Bicicletta legata al palo, scattano le multe e la sosta “creativa” diventa infrazione
Negli ultimi mesi, in molte città italiane, chi lascia la bicicletta legata a un palo, a un segnale stradale o a una recinzione si è trovato al ritorno una sorpresa poco gradita: una multa o, in alcuni casi, la bici rimossa dai vigili urbani. Quella che per anni è stata una prassi tollerata, oggi finisce nel mirino delle amministrazioni comunali, che invocano il rispetto del Codice della Strada e delle norme sul decoro urbano. Ma la questione è più complessa di quanto sembri e solleva un dibattito acceso: dove possono davvero sostare le biciclette in città che spesso non offrono alternative sufficienti?
Bici ovunque, spazi pochi
Chi vive in città lo sa bene: trovare un parcheggio per la propria bicicletta è un’impresa. In molti centri urbani le rastrelliere sono poche, mal posizionate o occupate. Così i ciclisti urbani, soprattutto i pendolari, finiscono per legare le due ruote al primo palo utile, magari davanti alla stazione, all’università o sotto casa.
Un gesto di sopravvivenza urbana che però, secondo la legge, può costare caro. L’articolo 158 del Codice della Strada vieta infatti la sosta “sui marciapiedi, davanti a passi carrabili, in corrispondenza di attraversamenti pedonali o fermate dei mezzi pubblici”. E anche se le biciclette non sono assimilate ai veicoli a motore, la norma si applica quando la loro presenza intralcia la circolazione o il passaggio dei pedoni.
Negli ultimi mesi, diversi comuni — da Milano a Roma, da Firenze a Torino — hanno deciso di far rispettare con rigore questa disposizione. I controlli si sono intensificati, e le multe sono diventate frequenti, spesso accompagnate dalla rimozione dei mezzi “irregolari”.

Il caso Milano: 41 euro di multa e bici rimosse
Milano è diventata l’epicentro del dibattito. In centro e vicino alle stazioni metropolitane, dove le rastrelliere sono spesso insufficienti, il Comune ha avviato una campagna per il “decoro urbano” e la sicurezza dei pedoni. I vigili hanno iniziato a multare le bici legate a pali della segnaletica o a recinzioni pubbliche: 41 euro di sanzione e, nei casi peggiori, rimozione del mezzo.
Gli interventi sono stati giustificati con la necessità di liberare i marciapiedi, spesso invasi da biciclette e monopattini, e di ridurre il rischio di incidenti o intralci alle persone con disabilità visiva. Tuttavia, le associazioni dei ciclisti non ci stanno: denunciano una politica “punitiva” in una città che, paradossalmente, si dichiara favorevole alla mobilità sostenibile.
Molti attivisti sottolineano che la sanzione non può sostituire la mancanza di infrastrutture. Secondo alcune stime, Milano avrebbe bisogno di almeno il doppio dei parcheggi bici attualmente disponibili per rispondere alla domanda crescente.
Le regole del Codice e le aree grigie
Dal punto di vista normativo, il quadro è chiaro solo in parte. Il Codice della Strada non disciplina in modo dettagliato la sosta delle biciclette, ma stabilisce principi generali: non si può parcheggiare su marciapiedi, davanti a uscite di emergenza, passi carrabili o attraversamenti. Tuttavia, non vieta esplicitamente di legarle a pali o staccionate, a meno che ciò non costituisca intralcio o pericolo.
Nei casi più estremi, la bicicletta può essere considerata “rifiuto abbandonato” se lasciata per giorni o settimane in un punto pubblico, specie se danneggiata o senza ruote. In quel caso, la rimozione è automatica e il proprietario può essere sanzionato anche per violazione delle norme ambientali.

