L’uomo che non vuole morire
Viaggio nella mente di Bryan Johnson
Nel mondo della tecnologia e del capitale di rischio, c’è un uomo che ha trasformato la propria esistenza in un esperimento sul tempo: Bryan Johnson. Conosciuto per aver venduto la propria società di pagamenti elettronici per oltre 800 milioni di dollari, ha oggi un obiettivo fuori dal comune: non solo vivere più a lungo, ma — nella sua visione — sospendere, rallentare o magari superare i confini biologici della morte.
La sua storia — e quella del progetto che porta avanti — ci spinge a interrogarci su cosa significhi davvero «essere vivi» in un’era in cui la tecnologia, il corpo e la scienza convergono in modi sempre più radicali.
Dalle origini al “Project Blueprint”
Johnson è nato nel 1977 a Provo, Utah, e ha fondato società diventate rapidamente di successo. Dopo la vendita della storica Braintree a PayPal, ha iniziato a cercare un nuovo scopo: non più solo generare profitti, ma cambiare ciò che consideriamo inevitabile: l’invecchiamento.
È così che nel 2021 ha annunciato il suo “Project Blueprint”, un regime estremo e metodico volto a misurare, tracciare e ottimizzare ogni aspetto del suo corpo e della sua vita: dal sonno ai biomarcatori, dalla dieta alle infusioni, passando per scan e test continui.
Nel corso degli anni ha dichiarato che il suo corpo oggi raggiunge parametri biologici da “18enni” o “top 1,5% degli 18enni” in alcune categorie, e che celebra un “compleanno” ogni 19 mesi, in base alla velocità con cui sostiene di stare invecchiando.

Routine, cifre, ambizioni
La routine di Johnson è tanto ossessiva quanto costosa. Il suo budget annuale per questa ricerca personale sarebbe di circa 2 milioni di dollari: supplementi quotidiani (oltre cento al giorno), dieta rigidissima, scansioni, analisi, terapie sperimentali.
La logica alla base? Trasformare la morte non in un fatto inevitabile ma in un «problema tecnico» da risolvere. Lo ha detto in un’intervista recente: « Tu, Bryan Johnson, un giorno morirai?» «False», ha risposto.
Il suo obiettivo non è solo vivere più a lungo, ma estendere la vita in modo radicale — forse fino a 150, 180 anni o più — e integrare corpo, mente e tecnologia.
Ma non è un viaggio senza zone d’ombra: critici lo accusano di eccesso, di scienza che ancora non ha dimostrato certe affermazioni, di trasformazione fisica estetizzata.

Le tappe più controverse
Trasfusioni di plasma dal figlio: una delle pratiche più discusse. Johnson ha ammesso di aver fatto sei mesi di plasma (il donatore era suo figlio) e di aver interrotto dopo aver dichiarato «nessun beneficio rilevato».
Restrizione calorica, biomar-catori e scansioni continue: nel suo blog confessa che la restrizione calorica estrema lo aveva portato a sembrare “malato” pur migliorando i valori.
Routine del sonno e supplementi: cena alle 11 del mattino, a letto alle 20:30, più di 100 pillole al giorno. Ogni aspetto è misurato, contabilizzato, ottimizzato.
Problemi estetici e rischi: per esempio una reazione allergica grave dopo un’iniezione per “iniettare grasso” nel volto per riacquistare volume – un segno che anche il super-rigore può avere ricadute.
Di recente Johnson ha dichiarato che potrebbe vendere o chiudere la sua azienda anti-invecchiamento, perché diventata troppo faticosa e con obiettivi che si stanno spostando su una dimensione più ideologica/spirituale.
Il contesto della “longevità tech”
Johnson non è un caso isolato, ma rappresenta una punta estrema di un iceberg culturale che ha radici in Silicon Valley: la trasformazione del corpo in dato, l’ottimizzazione bio-digitale, la volontà di superare i limiti biologici. Un podcast recente ha dedicato un episodio a questa tendenza, citando Johnson come esempio del “non morire” come imperativo tecnico.

L’idea stessa di “età biologica” — diversa dall’età cronologica — sta diventando oggetto di aziende biotech, test genetici e start-up che promettono di “ringiovanire” o rallentare l’invecchiamento. Tuttavia, molti scienziati fanno cautela: la scienza finora non ha stabilito protocolli affidabili per l’inversione dell’età biologica, e il rischio è che il marketing superi la verifica clinica.
Così Johnson appare al contempo come pionere e come simbolo di un’eccessiva fiducia nella tecnologia applicata al corpo umano.
Sul piano personale, la storia di Johnson solleva domande profonde: fino a che punto è sensato investire così tanto nella propria longevità? Quali sono i margini di beneficio reale, e quali quelli di vanità, branding o auto-sperimentazione?
Una riflessione che possiamo trarre è questa: al di là dell’uomo specifico, la sua storia è una lente attraverso cui guardare come stiamo ripensando corpo, tempo e salute in un’epoca tecnologica. Johnson ha scelto di vivere come un laboratorio vivente, pubblico, documentato. Non tutti vogliono — o possono — farlo. Ma tutti, in un certo modo, dobbiamo confrontarci con l’incertezza che da millenni accompagna l’essere umano: l’invecchiamento, la malattia, la morte.

Johnson afferma che alcuni marcatori sono “migliori che mai”, che l’età biologica è inferiore a quella cronologica, che il corpo ha parametri straordinari. Ma al tempo stesso ammette che la scienza non ha ancora risposte definitive sull’immortalità, e che il progetto richiede ancora anni di sperimentazione.
Johnson dice: “Il mio obiettivo è che gli altri possano imparare da ciò che faccio. Non fosse altro, trasformare l’invecchiamento in qualcosa che possiamo gestire, misurare e migliorare.” Ma anche lui riconosce che il «finale» della storia — la vera immortalità, se esiste — è ancora da scrivere.
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