Orban-Meloni, un vertice che apre crepe nella coalizione
I palazzi di governo italiani e le sale delle cancellerie europee assistono a un momento di particolare tensione: l’incontro romano tra Matteo Salvini, vice‑premier e ministro delle Infrastrutture del governo di coalizione, e Viktor Orbán, primo ministro ungherese, ha provocato un terremoto politico interno e un forte segnale nei corridoi dell’Unione europea. A margine del faccia‑a‑faccia, il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani ha preso parola per chiarire che “la politica estera spetta al premier e al ministro degli Esteri”, ribadendo che l’Italia è “dalla parte di Kiev”. Le precisazioni arrivano in un contesto dove Salvini e Orbán hanno evocato la creazione di un asse “anti‑Ucraina” e una critica radicale alle politiche comunitarie, accusate di essere “suicide”.
Secondo le ricostruzioni, Salvini e Orbán si sono incontrati nella sede del Ministero delle Infrastrutture per circa un’ora, in clima definito “affettuoso” dagli uffici del vicepremier leghista. Il tema di fondo è stato presentato come “pace” e “criticità delle politiche dell’Unione Europea”, con particolare riferimento al Green Deal e al sostegno all’ Ucraina. Salvini ha dichiarato che l’Italia avrebbe bisogno di una linea meno intransigente su Mosca e un riequilibrio europeo delle priorità. Orbán, da parte sua, ha affermato che «l’Europa non conta nulla» e ha annunciato l’intenzione di rivolgersi a Donald Trump per convincerlo a togliere le sanzioni alla Russia.
Il premier italiano Giorgia Meloni, da parte sua, ha ricevuto separatamente Orbán la mattina successiva: il suo obiettivo è apparso quello di limitare i danni e riaffermare la linea atlantista e filo‑Ucraina del governo italiano. L’effetto dell’incontro fra Salvini e Orbán ha però messo in scena la tensione fra le due anime della maggioranza: da una parte la componente sovranista e fortemente critica verso Bruxelles, dall’altra la parte guardiana della continuità atlantica e della stabilità europea.

Le parole di Tajani sono state chiare: «La linea in politica estera dell’Italia la esprime il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri. Le altre posizioni sono individuali». Con ciò ha voluto ricondurre dentro il perimetro del governo le dichiarazioni autonome di Salvini. L’Italia – ha ribadito – continuerà a sostenere l’ Ucraina “militarmente, finanziariamente e politicamente” e riconosce nell’aggressore la Federazione Russa, non la nazione assalita.
L’incontro stesso non è un episodio isolato, ma va collocato in un contesto di evoluzione delle alleanze dentro l’Unione Europea. La Lega di Salvini è tra i promotori del gruppo europeo dei “Patrioti per l’Europa”, formato da partiti nazional‑conservatori e sovranisti tra cui Fidesz di Orbán, AfD (Germania), Vox (Spagna) e altri.
Negli ultimi mesi, Orbán ha svolto un ruolo sempre più attivo come mediatore tra l’Europa orientale e i paesi atlantisti, ma anche come figura‑referente di una destra europea più indipendente da Bruxelles. Il suo tentativo di dichiarare un asse “anti‑Ucraina” ‑ ovvero contrario all’invio massiccio di armi a Kiev e alle sanzioni contro Mosca ‑ ha aggravato il distacco rispetto alla linea prevalente dell’UE.
La premier Meloni, apparsa all’esterno come pragmatica, mostra ancora elementi di ambivalenza: pur firmataria del sostegno all’ Ucraina e alle alleanze atlantiche, mantiene rapporti con Orbán e con le forze sovraniste. Questa duplicità di ruoli – alleata dei conservatori europei ma vicina a gruppi di destra radicale – è stata definita da osservatori internazionali come “gioco doppio”.
L’incontro segna più di una semplice visita ufficiale. Diversi elementi lo rendono un banco di prova:
Sovranismo vs. Atlantismo: Salvini e Orbán incarnano una visione della politica estera europea che punta a rafforzare la sovranità nazionale, ridurre l’intervento di Bruxelles e rilanciare la cooperazione tra governi sovranisti. Questo modello si scontra con la visione atlantista, filo‑americana, di sostegno all’ Ucraina e al partenariato con la NATO che è invece promosso da Meloni e Tajani.
Ucraina al centro della contesa: mentre l’Italia continua a sostenere Kiev anche militarmente, l’Ungheria oppone il proprio veto o rallentamento alle sanzioni energetiche contro la Russia e manifesta volontà di dialogare con Mosca. La possibilità che l’Italia si schieri apertamente su una posizione più ambigua, anche solo per vicinanza a un’alleanza sovranista, comporta rischi diplomatici.
Struttura interna della coalizione: il fatto che Salvini abbia incontrato Orbán senza il coinvolgimento formale di Palazzo Chigi mette in luce le tensioni interne alla maggioranza. Meloni appare nella veste di mediatore: deve mantenere l’unità del governo, evitare un dissenso troppo esplicito, ma al contempo non può permettersi di uscire dal perimetro internazionale definito.
Il fronte dei “Patrioti” guadagna terreno, e la Lega lavora per rafforzare la sua leadership nel gruppo europeo. Un’alleanza con Orbán rafforzerebbe il peso del blocco sovranista alle prossime elezioni europee e nei giochi di potere all’interno del Parlamento europeo.

L’Italia ha già vissuto momenti analoghi. Nel 2024‑2025, Meloni era stata criticata per un “gioco doppio” in Europa: da un lato proEuropa, dall’altro alleata di forze sovraniste. La contraddizione è stata evidenziata più volte da commentatori esteri e da articoli internazionali.
Anche il caso della mancata firma italiana a una dichiarazione a sostegno del Tribunale Penale Internazionale nel 2025 è stato letto come un segnale della crescente ambivalenza del governo italiano. Questi precedenti gettano luce su quanto oggi appare un’increspatura più profonda nel rapporto tra l’Italia e l’Unione Europea.
L’incontro Salvini‑Orbán non è solo una pagina politica italiana: è un segnale verso il cuore della politiche europee, verso la coesione delle alleanze atlantiche, verso l’identità stessa del ruolo internazionale dell’Italia.
Il governo italiano rischia di vedere incrinata la sua posizione quando interno ed esterno tirano in direzioni opposte. La dichiarazione di Tajani sembra aver richiamato il freno: “La linea è quella di Meloni e del ministro degli Esteri”. Ma la sostanza – i rapporti illuminati dall’incontro, la critica all’UE, l’asse anti‑Ucraina – rimane.
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