Mahmoud Abbas (Abu Mazen): la pace «unica via» ma il dialogo resta bloccato
Nelle ultime ore, il presidente dell’Palestinian Authority Mahmoud Abbas, noto come Abu Mazen, ha lanciato un messaggio che intende essere sia un appello che un monito: «Il dialogo è l’unica via per la pace con Israele», ha affermato, pur sottolineando che non esistono canali di comunicazione diretti con lo Stato ebraico. La dichiarazione giunge nell’ambito del drammatico aggravarsi della situazione nella Striscia di Gaza, dove l’escalation militare e umanitaria ha spinto Abbas a un colloquio con il Pontefice, definendo la crisi «terribile».
Il messaggio è chiaro: da una parte la volontà dichiarata di negoziare, dall’altra la constatazione amara che le condizioni pratiche di dialogo sono assenti. Un doppio binario che racconta la fragilità del processo di pace e la precarietà della leadership palestinese in un contesto drammatico e in evoluzione.

Un annuncio dal peso simbolico
Abu Mazen ha parlato in un momento cruciale. Nel suo intervento ha richiamato l’attenzione internazionale sulla necessità di riprendere il confronto, dichiarando che la strada della pace è «l’unica». Ma ha anche evidenziato un dato di fatto: non esistono contatti diretti tra Tel Aviv e Ramallah — una situazione che rende il dialogo, al momento, più una aspirazione che una realtà negoziale.
«Siamo pronti al dialogo», ha detto, «ma non possiamo trattare se le nostre controparti non siedono». Il suo messaggio assume così una duplice valenza: da un lato rivendica la legittimità dell’Autorità Palestinese come interlocutore della pace; dall’altro evidenzia l’isolamento in cui si trova.
Contestualmente, l’incontro con il Papa — al quale Abbas ha chiesto una maggiore mobilitazione della comunità internazionale — ha ribadito la gravità della situazione nella Striscia: bombardamenti, migliaia di morti, sfollati, infrastrutture distrutte. Una catastrofe dalla quale, secondo la leadership palestinese, non è possibile uscire senza un accordo politico.
Il quadro di guerra nella Striscia di Gaza
Nella Striscia di Gaza la crisi è drammatica: secondo fonti internazionali, la popolazione vive ormai in condizioni quasi catastrofiche, con ampie zone dichiarate “zona di combattimento”, centinaia di migliaia di sfollati, infrastrutture sanitarie al collasso. Il conflitto tra Hamas, che rimane la forza dominante a Gaza, e lo Stato d’Israele, resta la cornice entro la quale si muovono tutti gli altri attori.
Abu Mazen, nella sua dichiarazione, ha sottolineato che l’Autorità Palestinese non ha controllo sulla Striscia e che ogni decisione — militare o di ricostruzione — viaggia al di fuori del suo comando. Questa separazione efficace tra Ramallah (Cisgiordania) e Gaza rappresenta una delle principali criticità del progetto nazionale palestinese. La richiesta di Abu Mazen è dunque duplice: da una parte chiedere che la Striscia venga inclusa nei negoziati, dall’altra che la sua Autorità torni a essere parte attiva — e non esclusivamente spettatrice — del processo.

Il ruolo dell’Autorità Palestinese e le sue difficoltà
Abu Mazen presiede l’Autorità Palestinese dal 2005 e guida la Fatah, la principale organizzazione politica palestinese. Tuttavia la sua leadership è afflitta da limiti di legittimità: le ultime elezioni si sono svolte ormai molti anni fa, la struttura interna appare invecchiata e la fiducia popolare è in calo. La divisione con Hamas, che controlla Gaza dal 2007, ha creato un duplice centro di potere all’interno del mondo palestinese.
In più, l’Autorità ha instaurato una cooperazione di sicurezza con Israele nella Cisgiordania che molti palestinesi considerano una forma di subordinazione, indebolendo la sua presa sul terreno. Abbas ha tentato in passato di produrre riconciliazione interna e di presentarsi come interlocutore credibile nei negoziati ma con pochi risultati.
Oggi la sua dichiarazione funge anche da segnale: l’Autorità Palestinese vuole ritornare sulla scena, rilanciarsi come parte attiva del processo di pace. Ma la mancanza di comunicazioni dirette con Israele è un ostacolo concreto. Senza apertura di canali e senza un negoziato strutturato, la “via della pace” resta al momento un’affermazione ideale.
La ragione è multilaterale e complessa. Da parte israeliana molti vedono l’Autorità Palestinese come un soggetto debole ed inefficace, e preferiscono trattare – se lo fanno – attraverso mediatori regionali (Egitto, Qatar) o direttamente con Hamas. Dall’altra, la frammentazione del potere palestinese, l’assenza di elezioni, la difficoltà di identificare un successore di Abbas, riducono l’affidabilità percepita di Ramallah come interlocutore.
Inoltre, la guerra nella Striscia ha spostato l’asse del conflitto: Israele concentra le operazioni su Hamas e su questioni di sicurezza militare; l’Autorità Palestinese non ha voce in capitolo sul campo e all’estero. Questo squilibrio impedisce l’avvio di un dialogo pienamente bilanciato.

Le reazioni e le implicazioni diplomatiche
La dichiarazione di Abu Mazen ha stimolato diverse reazioni: il Vaticano ha registrato l’appello come segnale di apertura; alcune capitali arabe hanno sottolineato l’importanza di sostenere l’Autorità Palestinese nei negoziati futuri; Israele invece non ha ancora modificato la propria linea ufficiale.
Dal lato palestinese, alcuni esponenti dell’opposizione e della società civile contestano Abbas, accusandolo di essere troppo debole e poco credibile. Il fatto che la sua Autorità sia esclusa dalla Striscia di Gaza gli viene spesso rimproverato.
Da un punto di vista regionale, il messaggio arriva in un momento in cui le potenze arabe cercano un nuovo assetto mediorientale: accordi di normalizzazione, rilanci diplomatici, investimenti nella ricostruzione della Striscia. L’Autorità Palestinese vuole inserirsi in questo nuovo contesto e ribadire che «la pace» non può essere costruita escludendo Ramallah.
Il percorso è tortuoso: senza adesione di Israele al dialogo diretto, senza modifiche interne palestinesi e senza condizioni stabili ambientali, la dichiarazione della “via unica” rischia di rimanere un monito piuttosto che un inizio.

La nuova dichiarazione di Mahmoud Abbas segna un momento simbolico e strategico: l’Autorità Palestinese vuole riprendere il proprio ruolo da protagonista nel processo di pace. Ma le condizioni per un dialogo reale sono oggi fragili e incomplete.
Il conflitto nella Striscia di Gaza, l’assenza di canali diretti con Israele, la divisione interna palestinese e le pressioni regionali rendono il cammino estremamente complesso. Ecco perché, pur richiamando la pace, Abbas sottolinea l’isolamento al quale è costretto: «La pace è unica via, ma non possiamo imboccarla da soli».
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