9:23 am, 16 Ottobre 25 calendario

Cinema, tax credit e finanziamenti sospetti: il blitz della Guardia di Finanza nelle stanze dietro il sogno

Di: Redazione Metrotoday
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A Roma, nella città del cinema, le Fiamme Gialle bussano ai portoni di Cinecittà. Nelle mani, richieste di documenti, fatture, bilanci. Sotto la lente, tre pellicole, nomi noti. Ma dietro quell’operazione si estende un interrogativo che attraversa il sistema del credito fiscale al cinema in Italia: quanti abusi, quante inefficienze, quanti “film fantasma”?

Il giorno del blitz

All’alba del 14 ottobre, gli uffici amministrativi di Cinecittà ricevettero un’avvisaglia insolita: funzionari in borghese, agenti della Guardia di Finanza armati di decreti, richieste formali per documentazione fiscale, contratti di produzione, relazioni sul tax credit. L’operazione, coordinata dalla Procura di Roma, aveva come oggetto tre film: Finalmente l’alba (Saverio Costanzo, 2023), Siccità (Paolo Virzì, 2022) e L’immensità (Emanuele Crialese, 2022).

Obiettivo: verificare se i crediti d’imposta richiesti fossero stati ottenuti legittimamente o se le società di produzione avessero gonfiato costi, presentato bilanci artefatti, o addirittura attivato operazioni inesistenti. Le ipotesi di reato al momento sono orientate verso truffa e false fatturazioni, ma al contempo vi è cautela sulla posizione degli indagati: per adesso i fascicoli sono contro ignoti.

Non si tratta, però, di un caso isolato: già da tempo il Ministero della Cultura ha segnalato alla Guardia di Finanza oltre 120 opere cinematografiche sospette, chiedendo controlli sul modo in cui i fondi sono stati erogati e utilizzati. Nella stagione politica appena trascorsa, il ministro Giuli ha promesso una svolta: Mai più film fantasma”, rigore nei controlli, criteri più stringenti e tetti al credito d’imposta.

Nel frattempo, al vertice dello studio e del sistema cinema nazionale, appare l’ombra di un altro filone: la figura di Manuela Cacciamani, amministratrice delegata di Cinecittà, già al centro di verifiche per gli anni precedenti, e il suo passato nella società di produzione One More Picture. I magistrati hanno chiesto bilanci, flussi di contributi, documenti contabili — non solo di questi tre film, ma di un orizzonte molto più ampio.

Come funziona il tax credit cinematografico (e dove si può inceppare)

Per capire la portata delle accuse, conviene ripercorrere il sistema che ha alimentato — con luci e ombre — le produzioni italiane nell’ultimo decennio.

Le basi normative

Con la Legge 220 del 14 novembre 2016 fu introdotta una riforma strutturale del sostegno pubblico al settore audiovisivo. Tra gli strumenti più rilevanti, il tax credit per le produzioni nazionali garantiva un credito d’imposta pari al 30‑40% delle spese eleggibili, fino a un tetto di circa 9 milioni per singola opera (18 per coproduzioni con partner stranieri). Nello stesso tempo, il tax credit internazionale (cioè per produzioni straniere che girassero in Italia) poteva coprire anche fino all’80% del costo, con benefici ulteriori per il nostro sistema produttivo.

Questo meccanismo, se ben gestito, ha incitato investimenti, fatto tornare produzioni straniere in Italia, stimolato l’industria tecnica e creativa. Ma se abusato, lascia aperti varchi per operazioni opache.

    Distribuzione e incassi irrisori

    È emerso che diversi film con contributi milionari hanno incassato cifre irrisorie al botteghino. In alcuni casi, il rendimento commerciale non giustifica l’investimento pubblico dichiarato.

    Responsabilità ribaltate su “ignoti”

    Quando le indagini partono su società e procedure, spesso mancano nomi precisi: le responsabilità individuali (registi, producenti, contabili) si diluiscono, o restano avvolte nel guscio del sistema.

    Controlli amministrativi blandi

    Il processo di concessione del credito d’imposta è spesso affidato a verifiche formali — controlli documentali che non scavano nei reali costi o nei flussi di cassa effettivi. Il Ministero della Cultura, pur attento alle procedure, non ha strumenti pienamente autonomi per analisi approfondite ex post.

Tre film sotto la lente — e le verità che emergono

Finalmente l’alba (Saverio Costanzo)

Secondo gli atti acquisiti, il film è stato dichiarato con un costo di produzione complessivo di circa 9,5 milioni di euro, di cui 9 milioni in credito d’imposta e 450.000 euro come contributi selettivi. Nella certificazione allegata al dossier per il tax credit, figura un compenso di 1,7 milioni per il regista Costanzo. Proprio questa voce — tra le più alte — ha attirato l’attenzione degli investigatori, che vogliono capire se tale cifra fosse giustificata dal mercato e dalle attività svolte oppure se rappresentasse una postilla artefatta per innalzare il valore del credito richiesto.

