La fedeltà al brand non è più un automatismo.
In un contesto di cambiamento profondo, tra economie instabili e consumatori sempre più esigenti, il rapporto tra marchi e pubblico vive oggi una fase di svolta. A delineare la fotografia è lo studio Deloitte Brand Connection – The Age of Meaningful Brands, realizzato su oltre 7 000 consumatori in sette Paesi, tra cui l’Italia.
I risultati mettono in luce alcuni segnali chiave: quasi un consumatore su due dichiara di non avere un marchio preferito, mentre cresce la fiducia verso brand di nicchia e realtà locali, segno di una volontà di scegliere non solo “il marchio più noto”, ma quello “più rilevante”.
L’infedeltà dei consumatori: una fedeltà che non si dà più per scontata
Quando si parla di brand loyalty, sta emergendo un’immagine più fluida e meno scontata. Lo studio mostra che il 45,7% degli intervistati in Italia non si sente legato a nessun marchio in particolare.
Questo fenomeno, secondo le interpretazioni della ricerca, è fortemente influenzato da contesti segnati da incertezza economica, da una sempre maggiore comparabilità fra marchi e da una maggiore consapevolezza del consumatore.
In questo scenario la “propensione al brand switching” — ossia la volontà e l’azione di cambiare marchio — si presenta elevata, e rappresenta un fattore di rischio per quei brand che reputavano la fedeltà un “asset” stabile e acquisito.
Chi cresce e perché: la fiducia nei brand di nicchia e nelle realtà locali
Un dato che risalta è che, pur in questa fluidità, la fiducia verso i marchi è cresciuta, ma con modalità particolari. In Italia, negli ultimi cinque anni:
la fiducia nelle attività commerciali locali è salita al 43,1% (+28,6%).
quella verso i marchi piccoli e di nicchia al 39% (+29,2%).
e anche verso i grandi brand internazionali al 36,9% (+20,1%).
Il messaggio è chiaro: la dimensione non è tutto, conta l’identità, l’autenticità, il rapporto diretto col consumatore. Come osserva Andrea Laurenza, Consumer Industry Leader per Deloitte Central Mediterranean: «Le aziende con identità chiare, narrazioni autentiche e relazioni dirette vengono premiate dai consumatori».
Un ulteriore spunto riguarda la generazione più giovane: gli under 34 mostrano un’ottica più “fiduciosa” sia verso i marchi di nicchia (sia verso i grandi brand). In particolare: la fiducia oggi verso brand di nicchia raggiunge il 51% (contro 48,1% cinque anni fa) e verso i grandi brand il 58,2% (contro 46,6%).
Questo suggerisce che le nuove generazioni non “rifiutano” i brand grandi, ma ne chiedono un diverso tipo di relazione — più attenta, più significativa.

Interessi e driver di scelta: qualità, utilità e autenticità prima del marchio
La ricerca approfondisce anche come i consumatori scelgono i marchi e quali sono i driver che oggi contano maggiormente. Alcuni dati:
Per il 60% degli intervistati un marchio rappresenta ancora una garanzia di qualità e affidabilità.
Il marchio riesce ancora a “far sognare” per il 54,8% degli intervistati, fungendo da elemento aspirazionale.
In Europa, i principali driver di connessione con il brand sono: utilità nella vita quotidiana (63,8%), qualità (63,6%) e autenticità/coerenza dei valori (62,2%).
In particolare, nel contesto europeo: rilevanza quotidiana (71,1%), autenticità (68,4%), qualità (67,7%) e affidabilità (65,5%).
Ne consegue che il marchio “solo noto” o “solo iconico” non basta più. Occorre che il brand si inserisca concretamente nella vita del consumatore, che semplifichi, che abbia valori percepiti e che sappia comunicarsi come autentico. Le marche che lo fanno sono favorite.
Nostalgia, identità e community: oltre il prodotto
Un altro aspetto importante emerso nella ricerca riguarda la sfera emotiva: il legame tra marchio e ricordi, valori, identità. In Italia, per 6 intervistati su 10, i marchi più amati sono quelli legati a bei ricordi del passato (60,5%).
La dimensione emotiva varia per Paese, ma emerge con forza anche come fattore identitario: il 56,3% dei consumatori italiani ritiene che il marchio scelto sia uno “specchio valoriale”.
Questo implica che i brand oggi devono farsi interpreti di un mondo di valori — appartenenza, identità, comunità — oltre che semplici fornitori di prodotti o servizi.
Il digitale, il social commerce e l’influencer marketing
Nel cambiamento delle abitudini d’acquisto, il digitale gioca un ruolo chiave. Lo studio di Deloitte offre alcuni numeri illuminanti per l’Italia:
Il 56% dei consumatori italiani ritiene importante poter acquistare prodotti o servizi tramite i social media.
Il marketing tramite influencer interessa soprattutto i più giovani: il 40% tra 18-24 anni e il 42% tra 25-34 anni.
Le esperienze interattive e le promozioni esclusive – su social o piattaforme digitali – sono ritenute elementi importanti per rafforzare il legame con il marchio: rispettivamente per il 60% e il 57% dei consumatori.
Da ciò emerge che il “luogo” dell’acquisto non è più solo lo store fisico o il sito e-commerce tradizionale, ma sempre più un ecosistema ibrido dove social, contenuto, connessione emotiva fanno la differenza. Le marche che ignorano questa dimensione rischiano di restare marginali.
L’esperienza d’acquisto e il ruolo del contatto umano
Nonostante la forte spinta verso digitale e social commerce, la dimensione dell’esperienza fisica e del contatto umano rimane significativa. In Italia, per un intervistato su tre, il contatto con il personale al momento dell’acquisto fa ancora la differenza.
Il valore del “servizio umanizzato”, di un rapporto personale e competente, continua a essere un differentiatori per i marchi — segno che la tecnologia non ha soppiantato completamente il bisogno di relazione.
In particolare, le fasce d’età più mature tendono a privilegiare interazioni umane rassicuranti, mentre i più giovani 18-34 anni puntano sulla semplicità dei pagamenti e sulla fluidità delle consegne e dei resi.

