White Gallery. Temporary Art Space apre a Roma
Un nuovo spazio per gli artisti
Quando un magazzino abbandonato si trasforma in una «pagina bianca» per l’arte, Roma apre una nuova ferita creativa, come a voler dire che la contemporaneità non è solo nelle gallerie canoniche del centro, ma anche nei luoghi che sembrano “fuori” dal circuito. È il caso della White Gallery – Temporary Art Space, progetto curato da Valentina Ciarallo, che prenderà vita da sabato 15 novembre 2025 a sabato 30 novembre 2025 nello spazio di Lungotevere di Pietra Papa 105, nel quartiere Portuense, sull’ansa del Tevere poco distante dal Gazometro.

Il luogo: un ex magazzino dal sapore industriale, affacciato sul fiume, che promette di diventare “uno spazio fluido, temporaneo e aperto”, come recita il comunicato della galleria promotrice. L’intento: creare un “non luogo” dell’arte contemporanea, dove i confini tra pubblico e privato, opera e visitatore, siano più labili, e dove il sistema dell’arte possa respirare un attimo di libertà.
In questo contesto due mostre gemelle segnano l’inizio: da un lato la personale della pittrice e disegnatrice Marta Roberti; dall’altro quella della fotografa romana Myra Bonifazi. Il messaggio è chiaro: alternanza tra media, tra linguaggi, tra modalità di visione — e la sensazione che Roma possa ospitare un micro‐laboratorio di pensiero visivo.
Marta Roberti: tra metamorfosi e corpo ibrido
La mostra di Marta Roberti alla White Gallery si inserisce in un percorso che da tempo l’artista ha intrapreso: la figura ibrida, l’animale/umano, la metamorfosi come orizzonte simbolico. Nell’apposito annuncio la galleria descrive il suo lavoro – «Autoritratto come Dioniso su giaguaro, 2025, pastello a olio su carta nera cm 220 x 250» – sottolineando come l’opera segni una nuova fase della ricerca. z2o Sara Zanin
Un breve ripasso: Martha Roberti, originaria di Brescia e attiva a Roma, ha studiato filosofia e arti multimediali. In mostre precedenti – come ad esempio In Metamorfosi – si è occupata della trasformazione del corpo, della relazione tra l’umano e l’animale, della figura che si fa mito e ritorna figura.
Nella cornice del nuovo spazio – un luogo che non è completamente galleria “istituzionale”, ma che richiama un’esperienza fluida – il lavoro di Roberti acquista una dimensione ulteriore: non solo “mostrare”, ma “vivere” la metamorfosi in uno spazio che sembra anch’esso temporaneo, incerto, in trasformazione. Il bianco dell’ex magazzino, la “pagina” pronta ad essere scritta, richiama metaforicamente le trasformazioni dell’artista.

Tra gli elementi centrali della ricerca: l’ispirazione ai miti antichi, la memoria delle posture animali e yogiche insieme, il corpo come soggetto in evoluzione. In un’intervista riportata in un precedente allestimento, Roberti dichiarava la sua fascinazione per “cosa può un corpo”, citando Deleuze, e per le posture ispirate agli animali, come nello yoga, dove spesso si assume il corpo dell’animale.
Il risultato: un’alchimia tra il disegno, la pittura e l’immaginario mitologico–animale, che trova nella White Gallery un altrove: un tempo breve (due settimane), uno spazio non tradizionale, un pubblico forse diverso. Questo rende la mostra non solo evento, ma esperienza.
Myra Bonifazi: cielo, luce e meditazione fotografica
Accanto a Roberti la mostra di Myra Bonifazi — intitolata Visioni Temporanee — propone un altro registro: quello della fotografia contemplativa, del cielo, del mare, della luce che diventa forma. Il progetto viene ospitato nello stesso spazio di Lungotevere di Pietra Papa.
Bonifazi, di Roma, già da anni lavora sull’idea del cielo come luogo di trasformazione. In mostre come Le Nuvole (2014) ha presentato scatti che esploravano i cieli di Roma, la leggerezza, la metamorfosi delle nuvole, quell’istante che è già cambiamento.
In Visioni Temporanee l’artista spinge la sua ricerca oltre la mera rappresentazione: le immagini – spiegano i comunicati – vengono “scomposte, rifratte, ricomposte in nuove configurazioni che trasformano il paesaggio in pura forma”.

Così la mostra alla White Gallery assume il carattere di meditazione visiva: il cielo diventa soggetto assoluto, materia dell’opera, campo di astrazione. In uno spazio che invita all’osservazione lenta, all’esperienza del visivo, le fotografie di Bonifazi diventano fine e mezzo: non solo ciò che si vede, ma l’effetto che si produce nel visore dello spettatore.
Tra spazio e tempo: l’ideale dell’effimero
Il termine “Temporary Art Space” non è retorica: indica un impegno limitato nel tempo, uno spazio che vive per una quindicina di giorni, che sfugge alla logica delle mostre lunghe, dell’archiviazione, della permanentità. Questo gesto – lo spostamento verso il temporaneo – porta con sé una serie di implicazioni: più libertà, più rischio, maggiore attenzione all’esperienza e meno all’oggetto “monumentale”.
La scelta del luogo – un ex magazzino affacciato sul Tevere – aggiunge uno strato simbolico: margine urbano, memoria industriale, affaccio sull’acqua. Il fatto che lo spazio sia «non lontano dal Gazometro» suggerisce una zona periferica/in divenire, che dialoga con l’arte contemporanea in un modo non canonico.
Per Roberti e Bonifazi il contesto assume significato: la metamorfosi (Roberti) e la mutazione del cielo (Bonifazi) rispondono bene a uno spazio che sta temporaneamente vivendo un doppio stato: già dismesso e già trasformato. La mostra diventa così anche “in situ”, ovvero strettamente legata al luogo e al tempo specifici.
Così, l’operazione della White Gallery resta inscritta in una tendenza: quella che vede l’arte contemporanea “uscire” dai luoghi consacrati e sperimentare nuovi formati spaziali e temporali. In una città come Roma, ricca di gallerie, archivi, istituzioni, questa sorta di espansione verso “oltre” rappresenta un segnale importante.

L’arte che cerca tempo breve per generare pensiero
In un mondo dell’arte sempre più strutturato, sempre più legato all’evento, al grande allestimento, alla “mostra lunga”, la scelta di un “Temporary Art Space” è in sé dichiarazione. È dire: arte come intermezzo, come apparizione, come ospite in un momento preciso. E in questo senso la White Gallery diventa più che un contenitore: diventa manifesto.

Chi ama l’arte contemporanea, chi è curioso dei formati fuori dal “salotto”, chi vuole misurarsi con lo spazio come esperienza e non solo come cornice, troverà in questo progetto una tappa significativa.
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