Trump nel vortice della politica globale e interna
 
            Donald Trump detta il passo in un’agenda fitta di annunci, tensioni internazionali e battaglie interne che rischiano di ridefinire non soltanto la scena statunitense, ma l’intero equilibrio geopolitico occidentale. Dai colloqui con Xi Jinping alla dichiarazione di voler riprendere i test nucleari, passando per una campagna tariffaria-agenda attraversata dal tema dei “rare earth” e dalla richiesta di “sovranità” nazionale: il presidente non si ferma.
L’incontro con Xi Jinping e la svolta nei rapporti Usa-Cina
Il 30 ottobre 2025, Donald Trump ha incontrato Xi Jinping a Busan (Corea del Sud), in occasione della conferenza dell’Asia‑Pacific Economic Cooperation (APEC). Il presidente statunitense ha definito l’incontro “12 su 10”, annunciando accordi lato dazi, materie prime e tecnologia. Tra i punti salienti: la Cina si impegna a riprendere l’acquisto di soia americana, la sospensione di alcune tariffe Usa verso Pechino, e un’intesa sulla fornitura di terre rare – fondamentali per l’industria high-tech.
Contestualmente, Trump ha dichiarato che la disputa sui “rare earth” è “settled” (“risolta”), gettando le basi per un nuovo paradigma di cooperazione economica fra le due superpotenze.
Tuttavia, gli analisti evidenziano che il linguaggio resta vago: non sono ancora chiare le tempistiche né i dettagli tecnici dell’accordo, e i capitoli più spinosi, come la proprietà cinese della piattaforma TikTok o la regolazione dei semiconduttori, restano in sospeso.
La svolta nucleare: test delle armi e alleati armati
In un annuncio che scuote l’intero assetto di deterrenza internazionale, Trump ha ordinato al United States Department of Defense di «riprendere immediatamente i test delle armi nucleari», dopo oltre trent’anni di moratoria. Ha affermato che «a causa dei programmi di altri Paesi, ho disposto che il nostro Dipartimento della Difesa inizi subito».
Parallelamente, ha dato il via libera alla Corea del Sud per dotarsi di un sottomarino nucleare, smarcandosi da decenni di prudente diplomazia nella regione Asia-Pacifico. La mossa apre un nuovo capitolo nella corsa agli armamenti e nella post-guerra fredda, innescando allarmi fra alleati Nato e partner asiatici per le implicazioni strategiche a lungo termine.
Al di là dell’effetto-shock, va osservato che la dichiarazione del presidente è stata seguita da poca chiarezza tecnica: non è stato definito quali sistemi saranno testati, quando inizieranno né quali limiti verranno applicati. Rimane, comunque, l’evidenza che il messaggio politico-militare è forte.
Politica interna, giustizia e proteste in crescita
Sotto traccia rispetto allo scorrere della politica estera, l’agenda interna del presidente è attraversata da tre correnti: una serie di battaglie legali, la riorganizzazione del proprio staff, e un movimento sociale in piena espansione.
– Trump si è mosso per la grazia o la commutazione di condanne: fra queste, la decisione di concedere la commutazione della pena al former congressman George Santos, condannato per frode e furto d’identità.
– Ha nominato Dan Scavino al vertice dell’Ufficio Presidenziale per il Personale, accentrando fra le sue mani la selezione delle cariche federali durante un momento di paralisi del Congresso.
– E infine, il movimento dei “No Kings” – insieme di manifestazioni nazionali che critica la deriva autoritaria percepita dell’amministrazione – ha visto un picco il 18 ottobre 2025 con oltre 5 milioni di partecipanti stimati. Le proteste riflettono una polarizzazione crescente che travalica la politica partitica e investe la domanda di democrazia sostanziale.

La scena attuale non può essere letta senza fare i conti con la strategia di Trump: dal suo primo mandato al trionfo elettorale del 2024, passando per la galassia delle sue alleanze e oppositori.
Durante la sua prima presidenza (2017-2021) aveva avviato una guerra commerciale con la Cina, nominato giudici conservatori, attaccato la stampa, e imposto una visione «America First». Dopo due anni fuori dall’Ufficio Ovale, è tornato al potere con una piattaforma più radicale: dai controlli migratori serrati alle politiche energetiche orientate all’estrazione. Il suo staff – composto da fedelissimi – ha promesso «una svolta storica» nel governo federale, rivoluzionando regole, diritti e istituzioni.
Questo retroterra alimenta l’attuale escalation: la scelta nucleare, le ambizioni nel Pacifico, e la riforma delle norme interne sono la continuazione di un disegno aggressivo, non un momento isolato. Il fatto che Trump dichiari di sapere di non poter correre per un terzo mandato (perché costituzionalmente limitato a due) e tuttavia esprima “mi piacerebbe farlo” segnala una tensione fra il suo protagonismo e i vincoli istituzionali.
Impatto esterno – L’incontro con la Cina, se concretizzato, può allentare la pressione tariffaria e dare ossigeno all’agricoltura americana (in particolare negli stati-chiave della coalizione repubblicana). Ma la ripresa dei test nucleari e la produzione di armi avanzate rischiano di rompere l’equilibrio strategico e aumentare la corsa agli armamenti globale.
Impatto interno – Le proteste crescenti e le tensioni con le istituzioni giudiziarie (come la decisione di Trump di “sfidare” il proprio Dipartimento di Giustizia) mettono a rischio la coesione del sistema politico. Se la polarizzazione continuerà, potrebbe indebolire la capacità di governo e alimentare conflitti istituzionali.
Scenario economico – Con la riduzione dei dazi annunciata verso la Cina, alcune filiere americane possono sperare in una ripresa; tuttavia le misure difensive in ambito energetico e militare comporteranno investimenti pubblici massicci e possibili pressioni sul debito.
Scenario istituzionale – Il modello di governo di Trump sembra oscillare fra la legittimità istituzionale e pratiche più personalistiche. Se la linea si spingerà verso un accentramento di potere, gli effetti sulla democrazia americana potranno essere profondi.

Gli Stati Uniti – in questa fase della sua storia – appaiono sospesi fra continuità e discontinuità. Da un lato, la democrazia formale continua a reggere: elezioni, media, opposizioni esistono. Dall’altro, il paradigma del potere è stato riscritto: il presidente si comporta come un marcatore la cui parola cambia politiche, diplomazie, finanze e strategia militare.
In questo quadro, Trump non è più il “outsider” che aveva conquistato la Casa Bianca una prima volta: oggi è il custode, per alcuni il distruttore, dell’assetto americano-occidentale. Il suo secondo mandato si muove fra la promessa di una “età dell’oro” americana e l’avvertimento forte che senza un’azione determinata il rischio è di perdere la leadership globale.
Se l’incontro con la Cina segna un passo diplomatico verso la riduzione delle tensioni, la ripresa dei test nucleari segna invece un salto verso l’ignoto. Dentro gli Usa, la pace sociale mostra screpolature: tra scelte politiche drastiche, opposizione forte e movimenti di massa.
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