La nocciola diventa nodo strategico: Ferrero sospende gli acquisti in Turchia
L’annuncio che scuote la filiera globale di un ingrediente “semplice” dalla portata complessa
Il gigante italiano della dolciaria annuncia una mossa che appare drasticamente semplice e insieme carica di implicazioni: Ferrero sospende temporaneamente gli acquisti di nocciole dalla Turchia, paese che domina la produzione mondiale, a causa di costi in esplosione e di un raccolto gravemente compromesso. L’effetto è immediato: tensione sulla filiera, preoccupazioni per il prezzo dei prodotti – in primis la celebre crema al cacao e nocciola – e interrogativi sulla sostenibilità di un modello di approvvigionamento che per decenni ha fatto della Turchia la “regina” delle nocciole.

La scelta di sospendere gli acquisti non va letta come una decisione isolata o punitiva, bensì come una mossa di gestione del rischio storico e strutturale. Le ragioni sono evidenti e multiple:
Calo del raccolto: nella regione del Mar Nero, che assicura la gran parte della produzione turca di nocciole (che a sua volta copre circa i 2/3 della produzione mondiale), la combinazione di gelate tardive e infestazione da cimice asiatica ha fatto precipitare le stime del raccolto ben al di sotto delle 500 mila tonnellate, rispetto alle 600‑700 mila “normali”.
Prezzi schizzati: in questo scenario l’offerta si contrae mentre la domanda rimane, spingendo i prezzi delle nocciole naturali a salire da circa 9.000 $/tonnellata a circa 18.000 $ in pochi mesi.
Mercato “bloccato”: i produttori‑intermediari turchi, anticipando la mossa dei grandi acquirenti, starebbero trattenendo gli stock sperando in ulteriori rialzi, rendendo ancora più complicata la negoziazione.
Strategia di copertura: Ferrero ha dichiarato di avere “una copertura molto ampia” grazie a scorte proprie e ad acquisti in altri paesi (Cile, Stati Uniti, Italia) e dunque di poter permettersi una pausa nelle importazioni turche, aspettando condizioni più ragionevoli.
La Turchia, fino ad oggi “regina incontrastata” della nocciola, vive questa decisione non solo come un’apparente perdita di mercato ma come un segnale di fragilità. I piccoli agricoltori, che già lamentavano condizioni difficili, vedono un doppio colpo: raccolto azzerato o vicino allo zero e prezzi elevati che tuttavia non sempre bastano a compensare i costi crescenti del lavoro e dei mezzi agricoli.
I commercianti turchi, a loro volta, sono in allarme: se uno dei principali clienti decide di sospendere i flussi, il rischio è che il mercato interno si blocchi o che gli stock “fuggano” verso chi offre condizioni peggiori o più urgenti. Alcuni esportatori già avvertono che la quota turca nel mercato globale della nocciola potrebbe perdere terreno, a vantaggio di nuovi produttori in Cile, in Italia o negli Stati Uniti.

In Italia, questa decisione risuona forte: Ferrero è un attore chiave nel settore alimentare, e la sua gestione della filiera nocciola ha implicazioni anche per consumatori, distributori e concorrenti. Due sono gli effetti principali:
Rischio costo‑materia e conseguente possibile aumento dei prezzi: la crema al cacao e nocciola (e molti altri prodotti a base nocciola) potrebbero trovarsi a dover assorbire costi maggiori. Se l’azienda non li recupera subito, potrebbe essere costretta a ridurre margini o ad alzare i prezzi.
Accelerazione della diversificazione produttiva: la scelta di attingere a fonti extra‑Turchia diventa più accentuata. Ciò significa investimenti in nuove filiere, paesi‑fornitore, tecnologie, ma anche un riposizionamento strategico sul lungo termine. Per l’Italia può aprire opportunità, ma anche competizioni: la nocciola italiana potrebbe essere valorizzata, ma dovrà sostenere qualità, costi e volumi.
Il mercato delle nocciole è diventato sempre più oggetto di speculazione: vista l’importanza dell’ingrediente per prodotti iconici, la sua offerta è “sensibile” a condizioni climatiche, malattie vegetali, costi del lavoro e valute locali.
In questo contesto, la decisione di Ferrero assume il profilo di un “grande test” della resilienza di una filiera planetaria che ha nella Turchia il suo pilastro. Se il pilastro vacilla, l’intero edificio si muove.
Se i costi restano elevati e le alternative non coprono tutto il fabbisogno, è plausibile che parte dell’aumento venga trasferita ai clienti finali. Anche se l’azienda potrà cercare di ritardare tale passaggio per non danneggiare l’immagine del marchio.

La crisi può costringere a un ripensamento: investimenti in nuovi paesi produttori, maggiore integrazione a monte della filiera, incentivi alla produzione in Europa o Nord America, maggiore diversificazione. In questo scenario l’Italia potrebbe giocare una partita più rilevante, se mette a sistema qualità, identità e filiere sostenibili.
Non mancano le critiche. Alcuni agricoltori turchi accusano Ferrero di utilizzare il suo peso contrattuale per “bloccare” un mercato quando gli fa comodo, e di non valorizzare sufficientemente il produttore locale. D’altro lato l’azienda risponde che la decisione deriva da condizioni di mercato straordinarie e che l’intento è preservare la sostenibilità della catena a lungo termine.
Inoltre, la questione assume anche una dimensione etica e ambientale: produzione agricola, cambiamento climatico, lavoro stagionale e condizioni dei raccoglitori sono temi centrali in questa filiera. La sospensione degli acquisti non può essere considerata solo un fatto economico, ma anche un segnale della fragilità del sistema.
Per molti operatori italiani, questo momento rappresenta un’occasione. L’Italia ha produzioni di nocciola (Piemonte in primis) che potrebbero essere valorizzate: qualità certificata, filiera corta, immagine “made in”. Tuttavia, per trasformare l’occasione in realtà serve volontà, investimenti, infrastrutture e politiche di supporto. Se non agisce, rischia di perdere lo “slot” che ora si apre.

La decisione di Ferrero di sospendere gli acquisti di nocciole in Turchia è un segnale potente: non solo un episodio di mercato, ma una cartina al lingua delle contraddizioni di una filiera globale che da decenni funziona in un certo modo — e che ora si trova a dover cambiare. Per gli agricoltori turchi è un campanello d’allarme; per i produttori alternativi un’occasione; per l’industria dolciaria e per i consumatori italiani un momento di riflessione: quanto è sostenibile il nostro “gusto” se l’ingrediente risultasse carente? Ferrero sta esplorando nuovi mercati alternativi per comprendere e programmare come si potrà muovere il mercato nei prossimi anni.
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