8:00 am, 30 Ottobre 25 calendario

La Première Dame Brigitte alle prese con fake news e cyber‑attacchi

Di: Redazione Metrotoday
condividi

In una Parigi che spesso guarda con scetticismo l’universo dei social e della disinformazione, si è aperto ieri un nuovo filone processuale che riguarda la moglie del Presidente francese, Emmanuel Macron. Non è una vicenda di politica interna o di normali polemiche istituzionali: prosegue la battaglia della Première Dame, Brigitte Macron, contro una serie di false accuse e calunnie diffuse online, che toccano la sua identità, la sua sessualità, e persino la sua esistenza. Il processo in corso — che vede dieci persone imputate per molestie informatiche a sfondo sessista e transfobico — rappresenta un crocevia fra diritti della persona, tutela della reputazione, libertà d’espressione e nuove forme di aggressione digitale.

Ma per capire davvero la portata di questa vicenda, occorre ripercorrere la genesi delle accuse, le tappe della battaglia legale, il contesto della disinformazione che pulsa nei social e l’impatto su istituzioni, media e società.

Tutto ha avuto origine con una voce che ha cominciato a circolare, dapprima in ambienti marginali della rete, poi amplificata da canali più ampi: la tesi che Brigitte Macron «non sarebbe nata donna», ma sarebbe un uomo che avrebbe assunto l’identità della donna, in un complotto che coinvolgerebbe anche suo fratello. Nei canali social e in certi ambienti della cospirazione, questa narrazione ha assunto forza: immagini tornate virali, montaggi che circolavano, accuse di transizione nascosta, parlato pubblico come se fosse un “caso da smascherare”.

Nel 2021 un video su YouTube, firmato da una blogger e da un medium dichiarato, ha rilanciato la storia: la coppia Macron, e in particolare Brigitte, furono prese di mira come simbolo di un’élite nascosta e manipolatrice.

In questa narrazione, venivano unite diverse componenti: l’età della Première Dame (molto più avanti di quella del marito), l’origine della famiglia Trogneux (il fratello Jean‑Michel vive in Amiens), la presunta manipolazione dell’immagine pubblica. Un misto di transfobia, misoginia e complottismo ha creato un cocktail esplosivo: non solo critiche politiche, ma attacchi diretti alla persona, alla sua biografia, alla sua identità.

Il processo di Parigi: 10 imputati davanti al tribunale

Il 27 ottobre  presso il tribunale penale di Parigi ha preso avvio un procedimento nei confronti di dieci persone — otto uomini e due donne, di età compresa tra i 41 e i 60 anni — accusate di «cyber‑bullismo sessista e transfobico» nei confronti di Brigitte Macron. Le imputazioni riguardano la condivisione o la produzione di messaggi online che asserivano che la Première Dame fosse nata uomo, che la sua relazione col Presidente fosse pedofila o incestuosa, che l’élite francese nascondesse verità scomode sotto l’apparenza.

Secondo la procura di Parigi, gli imputati avrebbero diffuso «numerosi commenti malevoli» sulla sua “natura”, il suo “genere”, la sua “sessualità” e l’età differenziale tra lei e il marito. Alcuni post, hanno precisato le autorità, avevano decine di migliaia di visualizzazioni sui social.

Tra gli imputati figurano anche soggetti che sul web sono seguiti come complottisti, influencer di nicchia, un insegnante e un informatico: figure che il tribunale considera rilevanti per la diffusione della catena delle false notizie.

In aula, la figlia della First Lady, Tiphaine Auzière, ha deposto, raccontando come queste diffuse aggressioni abbiano modificato profondamente la vita quotidiana della madre: «Prima poteva muoversi senza pensare a come si veste, a dove è, a cosa si dice. Ora è costantemente in allerta».

Le accuse non riguardano quindi solo un danno d’immagine, ma un’aggressione continua alla dignità, alla libertà personale, all’esistenza pubblica.

Questo processo non è il primo atto: già in passato Brigitte Macron aveva intrapreso azioni legali per contrastare queste tesi. Nel settembre 2024, un tribunale di Parigi aveva condannato due donne per diffamazione nei suoi confronti e nei confronti del fratello Jean‑Michel Trogneux, disponendo il pagamento di €8.000 di danni a lei e €5.000 a lui.

Tuttavia, nel luglio 2025 la Corte d’Appello di Parigi ha annullato quella sentenza, motivando che le espressioni — pur «tentativi falsi» — rientravano nella libertà d’espressione e non avevano le caratteristiche tecniche della diffamazione.

