12:05 am, 23 Ottobre 25 calendario

Il cuore del cloud si ferma: l’interruzione globale di Amazon Web Services

Di: Redazione Metrotoday
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Il battito digitale del pianeta ha rallentato: Amazon Web Services (AWS), il più grande fornitore di servizi cloud al mondo, ha subito un guasto che ha lasciato offline o compromesso decine di popolari servizi e applicazioni, da piattaforme social a strumenti finanziari e pubblici. In poche ore milioni di utenti in tutto il mondo hanno segnalato malfunzionamenti, timeout e pagine inesatte: dalla messaggistica alle console di gioco, fino ai servizi governativi, tutti toccati in diversa misura.

L’incidente, concentrato nella regione US-EAST-1 di AWS (i datacenter della Virginia settentrionale), ha avuto origine — secondo le prime ricostruzioni fornite da ingegneri e osservatori — in un sottosistema interno che gestisce i bilanciatori di carico e la distribuzione del traffico. Problemi con quel livello critico hanno provocato errori a catena che hanno impattato oltre sessanta servizi interni alla piattaforma cloud e, di conseguenza, un vasto ecosistema di applicazioni che dipendono da essi. AWS ha dichiarato che non vi sono al momento evidenze di attività malevole e che i tecnici stavano lavorando per riportare la situazione alla normalità.

L’effetto domino

Il blackout non ha risparmiato i colossi che fanno ormai parte della nostra quotidianità digitale. Segnalazioni su scala globale hanno indicato problemi a servizi di comunicazione, piattaforme di gioco, sistemi di pagamento e persino a parti dell’infrastruttura bancaria in alcuni paesi. Per molte aziende la dipendenza da un singolo provider cloud per funzioni critiche si è tradotta in un unico punto di rottura: quando quel fornitore ha un problema, il fallimento non riguarda solo un servizio, ma intere filiere digitali.

Le piccole e medie imprese, le startup che hanno scelto la semplicità del cloud invece di costruire ridondanze costose, e persino enti pubblici con servizi esternalizzati, si sono ritrovati a fare i conti con interruzioni di servizio, call center intasati e clienti infuriati. Per alcuni operatori la lezione è subito tornata chiara: senza strategie multi-cloud o piani di disaster recovery efficaci, la resilienza digitale resta un miraggio.

La storia delle interruzioni AWS

Il blocco si inserisce in una storia nota: AWS ha già vissuto blackout importanti in passato, con episodi che hanno lasciato offline siti e servizi di rilievo e che hanno dimostrato come errori tecnici, aggiornamenti malriusciti o eventi imprevedibili possano propagarsi rapidamente quando l’infrastruttura è altamente centralizzata.

Già nel 2011 un guasto nella stessa area nord-virginia causò l’interruzione di siti storici. Nel 2017 un malfunzionamento di S3 (il servizio di storage) in us-east-1 provocò una lunga serie di problemi a servizi che ne dipendevano. Quegli eventi portarono a un dibattito sull’architettura del cloud: la promessa di scalabilità e semplicità si scontra con il rischio che una singola piattaforma diventi un punto unico di falla per il web.

Le ricostruzioni tecniche che emergono a posteriori mostrano spesso cause banali — errori di configurazione, aggiornamenti automatizzati andati male, failover non efficaci — che però, per effetto della complessità e dell’interdipendenza dei servizi, si traducono in collassi estesi.

La questione della ‘criticalità’

L’incidente riapre la discussione politica e regolatoria su come considerare i grandi fornitori cloud. Alcuni osservatori e parlamenti nazionali hanno sollevato la necessità di designare certi player come “terze parti critiche” quando servono infrastrutture finanziarie, sanitarie o governative. Il riconoscimento formale comporterebbe obblighi di audit, piani di continuità rafforzati e standard più stringenti per la resilienza.

 Le aziende clienti, dal canto loro, devono bilanciare costi e rischi: mantenere ridondanze fisiche o multi-cloud è più costoso, ma l’assenza di piani di emergenza ha conseguenze che spesso si rilevano più gravose quando scoppia la crisi.

Soluzioni tecniche

Il mondo IT da tempo propone pratiche per limitare l’impatto di guasti di questo tipo: architetture multi-region e multi-cloud, strategie di caching, separazione dei carichi critici su fornitori diversi, e test frequenti di recovery. Anche tecnologie come il edge computing e l’adozione di protocolli resilienti possono aiutare a ridurre i tempi di inattività.

Ma queste soluzioni richiedono investimenti, competenze e pianificazione. Per le realtà più piccole la migrazione verso approcci resilienti è spesso frenata da costi e complessità. D’altra parte, eventi come quello odierno sono un campanello d’allarme: affidarsi alla promessa della semplicità cloud senza piani alternativi è azzardato.

Nei prossimi giorni ci si aspetta che AWS pubblichi un rapporto dettagliato sull’incidente, con un post-mortem che spieghi cause, tempistiche e misure correttive. Questi documenti sono utili non solo per capire il singolo evento, ma per orientare best practice e regolamentazioni future.

Sul piano politico, la pressione per normare i grandi cloud provider potrebbe aumentare: i legislatori europei e alcuni comitati governativi hanno già chiesto chiarimenti, mentre le banche centrali e gli enti regolatori del settore finanziario osservano con apprensione l’impatto su servizi essenziali.

Per gli utenti, la lezione è pratica: conservare backup, scegliere servizi con chiare politiche di disaster recovery e, quando possibile, non centralizzare dati critici su un singolo fornitore.

L’interruzione globale di AWS è un forte promemoria: l’infrastruttura digitale moderna è potente, ma fragile. La comodità di servizi condivisi e on-demand ha trasformato il mondo digitale in un ecosistema altamente efficiente e al tempo stesso vulnerabile. Ripristinare i servizi è la priorità immediata; la vera sfida sarà trasformare l’esperienza odierna in un punto di svolta: adottare pratiche di resilienza diffuse, regole chiare per i fornitori critici e consapevolezza tra clienti e istituzioni. Solo così si potrà sperare che il prossimo blackout abbia impatto sempre più marginale.

23 Ottobre 2025
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