100 storie per raccontare il «Made in Sports»: l’Italia che produce, innova e corre
 
            Lo sport non è solo agonismo, titoli, medaglie e stadi gremiti. È anche – e forse sempre più – una filiera produttiva, tecnologica, artigianale. È un «saper fare» che attraversa territori, imprese, laboratori, officine, start-up e botteghe. È la fotografia offerta dal nuovo report 100 Storie Italiane di Sport, promosso e realizzato da Fondazione Symbola, Confartigianato Imprese e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), con la consulenza specialistica di Deloitte.
Il volume raccoglie cento esempi di eccellenza produttiva, artigianale e tecnologica, distribuiti su tutte le regioni del Paese.
In essi si riflette un’Italia che compete, che esporta, che innova: dallo sport professionistico a quello amatoriale, dal piccolo laboratorio al brand internazionale. Ma non solo: è un’Italia che mette al centro la sostenibilità, l’inclusione, il territorio, la manifattura come cultura. È l’“arte manifatturiera dello sport”, come la definiscono gli autori del report.

Un progetto che guarda alla filiera dello sport
Il report si colloca in un momento in cui l’Italia riflette sempre più sul ruolo produttivo e industriale dello sport, oltre che su quello agonistico. La presentazione ha coinvolto figure istituzionali di rilievo: il Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, il Vice-Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, i presidenti di Fondazione Symbola e Confartigianato, rispettivamente Ermete Realacci e Marco Granelli, e il leader di Deloitte Italia, Ernesto Lanzillo.
Nella prefazione, Tajani sottolinea che lo sport è «veicolo di pace, senso di comunità e crescita personale … ma anche strumento di promozione delle nostre eccellenze tecnologiche».
Realacci parla di un “sport sostenibile, inclusivo, a misura d’uomo” e di una filiera descritta “troppo poco” che va valorizzata.
Granelli evidenzia che dietro le imprese del mondo sportivo ci sono «piccole imprese che trasformano ogni prodotto in un capolavoro di manualità e di tecnologia».
I numeri che emergono dal dossier sono significativi: le cento storie coinvolgono 256 unità locali, occupano 20.716 addetti e generano un fatturato di 13,1 miliardi di euro.
Di questo, circa il 63,8% deriva dall’export: un valore ben superiore alla media del settore delle stesse attività.
Lo sport diventa leva di internazionalizzazione, manifattura, manifattura tecnica, design, tecnologia e cultura del “bello e ben fatto”.
Nel report si legge che l’Italia è “seconda, a livello globale, per varietà produttiva” nel settore sportivo – un tratto distintivo del nostro sistema economico.
Risulta che lo sport in Italia «si è trasformato in arte manifatturiera»: la scarpa tecnica che calza perfettamente, la bici che è eleganza e prestazione, la rete o la struttura sportiva che diventa oggetto di design e funzionalità.
Ecco perché non si sta parlando solo di sportivo, ma di industria dello sport: un sistema produttivo che crea valore, posti di lavoro, know-how, identità territoriale e internazionalizzazione.

