa la sfiducia delle opposizioni nei confronti della maggioranza: «Se il testo viene rimesso in discussione, viene meno la fiducia – ha detto Di Biase – nei confronti del governo».
Dall’altro, rischia di compromettere l’urgenza di una normativa considerata da molti come necessaria per riallineare l’Italia ai parametri internazionali: la definizione del consenso è un principio sancito dalla Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha ratificato nel 2013. La sospensione — per quanto motivata con audizioni — viene vista da più parti come un modo per rallentare un processo già complesso e politicamente delicato.
Secondo le parole di Bongiorno, le audizioni richieste dovrebbero arrivare nei prossimi giorni: «Cercherò di chiudere in poche settimane», ha dichiarato.
Tuttavia, le opposizioni chiedono chiarezza sui tempi e garanzie che non si tratti di un rinvio strategico. L’ombra del “voltafaccia” politico resta sul tavolo.
Intanto, al di là dei parlamenti, la società civile, le associazioni e le donne aspettano che si compia finalmente quella “piccola grande rivoluzione culturale” che molti speravano — e temono — trasformi in legge il principio semplice ma potente: senza consenso, non è amore, è reato.
Il paese a un bivio
Se l’introduzione del consenso “libero e attuale” è da molti definita come una conquista storica del diritto e della tutela delle donne, la battuta d’arresto rappresenta un segnale di allarme. In un giorno simbolico come il 25 novembre, quello che doveva essere un voto di civiltà si è trasformato in un braccio di ferro politico con profonde implicazioni.
La sfida ora è duplice: da un lato, riconquistare fiducia e unità parlamentare; dall’altro, non tradire le speranze di chi da anni chiede che la legge si adegui al principio fondamentale del rispetto e della libertà di scelta.
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