Una bobina superconduttrice “da fusione” supera il test che accelera la corsa all’energia del futuro
Nel cuore della ricerca sulla fusione nucleare, un traguardo tecnico chiave è stato superato: la prova di una bobina superconduttrice in grado di operare in condizioni vicine a quelle di un reattore commerciale. Questo risultato potrebbe essere una tessera fondamentale nel mosaico che porta all’energia pulita praticamente illimitata.
Il test e i suoi risultati
Una startup giapponese, attiva nella progettazione di reattori a fusione di tipo “stellarator”, ha annunciato di aver condotto con successo il primo test al mondo su una bobina superconduttrice ad alte prestazioni (HTS — high temperature superconductor) progettata per l’ambito della fusione nucleare. La prova ha avuto luogo a 15 K (circa ‑258 °C) sotto un campo magnetico di 7 tesla, durante la quale la bobina ha mantenuto una corrente stabile di 40 kA.
Questo dato è di rilievo perché simula un ambiente operativo tipico dei reattori a confinamento magnetico — che richiedono campi intensi e condizioni super‑critiche per contenere il plasma incandescente.
L’importanza di tale test sta nel superare vari “colli di bottiglia” tecnici: il raffreddamento, la gestione delle forze elettromagnetiche che agiscono sulla struttura della bobina, la stabilità della corrente in condizioni estreme, e la riproduzione di un campo magnetico comparabile a quelli che serviranno nei prototipi commerciali.

Perché una bobina superconduttrice è centrale nella fusione
I reattori a fusione magnetica (tokamak, stellarator e altre architetture) hanno bisogno di campi magnetici enormi per confinare un plasma a decine o centinaia di milioni di gradi, stabilizzarlo, evitarne il contatto con le pareti e ottenere reazioni di fusione efficienti. Generare campi magnetici così intensi richiede correnti gigantesche e bobine che, per non dissipare energia in calore, sono idealmente realizzate in materiali superconduttori (cioè senza resistenza elettrica).
L’adozione dei superconduttori significa consumare meno energia per il magnete, ridurre la massa delle strutture, abbassare i costi di esercizio e rendere il sistema complessivo (reattore + magneti + criogenia) più efficiente e praticabile commercialmente. In passato molte prove rimanevano su scala ridotta o in condizioni “semplificate”. Oggi si tratta di portare le bobine al livello richiesto per dispositivi dimostrativi che saranno i prototipi di centrali da fusione.
Il test giapponese si inserisce in un momento in cui la fusione nucleare — pur non essendo ancora commerciale — ha accumulato una serie di avanzamenti significativi:
Negli ultimi anni sono stati progettati e in alcuni casi costruiti reattori sperimentali nel mondo: il progetto europeo ITER (in Francia) è il più noto, con bobine superconduttrici di grande scala in costruzione da anni.
Le progetti come lo DTT (Divertor Tokamak Test) in Italia prevedono laboratori appositi per testare magneti superconduttori: a Frascati è stato inaugurato di recente un laboratorio specifico per collaudare queste componenti in condizioni estreme.
Le ricerche sui materiali superconduttori ad alta temperatura (HTS) hanno fatto passi avanti: nuovi nastri conduttori, nuove geometrie di bobine, nuove tecniche di raffreddamento e supporti meccanici.
Le startup private – negli Stati Uniti, Europa, Asia – stanno entrando nella corsa alla fusione, contribuendo con approcci più agili, innovazione materiale e partnership pubblico‑private.
In questo panorama, il test della bobina HTS giapponese rappresenta un tassello che dimostra concretamente che una delle componenti critiche non è più soltanto teorica o in laboratorio, ma in via di entrata nel mondo “reale” della fusione.

Implicazioni pratiche e strategiche
Riduzione delle dimensioni e dei costi dei reattori: se le bobine HTS possono operare con campi magnetici molto più elevati o con infrastrutture più compatte, allora un reattore commerciale potrà essere più piccolo, più veloce da costruire e meno costoso.
Accelerazione verso la rete elettrica: l’obiettivo delle centrali a fusione è produrre energia in eccesso, in modo da immetterla nella rete. Una bobina più performante significa un confinamento migliore, più tempo di funzionamento stabile, minori perdite e quindi avvicinarsi a quel «break even» e oltre che ancora manca in molti esperimenti.
Competizione globale e leadership tecnologica: chi padroneggia la tecnologia dei magneti superconduttori per fusione acquisisce un vantaggio competitivo enorme. Le nazioni e le aziende che raggiungono questa capacità avranno un peso maggiore nel futuro energetico del pianeta.
Sinergie e industrie emergenti: materiali superconduttori, criogenia, avvolgimento di bobine, supporti meccanici, software di controllo: ogni segmento dell’ecosistema ne trae beneficio, creando un volano industriale.
Transizione energetica e sostenibilità: la fusione è vista come l’ultima frontiera dell’energia pulita: combustibile praticamente inesauribile (idrogeno, deuterio, trizio), zero emissioni dirette di CO₂, rifiuti radioattivi minimi rispetto alla fissione. Ogni progresso tecnologico concreto come questo test della bobina avvicina tale visione al piano pratico.
Quando una bobina superconduttrice “esce” dallo stato superconduttivo si genera un quench che deve essere gestito in modo sicuro e rapido per evitare danni irreversibili. Le infrastrutture di protezione devono essere affidabili.
Integrazione nel sistema reattore: non basta che la bobina funzioni; deve essere integrata con il plasma, con il criostato, con i sistemi di alimentazione elettrica, raffreddamento, diagnostica. Il sistema totale deve essere bilanciato.
Costruire una bobina performante per test è diverso da costruire dozzine o centinaia di bobine per un reattore commerciale. Occorre capacità di produzione, automazione, standardizzazione e controllo dei costi.

Cosa cambia per l’Italia e l’Europa
L’Italia, con il progetto DTT e con laboratori come quello di Frascati, è entrata anch’essa nella mappa della fusione magnetica di nuova generazione. Il fatto che in Europa si stiano creando infrastrutture per testare magneti superconduttori significa che la “catena tecnologica” (materiali, costruzione, test, integrazione) non è più solo concentrata negli USA o in Asia, ma è distribuita anche in altre regioni. Questo fa bene alla diversità tecnologica, alla formazione di competenze e alla sovranità energetica.
In Europa, la fusione è anche una priorità strategica: l’Unione Europea finanzia progetti tramite programmi come EUROfusion, e puntare sui magneti HTS significa accorciare i tempi di transizione verso centrali da fusione. In questo senso, il test della bobina non è solo un risultato tecnico, ma una leva geopolitica: chi domina i materiali e la magnetica entra nella partita energetica globale.

Il test della bobina superconduttrice rappresenta un tassello fondamentale in quella che potrebbe essere una delle rivoluzioni tecnologiche del nostro tempo: l’energia da fusione. Non si tratta soltanto di una “bella notizia” per la ricerca, ma di una pietra miliare che segna la capacità di superare limiti precedentemente considerati insormontabili.
Il cammino verso una centrale da fusione commerciale è ancora lungo: decenni forse, costi elevati, complessità tecniche immense. Ma risultati come questo ci dicono che i grandi ostacoli stanno cadendo uno dopo l’altro. Le bobine superconduttrici, un tempo componente “critica” per definizione, si stanno dimostrando affidabili, scalabili, realistiche.
In quest’ottica, la fusione — spesso descritta come “l’energia del sole sulla Terra” — si avvicina sempre di più a diventare “energia reale sulla Terra” e l’energia del futuro potrebbe illuminare il presente molto prima di quanto si pensi.
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