Auto Ue, mancano chip: imminente stop produzione
 
            Il volto della mobilità europea ha rivelato una nuova fragilità. Mentre l’industria dell’auto nella European Automobile Manufacturers’ Association (ACEA) lancia l’allarme: senza nuovi semiconduttori prodotti dalla Nexperia o destinati all’Europa, alcune fabbriche sarebbero “a pochi giorni” dallo spegnimento delle linee di montaggio.
Questo nuovo allarme arriva in un momento in cui il settore automobilistico europeo già convive con molteplici sfide: la trasformazione verso l’elettrico, la carenza di manodopera qualificata, costi dell’energia elevati e una domanda incerta. Ma la mancanza di chip in questo caso rappresenta un problema che lega insieme geopolitica, catene globali di fornitura e la struttura stessa della produzione industriale europea.
Il blocco alle porte
Nei giorni scorsi l’ACEA ha ufficialmente segnalato che alcuni produttori europei – tra cui marchi storici della mobilità continentale – stanno attingendo alle scorte di emergenza mentre le consegne dei chip a bassa complessità destinati alle centraline dei veicoli sono in rapido esaurimento.
La crisi deriva da una specifica vicenda: Nexperia, azienda con stabilimenti in Europa ma con forte legame alla Cina, è al centro di una disputa tra il governo olandese e Pechino dopo che l’Olanda ha assunto il controllo dell’impresa per ragioni di sicurezza nazionale. In risposta, la Cina avrebbe bloccato l’export di alcuni chip verso l’Europa.
Il risultato: la produzione delle auto, che oggi richiede un gran numero di semiconduttori anche per funzioni “semplici” rispetto ai chip per smartphone o server, rischia di fermarsi. Un documento dell’ACEA descrive la situazione come “critica giorno dopo giorno”.

Le fabbriche di auto nelle maggiori economie europee (Germania, Italia, Francia, Spagna) non sono immuni: con catene del valore che attraversano continenti, una micro-rotazione può provocare effetti immediati in montaggio, logistica e consegna al cliente finale.
Perché il settore auto è così vulnerabile
Non è una novità che l’industria automobilistica dipenda da componenti elettronici sempre più sofisticati. Già nel corso della crisi iniziata con la pandemia, la carenza di chip aveva bloccato linee e rallentato consegne.
In questo contesto, una singola azienda come Nexperia può diventare fattore di rischio sistematico per decine di migliaia di posti di lavoro e per la continuità della produzione.
Dietro la catena produttiva
A Wolfsburg, uno stabilimento della Volkswagen AG lavora a pieno ritmo mattina e pomeriggio, ma l’euforia è mitigata da un messaggio sottobanca: “Potremmo dover fermarci se certe forniture non arrivano entro fine novembre”. Un operatore racconta che la catena di montaggio è già stata ridotta una volta, andando in “stand-by” alcuni giorni per mancanza di moduli.
In Piemonte, uno stabilimento di componenti elettronici ha ricevuto l’ordine “massimo urgenza”: trovare un’alternativa delivery per chip bassa complessità entro tre settimane o altrimenti blocco. Il fornitore ha mobilitato un network asiatico, ma la logistica e le certificazioni rischiano di ritardare.
Infine, un concessionario francese racconta: “Alcuni clienti aspettano auto ordinate sei mesi fa. Ora arrivano comunicazioni che la consegna slitterà di altre 4–5 settimane perché ‘componenti non disponibili’”. Questo allunga i tempi di immatricolazione e mette pressione sulle vendite annuali.

La situazione alimenta un senso di urgenza nella politica industriale europea: già la European Chips Act aveva fissato l’obiettivo di aumentare la produzione europea di chip al 20% del totale mondiale entro il 2030, ma un audit ha definito questo target “profondamente disconnesso dalla realtà”.
A livello numerico, la crisi del 2020-23 aveva già segnato che le auto contengono in media tra i 1.400 e 1.500 chip ciascuna, con alcune fino a 3.000, e che il settore auto rappresentava circa il 15% della domanda mondiale di semiconduttori.
Ora, la nuova emergenza mette in evidenza come la dipendenza dell’industria automobilistica da poche aziende produttrici di chip (e da pochi paesi) rappresenti un rischio strategico.

Le prossime settimane saranno cruciali per capire se la catena si rompa o se le scorte riusciranno a tenere. In un “scenario pessimistico”, alcune linee di produzione in Europa potrebbero fermarsi temporaneamente: misure che verrebbero dichiarate come “manutenzione programmata” ma che nascondono la mancanza di componenti.
In uno “scenario moderato”, le case automobilistiche riusciranno a gestire il problema con riduzioni di produzione pianificate, evitando fermate totali ma comunque con impatti su volumi, tempi di consegna e utili.
Il settore automobilistico europeo non può più considerare i chip come una commodity e deve costruire una strategia autonoma e resistente, considerando tempi, tecnologie e geopolitica.
Le istituzioni europee e nazionali sono chiamate a un salto qualitativo: investimenti, infrastrutture, formazione e politiche industriali devono essere orientate in ottica di “sovranità” tecnologica, non solo “competitività a breve”.
Gli analisti sottolineano che la produzione automobilistica europea è un ecosistema complesso e interconnesso: quando una parte si inceppa, l’effetto domino è rapido e potenzialmente grave.
Per i consumatori, le implicazioni potrebbero tradursi in tempi di attesa più lunghi, offerte promozionali più rare, e forse una leggera risalita dei prezzi dei veicoli nuovi. Per l’industria, invece, la lezione è chiara: la trasformazione verso l’elettrico, connesso e autonomo non può prescindere da una catena di fornitura altrettanto trasformata e resiliente.
Se le fabbriche che producono “il sogno dell’auto” si fermassero, l’effetto sull’economia, sulla mobilità e sulla tecnologia sarebbe ben più ampio di quanto appaia.
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