Da Firenze a Roma, le città che hanno detto basta
Non è la prima volta che il tema finisce al centro delle cronache. Già nel 2019 Firenze aveva lanciato un’operazione per liberare i marciapiedi dalle biciclette “selvagge”, rimuovendo oltre 2.000 mezzi in pochi mesi. A Roma, nel 2021, dopo il boom dei monopattini, la Polizia Locale aveva intensificato i controlli anche sulle bici legate a pali o cancelli.
Torino, Bologna e Bari hanno sperimentato interventi simili, spesso in concomitanza con campagne di sensibilizzazione sul rispetto dello spazio pubblico. L’obiettivo dichiarato è duplice: garantire sicurezza e accessibilità, ma anche migliorare il decoro urbano, specie nei centri storici dove il turismo impone una certa immagine della città.
Troppe bici, pochi parcheggi
La radice del problema resta però la stessa: le città italiane non sono ancora pronte a ospitare la rivoluzione ciclabile. Nonostante gli incentivi pubblici e la crescita del numero di ciclisti, la maggior parte dei centri urbani non dispone di un sistema adeguato di parcheggi sicuri e diffusi.
Molti Paesi del Nord Europa, spesso citati come esempio, prevedono rastrelliere ogni 50 metri nelle zone centrali e stazioni sotterranee con videosorveglianza. In Italia, invece, il numero medio di posti bici per abitante è ancora tra i più bassi d’Europa.
Questa carenza genera un effetto paradossale: si incoraggia la mobilità dolce, ma si puniscono i suoi utenti per la mancanza di infrastrutture adeguate.

Le proteste dei ciclisti
Le associazioni dei ciclisti urbani chiedono da tempo una “zona di tolleranza”, ovvero la possibilità di parcheggiare le biciclette in spazi pubblici non dedicati ma che non ostacolino il passaggio dei pedoni. In pratica, una sorta di “regola del buon senso”: se la bici non crea pericolo né intralcio, non dovrebbe essere sanzionata.
Alcuni comuni stanno valutando la proposta. Bologna, ad esempio, ha sperimentato l’uso di pali multiuso progettati appositamente per consentire l’ancoraggio sicuro delle biciclette senza ostruire i marciapiedi. Firenze sta studiando un sistema di “rastrelliere temporanee” mobili, da collocare nelle zone a maggiore affluenza durante eventi o festività.
Educazione e civiltà urbana
Non tutto, però, si risolve con norme e rastrelliere. C’è anche un problema culturale: l’educazione alla convivenza nello spazio pubblico. Alcune città, come Trento e Reggio Emilia, hanno affiancato ai controlli campagne di sensibilizzazione rivolte ai ciclisti, invitandoli a rispettare i pedoni e a non legare le bici in modo disordinato.
Parallelamente, si promuove l’uso di app di parcheggio intelligente che segnalano le aree libere e sicure dove legare la bici. Sono piccoli passi verso una mobilità più rispettosa e condivisa, che non metta pedoni e ciclisti in contrapposizione.
L’obiettivo delle città dovrebbe essere duplice: proteggere nel contempo lo spazio dei pedoni e favorire l’uso della bicicletta, non criminalizzarlo. Multare senza offrire alternative rischia di disincentivare la mobilità sostenibile e alimentare un conflitto sociale che non giova a nessuno.
Servono piani organici di infrastruttura ciclabile, con rastrelliere sicure, parcheggi coperti e sistemi di bike sharing integrati. Solo così sarà possibile ridurre gli episodi di sosta irregolare e rendere la bicicletta una vera alternativa strutturale all’auto privata.

Il buon senso come chiave di lettura
In attesa di una normativa più chiara e di città più accoglienti per le due ruote, ai ciclisti non resta che affidarsi al buon senso. Evitare di bloccare passaggi pedonali, scivoli per disabili o accessi è una regola di civiltà, prima ancora che di legge.
Ma la responsabilità non può ricadere solo su chi pedala: le amministrazioni devono fornire infrastrutture e chiarezza normativa. Una città che multa le biciclette ma non costruisce rastrelliere manda un messaggio contraddittorio sulla direzione della propria mobilità.
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