In contemporanea, la coppia Macron ha spostato il contenzioso anche negli Stati Uniti: nel luglio 2025 hanno citato in giudizio in Delaware la commentatrice conservatrice americana Candace Owens, accusandola di diffondere le stesse false accuse per profitto personale.

Questo percorso legale mette in luce una contraddizione: da un lato la volontà di tutelare l’identità di una persona pubblica, dall’altro il rischio che le norme sulla diffamazione si scontrino con la protezione della libertà d’espressione. Il risultato? Una linea di confine oscura tra satira, opinione, complotto e attacco diretto.

Quando la rete genera vittime

La vicenda di Brigitte Macron è emblematica di un fenomeno più vasto: l’era dell’informazione virale, degli attacchi digitali che obiettivizzano la persona, delle fake news che molto spesso non vengono perseguiti o che trovano protezione nella “libertà” della rete. In Francia — come in molti altri paesi europei — si è registrato un aumento dei casi di cyber‑harassment verso figure pubbliche: donne in primis, ma anche minoranze, figure istituzionali o simboliche. L’attacco alla Première Dame sintetizza in sé misoginia, transfobia, complottismo e odio digitale.

Nel corso degli anni, le accuse contro di lei si sono propagate come catena: immagini manipolate, profili Facebook che ripubblicavano articoli “rivelatori”, meme che circolavano nelle chat, e influencer che monetizzavano sull’argomento. Alcuni dei difensori della tesi complottista sostenevano che «la Francia non poteva avere una première dame così avanti con l’età» o che «il quoziente politico ella‑è‑una‑donna era troppo alto per essere reale». Il rumore mediatico ha creato un effetto moltiplicatore: più la figura pubblica rispondeva, più gli attacchi aumentavano.

E in questo quadro si innesta l’aspetto istituzionale: come reagisce l’Élysée? Come reagisce un Paese che ha nella laicità e nei valori repubblicani una parte della propria identità? Ogni volta che la difesa della Première Dame entra sul giornale, la questione diventa anche politico‑istituzionale.

La legge non era preparata fino in fondo alla viralità dei social, alle campagne coordinate, ai bot, a chi professa di “svelare la verità” ma diffonde odio o menzogne. Il processo di Parigi prova a dare una risposta, ma il cammino è lungo.

L’episodio ha un impatto politico e la famiglia Macron si trova a essere bersaglio non solo per motivi tradizionali (politici, ideologici) ma per motivi che trascendono l’agone politico e penetrano nella sfera personale. Ciò può indebolire la figura pubblica, ma allo stesso tempo rafforzare l’immagine della vittima in lotta contro un sistema di disinformazione.

La vicenda, data la notorietà dei protagonisti, ha ricevuto ampia copertura mediatica. I commentatori francesi si dividono fra chi considera il procedimento «una battaglia giusta per la tutela della persona pubblica» e chi lo vede come «un segnale pericoloso che potrebbe comprimere la libertà d’espressione». Un punto di vista ricorrente è che «se brigitte macron non può nemmeno circolare senza che la rete le chi passi al setaccio, allora non è più solo la persona ad essere aggredita, ma la libertà stessa». d’altro canto, i sostenitori della causa sottolineano che «le fake news si traducono in odio concreto, in attacchi personali, in angoscia quotidiana».

Dal punto di vista mediatico, emerge anche un elemento interessante: la Première Dame raramente appare direttamente nelle aule di tribunale, delegando spesso i suoi avvocati. Il messaggio è politico‑istituzionale: «non è io contro voi, è lo Stato che difende la dignità». Tuttavia questo può anche essere interpretato come marginalizzazione del “soggetto” offeso (la persona che subisce), che resta dietro le quinte.

Il processo che vede protagonisti Brigitte Macron e dieci imputati per molestie online è molto più di una controversia personale o un episodio mediatico. È una cartina di tornasole dei tempi in cui viviamo: le nostre identità – persino quelle di chi ricopre incarichi pubblici – sono vulnerabili, soggette a manipolazione, ridicolaggine, digitalizzazione dell’attacco.

La First Lady francese, volente o nolente, è diventata la vittima‑icona di una rete che unisce misoginia, transfobia, cospirazionismo e sfogo virtuale.

Restano (almeno) due osservazioni finali: da una parte, la giustizia dovrà dimostrare che può stare al passo con la velocità del web; dall’altra, tutti noi (media, utenti, piattaforme) dovremmo interrogarci su quanto siamo parte del problema o della soluzione. 

30 Ottobre 2025 ( modificato il 29 Ottobre 2025 | 23:10 )
© RIPRODUZIONE RISERVATA