Gaza, tregua in altalena tra bombardamenti e denunce
Il governo israeliano ha annunciato che i resti parziali restituiti la notte precedente, attribuiti all’ostaggio Ofir Tzarfati — già recuperato dalle forze israeliane circa due anni fa — non riguardavano quindi uno dei 13 ostaggi la cui sorte ancora non è stata chiarita. Per Tel Aviv questo fatto segna una violazione dell’accordo di pace in vigore.
Contemporaneamente, secondo fonti israeliane, delle 13 salme ancora trattenute nella Striscia, la localizzazione di 9 sarebbe oggi nota. Rimangono tuttavia incerti i dettagli su come e quando possano essere consegnate alle famiglie.
Il tema, già sensibile in termini militari e diplomatici, diventa cruciale anche sotto il profilo socioculturale: in Israele, la restituzione delle salme è parte integrante del rituale funebre e della chiusura del lutto, ed è percepita come un obbligo morale dello Stato. Ne risulta che i tempi lunghi, l’ambiguità delle condizioni e le eventuali violazioni scuotono non solo l’azione diplomatica, ma anche l’opinione pubblica.

Ostaggi, trattative e guerra
Per comprendere la portata della vicenda è necessario risalire all’attacco del 7 ottobre 2023, quando Hamas guidò un’incursione su larga scala nel sud di Israele, durante la quale furono uccise circa 1.200 persone e presi oltre 250 ostaggi.
Da allora, la questione degli ostaggi è divenuta uno dei cardini della lunga trattativa di cessateilfuoco e scambio prigionieri che ha attraversato fasi alterne. Nel corso del 2025, sono stati firmati accordi condizionali che prevedevano: rilascio di ostaggi vivi, restituzione di corpi, scambi con prigionieri palestinesi detenuti in Israele.
Ma la strada è sempre stata tortuosa. Nel dicembre 2024, Hamas annunciò che 33 ostaggi erano già morti, senza specificarne neppure la nazionalità.
Nel corso dei mesi successivi, si sono susseguiti progressi parziali: rilascio di ostaggi vivi, restituzione di corpi, e la stessa firma di un accordo di sei settimane di tregua da parte del governo israeliano, nonostante forti opposizioni interne.

Perché la restituzione parziale cambia le carte
Questa restituzione parziale di resti mortali — ma non delle salme complete o dei viventi ancora prigionieri — rappresenta un punto di frizione concreto tra le parti. Da una parte, Israele la considera una rottura dell’accordo e un segnale negativo. Dall’altra, Hamas e i mediatori internazionali parlano di «ritmi più lenti del previsto», di difficoltà operative in un territorio distrutto come Gaza e della necessità di tempi supplementari.
Il cessate il fuoco in corso rischia di saltare se il tema del corpo degli ostaggi non verrà risolto.
Le famiglie degli ostaggi vivono un doppio lutto: quello della perdita (o almeno dell’incertezza sulla sorte) e quello della mancata restituzione. Il tema assume un peso emotivo enorme nella società israeliana.
Sul piano diplomatico, la credibilità dei mediatori (tra cui International Committee of the Red Cross, Qatar, Egitto, Stati Uniti) viene messa alla prova, perché ogni tempo perso accresce la pressione interna e internazionale.
La Striscia di Gaza, già devastata da mesi di conflitto, si trova ora al centro di quelle che sono le trattative sui tempi e modi della restituzione. Molti ambienti internazionali fanno notare che la distruzione delle infrastrutture, l’accesso limitato e i danni ai tunnel, alle zone sotterranee o agli edifici centrali complicano ogni operazione di rintracciamento delle salme.

Le pressioni strategiche sono evidenti: Israele mantiene la sua linea secondo la quale la guerra continuerà finché Hamas non sarà neutralizzata e finché non saranno assicurate complete restituzioni; Hamas, dal canto suo, considera tali elementi come parte integrante della negoziazione politica e militare.
Tra le storie emblematiche vi è quella di Evyatar David, che venne rapito durante il festival Nova dell’ottobre 2023 e rilasciato solo nell’ottobre 2025 dopo più di due anni di prigionia. Le sue condizioni — legato, senza occhiali, in completo isolamento — hanno illustrato come molte delle persone trattate come ostaggi vivessero condizioni estreme.
Un’altra storia è quella del gruppo di famiglie israeliane che da mesi attende la restituzione dei propri cari. Il lento flusso di notizie, la reticenza di Hamas, la mancanza di chiarezza sulle condizioni di detenzione o sul decesso alimentano un clima di angoscia permanente.
La restituzione parziale di un corpo ostaggio da parte di Hamas e l’accusa formale di Israele di violazione contrattuale segnano una fase critica della trattativa: dalle scene già viste della liberazione di ostaggi vivi o morti, ci si sposta ora in una zona grigia fatta di resti parziali, tempi incerti e lunghe attese.
Il conflitto nelle viscere della Striscia di Gaza non è più solo combattimento armato: è anche la battaglia di restituire nomi, volti, corpi. È un’ultima trincea emotiva, prima di qualsiasi trattativa di pace vera e duratura.
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