Implicazioni per i brand: cosa significa operare oggi
Alla luce di questi dati, quali sono le implicazioni per chi opera nel mondo del marketing, branding e retail? Possiamo tracciarne alcune direttrici:
Identità chiara e coerente: il marchio deve sapere chi è e dove vuole stare. Come Laurenza ha osservato, “la brand relevance non è un attributo statico, ma un capitale che deve essere continuamente alimentato”.
Narrazione autentica: non basta comunicare, è necessario farlo in maniera credibile, coerente con i valori del brand e percepita come genuina dal consumatore.
Relazione diretta con il consumatore: i marchi che instaurano un dialogo, che ascoltano, che fanno sentire il cliente “parte” del progetto, hanno maggiori chance di emergere. La dimensione valoriale del brand (essere specchio dei principi del consumatore) è oggi cruciale.
Esperienza coerente omnicanale: digitale, social commerce, store fisico, influencer, tutti gli “touch point” devono essere integrati e offrire fluidità e senso.
Qualità e utilità quotidiana: il consumatore chiede che il marchio semplifichi la sua vita, che garantisca qualità, che resti coerente con valori e purpose.
Capacità di generare emozione e appartenenza: la componente emotiva, il senso di community, l’identità valoriale diventano leve forti di connessione. Anche se il marchio non viene “scelto” come preferito, può diventare “rilevante”.
Perché i piccoli marchi stanno guadagnando terreno
Uno degli insight più interessanti della ricerca riguarda i marchi di nicchia e le realtà locali: la fiducia verso questi è cresciuta più rapidamente (+29,2%) rispetto ai grandi brand (+20,1%).
Questo fenomeno può essere interpretato sotto vari profili:
Le realtà più contenute spesso offrono una narrazione più “umana”, più riconoscibile, più legata a un territorio o a un purpose specifico.
Il consumatore, oggi più attento, valuta autenticità e personalizzazione: i marchi “nichizzati” possono giocare su queste corde con maggiore libertà.
Il contesto competitivo (inflazione, saturazione di brand, sovraccarico pubblicitario) spinge i consumatori a essere più selettivi: “scegliere bene” non solo in termini di prezzo, ma di valore percepito.
Le realtà locali o di nicchia possono diventare veicoli di identità (regionale, sociale, di comunità) che i grandi brand faticano oggi a incarnare, soprattutto se percepite come omologate.
Non significa quindi che i grandi brand siano destinati a perdere: ma devono sapersi evolvere, mantenere rilevanza e senso nel cambiamento.
Il rischio della comodità del marchio: quando le marche diventano percepite come “simili tra loro”, il nome perde forza. Qualcosa in più — valore, identità, distintività — diventa necessaria.
Il contesto digitale si fa sempre più complesso: social commerce, influencer, esperienze immersive, omnicanalità — tutto richiede investimenti e competenze nuove.
Le generazioni più giovani richiedono modalità d’interazione diverse, esperienze più rapide, contenuti più “leggeri” e immersivi: chi non si adatta rischia di restare fuori dal radar.

Uno sguardo al consumatore
In Italia, questi cambiamenti trovano un terreno particolare. Il consumatore italiano, tradizionalmente legato a marchi storici, “di fiducia”, oggi mostra segnali di apertura e rinnovo. Il dato del 56% che ritiene importante poter acquistare tramite i social media è emblematico: il punto vendita non è più unico centro della scelta.
Inoltre, il ricorso all’influencer marketing tra i giovani (40% e 42%) segnala che i modi e i luoghi della comunicazione cambiano.
Sul piano valoriale, la nostalgia gioca ancora un ruolo forte: brand legati a “bei ricordi” ottengono consensi maggiori. La leva emotiva, quindi, continua a essere centrale.
Infine, la differenza generazionale è evidente: gli over 55 privilegiano l’interazione umana, la rassicurazione; i più giovani puntano su velocità, semplicità, esperienza. Questo richiede segmentazione e strategia differenziata.
Se fino a qualche anno fa il brand era un “ombrello” sotto cui il consumatore cercava semplicemente familiarità e riconoscibilità, oggi quel ruolo è mutato: rilevanza è la parola chiave.
Il brand vincente non è necessariamente quello che tutti conoscono, ma quello che ogni singolo consumatore — o un segmento di essi — sente vicino, autentico, utile, coerente con i propri valori e con la propria quotidianità. Come ha sintetizzato Andrea Laurenza: «Essere rilevante per un brand significa occupare uno spazio autentico e significativo nella vita delle persone».
In questo scenario, le aziende hanno davanti una doppia sfida: tenere alta l’attenzione e la fiducia del consumatore e, allo stesso tempo, fare di più — innovare modalità di contatto, linguaggi, esperienze — perché il consumatore non resta “attaccato” al marchio per inerzia, ma valuta, sceglie, cambia.
Per l’Italia e per i brand che operano al suo interno, significa dunque ripensare modelli, investimenti e comunicazione. Non basta più “essere un brand noto”: serve essere un brand significativo. E, forse, la vera fedeltà non si conquista più con la grandezza del nome, ma con l’intimità della relazione, con la qualità della narrazione e con la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa.
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