Non è l’unico film che ha fatto incassare dallo Stato più di quanto avrebbe realisticamente prodotto: altri casi segnalati mostrano pellicole con contributi superiori a 4 milioni ma incassi al botteghino di poche decine di migliaia di euro.

Siccità (Paolo Virzì) e L’immensità (Emanuele Crialese)

Anche queste opere sono finite sotto la lente. Entrambe sono state segnalate tra i progetti con possibili anomalie contabili: costi dichiarati alti, incassi modesti, e, secondo le segnalazioni di varie fonti, pratiche contabili aggressive per massimizzare il credito.

Il caso di Siccità ha fatto emergere, in alcune ricostruzioni giornalistiche, che si sarebbero potute impostare spese di produzione molto elevate per ambienti, scenografie, trasporti, con urgenza e contratti rapidi, rendendo difficoltosa una verifica immediata. L’immensità, d’altra parte, figurava nella lista di produzioni «certificabili» con crediti milionari, e quindi gravita in quel segmento “di qualità” che spesso può sfuggire ai controlli più stringenti proprio perché percepito come film “rappresentativo”.

Il Ministero della Cultura, in risposta alle crescenti segnalazioni, ha attivato controlli più rigorosi. Ma già prima del blitz di ottobre, erano oltre 120 i film segnalati per anomalie nei crediti d’imposta, con sospetti su contributi per circa 200 milioni di euro. In alcuni casi, la verifica ministeriale ha portato al blocco di circa 66 milioni di euro di tax credit giudicati “sospetti”. È questo uno dei numeri chiave: un’industria cinematografica che ha aumentato sensibilmente il suo budget pubblico non sempre ha saputo controllare l’obbligo di trasparenza e recupero del “rischio” di abuso.

Tra i casi che hanno alimentato l’attenzione mediatica spicca quello di Andrea Iervolino, produttore italo-canadese, la cui società è stata oggetto di perquisizioni per presunte truffe con il tax credit. Alcuni progetti legati al suo gruppo avrebbero ottenuto incentivi gonfiando costi. Quando i media hanno incrociato quel percorso con la vicenda del film “fantasma” registrato a un presunto killer (Stelle della Notte, 800.000 euro di contributo) — un episodio che ha travalicato l’ambito culturale nel crimine — il panorama è diventato esplosivo.

Un altro filone riguarda Manuela Cacciamani, amministratrice delegata di Cinecittà. I magistrati avrebbero chiesto nella tarda estate 2025 documenti e bilanci relativi ai contributi erogati allo studio cinematografico sotto la sua gestione, ma anche alle sue attività precedenti nella società di produzione One More Picture. Alcuni fondi destinati a eventi, festival o “progetti speciali” curati da questa società — nei quali lei era parte — appaiono decuplicati nel giro di pochi anni, senza trasparenza evidente su giustificazioni e risultati.

Il ministro Giuli ha difeso il budget per il 2025 (696 milioni in assistenza al cinema), affermando che le risorse non sarebbero state ridotte, ma che “non si può buttare il denaro pubblico con leggerezza”.

Negli anni recenti sono circolati casi di pellicole che hanno ricevuto contributi ma non hanno avuto reale vita distributiva. In alcuni casi, società hanno chiuso lasciando debiti e crediti verso lo Stato senza essere perseguite. Nella memoria del comparto rimangono sospetti su linee opache di finanziamento incrociate con editoria, tv, produzioni estere che sfruttano i vantaggi fiscali italiani. Non sempre tali indagini vedono conclusioni definitive: spesso restano questioni contabili, ricorsi amministrativi, qualche restituzione simbolica.

Il rischio dell’autocensura

    Se il sistema del credito d’imposta diventa strettamente sorvegliato, produzioni più piccole o rischiose potrebbero faticare a reperire risorse, generando una selezione più rigida. Film sperimentali, autori emergenti, visioni marginali potrebbero soffrire.

Il set che traballa

Il blitz della Guardia di Finanza a Cinecittà ha il sapore di una resa dei conti. Ma anche l’avvio di un esame di coscienza del cinema italiano contemporaneo. Lo Stato ha dato fiducia, risorse, incentivi. Ora reclama responsabilità. Il sistema dovrà dimostrare che non si era trasformato in un meccanismo predatorio. Se qualche errore tecnico, qualche leggerezza contabile era possibile — in un comparto dove margini, costi e incassi sono sempre in bilico — l’inchiesta potrà selezionare i casi da sanzionare. Ma la speranza è che non finisca con gli schieramenti “artisti vs Stato”, bensì con una nuova architettura di regole dove creatività, merito e controllo possano coesistere senza che il sogno del cinema venga tradito dal denaro che lo sostiene.

16 Ottobre 2025
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