Microcosmi che raccontano molto
All’interno delle cento storie, vale la pena soffermarsi su qualche esempio concreto per cogliere la varietà dei modelli.
– Biotex (Faenza, Emilia-Romagna)
Fondata nel 1990 da Antonio Visani, specialista nella lavorazione della maglieria, Biotex ha puntato su capi tecnici per ciclismo, running e sport outdoor, con una combinazione di esperienza artigianale e innovazione: filati performanti, lavorazioni di precisione, materiali ad altissima traspirazione. Il filato proprietario BTX in polipropilene è un esempio di tecnologia integrata alla manifattura. Questo rende Biotex un caso-studio di come un’azienda italiana possa competere nei segmenti premium dello sportswear tecnico.
– Cisalfa Group
Nata nel 1997 con il primo negozio a Tivoli (Roma), oggi il Gruppo Cisalfa è un player di rilievo nella distribuzione e produzione di articoli sportivi. Sette società, cinque in Italia e due in Germania, sviluppo, produzione, vendita e distribuzione. Nel corso del 2024, quasi 60 milioni di visitatori e acquirenti nei suoi negozi. Una storia di crescita che coniuga retail, produzione e internazionalizzazione.
– Retificio La Rete (Monte Isola, Brescia)
Fondata nel 1983 da Elio Agnesi e Fiorello Turla su un’isola del lago d’Iseo, in un luogo legato tradizionalmente alla produzione di reti da pesca, l’azienda ha saputo tradurre quel sapere in impianti sportivi e sistemi di sicurezza avanzati: reti a maglia esagonale colorata per volley e tennis, reti sponsorizzate presenti negli stadi più grandi d’Italia (da Roma all’Olimpico, a Torino allo Juventus Stadium, a Napoli al Maradona). Un esempio illuminante di come il saper fare locale si rivolga a mercati globali.
Questi sono solo tre dei cento profili, ma rendono evidente l’eterogeneità: abbigliamento tecnico, retail, infrastrutture, attrezzature, sport di nicchia, territori. E tutte sotto l’egida del Made in Italy.
Territori, sostenibilità, tecnologie
L’artigianato e la piccola impresa restano al centro della narrazione. Il patrimonio territoriale italiano – le tradizioni manifatturiere, i distretti, la rete delle competenze locali – è il terreno fertile per questa filiera sportiva. Realacci lo ha ricordato: è importante «non perdere i legami con territori e comunità».
Ma non basta il “saper fare”: servono sostenibilità, digitalizzazione, internazionalizzazione. Il report evidenzia come le imprese selezionate ottengano un fatturato medio per addetto di circa 630.864 euro, «significativamente superiore alla media del settore». E come l’export rappresenti oltre il 60 % del fatturato nel settore considerato: un dato che indica come queste imprese abbiano già superato i confini nazionali.
Il tema della sostenibilità appare più che mai centrale, sia ambientale sia sociale: le imprese devono garantire condizioni di lavoro, tracciabilità, riduzione dell’impatto ambientale. E lo sport diventa anche profilo di inclusione, mobilità, sviluppo delle comunità.
Le piccole imprese artigiane, che sono protagoniste della filiera, talvolta faticano ad accedere a finanziamenti, tecnologie digitali, marketing internazionale. Il report stesso indica che «un dialogo più strutturato tra mondo produttivo e formazione potrebbe favorire maggiore consapevolezza…».
Sostenibilità non come opzione, ma come obbligo
Il tema ambientale e sociale è ormai vincolante. Le imprese sportive devono integrarlo nelle produzioni e dimostrarlo ai mercati e ai consumatori. Il rischio altrimenti è che rimanga “bella dichiarazione” e non prassi concreta.
Spesso lo sport viene visto come solo evento o performance. Ma qui il focus è sulla produzione, sul sistema industriale. Serve che la filiera dialoghi meglio con il sistema degli impianti, degli sportivi, dell’organizzazione. Il rischio è una disconnessione tra quei “gioielli manifatturieri” e la realtà dello sport quotidiano.

Lo sport come ambasciatore del “bello e ben fatto”
Il linguaggio che restituisce il report usa espressioni evocative: “il talento in manifattura”, “il movimento in cultura economica”, “la passione che diventa impresa”.
E se lo sport è spesso pensato come spettacolo, in questo racconto esso diventa ambasciatore del Made in Italy: l’oggetto tecnico, la fibra, la maglia, la bicicletta, la rete, l’impianto, sono tutti portatori di un marchio di qualità, di estetica, di funzionalità, di cultura italiana.
Una frase del dossier sintetizza bene questo spirito: «Ogni medaglia conquistata, ogni record stabilito diventa veicolo di promozione per un sistema produttivo che sa trasformare la passione sportiva in valore economico e culturale».
Il report “100 Storie Italiane di Sport” è molto più di una raccolta di casi-studio. È una dichiarazione di fiducia nel valore produttivo dello sport, un invito a riconoscere che dietro le Olimpiadi, i campioni, le partite, le gare, c’è una grande manovalanza del genio italiano: imprese che progettano, producono, innovano, esportano.
È la dimostrazione che l’Italia non è solo spettatrice: è protagonista. Che lo “sport” può essere una leva di crescita, cultura, territorio, internazionalizzazione. Che l’artigianato e la piccola impresa possono diventare motore di competitività globale.
E che il “bello e ben fatto” – quel motto del Made in Italy – trova nel mondo dello sport una declinazione nuova, moderna e potente.
Per l’Italia che corre – in pista, in bici, sui campi, in montagna – ma anche per quella che produce la scarpa, la tuta, la rete, l’attrezzatura, l’impianto.
Perché dietro ogni movimento, ogni gesto tecnico, c’è un pezzo di manifattura italiana. E quella manifattura oggi ha una storia da raccontare.
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